Il 30 giugno saranno passati cento anni da quando la Terra fu investita da un misterioso oggetto celeste sulla cui natura ancora si discute. Il fatto è noto come l’evento di Tunguska. Le celebrazioni si svolgeranno dal 26 al 28 giugno a Mosca. Il 19 giugno, nel pomeriggio, presso il Planetario di Torino (www.planetarioditorino.it) accanto all’Osservatorio astronomico sulla collina di Pino Torinese, si terrà un convegno di studiosi sotto l’egida dell’associazione Russkij Mir (www.arpnet.it/russkij). L’astronomo Mario Di Martino, che ha partecipato ad alcune spedizioni di ricerca sull’evento, terrà una conferenza divulgativa dal titolo “La catastrofe di Tunguska 100 anni dopo”. Interverrà il fisico Tullio Regge, presidente onorario dell’Associazione .
Il centenario è l’occasione per fare il punto sulle attuali conoscenze su di un evento catastrofico che rimane tra i più enigmatici. Che cosa realmente esplose nel cielo della Siberia alle 7 del mattino del 30 giugno 1908? Secondo un articolo di Luca Gasperini pubblicato dalla rivista “Terra Nova”, la risposta è venuta fuori da 27 tubi che contengono fango estratto da uno specchio d’acqua profondo 54 metri: il Lago Cheko (cheko = cigno), nella taigà siberiana, a centinaia di chilometri dal villaggio più vicino. E la risposta è che quel lago si formò in seguito all’impatto di un asteroide dal diametro di 30-40 metri. Gareth Collins, dell’Imperial College di Londra però non condivide le conclusioni dello scienziato italiano. Una nuova spedizione nel 2009 dovrebbe portare la parola finale. Il verdetto dovrebbe venire da scavi in profondità sotto il fondo del lago Cheko, dove potrebbe essere rimasto uno strato di terreno reso più compatto dall’urto del meteoroide.
Rievochiamo i fatti. Un bagliore accecante squarciò il cielo all’alba del 30 giugno 1908 a nord di Vanavara, un paese di pastori vicino al fiume Tunguska Petrosa, sul sessantesimo parallelo, lo stesso di San Pietroburgo. Seguirono un terrificante boato e un violentissimo spostamento d’aria. Nel raggio di qualche decina di chilometri milioni di betulle furono abbattute, come si può vedere nella foto qui accanto. Molte conifere invece resistettero ma un soffio di vento infuocato le ridusse come «pali del telegrafo» bruciacchiati. Un pastore di renne rimase ucciso, un altro perse la parola per lo spavento. Finissima polvere rimase in sospensione nell’atmosfera, arrossando i tramonti e schiarendo le notti per più di un mese. L’onda d’urto e un terremoto furono registrati a migliaia di chilometri. Poi sull’evento calò il silenzio, complice la popolazione locale, i tungus, una tribù degli evenki, nomadi della Siberia impregnati di pensiero magico: la parola «sciamano» ci arriva dalla loro lingua.
Soltanto 12 anni dopo il fisico Leonid Kulik cerca nuovi dati di prima mano. Raccoglie testimonianze, scatta fotografie, dall’inclinazione degli alberi abbattuti individua l’epicentro del fenomeno: è lui a definire «pali del telegrafo» i larici sopravvissuti. Kulik si convince che a produrre tanta distruzione dev’essere stato un frammento di asteroide o di cometa, e cerca sul posto frammenti di meteoriti. Invano. Niente meteoriti, niente cratere. Più lo si studia, più l’enigma si fa oscuro.
Negli anni, le ipotesi si sono sprecate: una esplosione atomica ante litteram prodotta da extraterrestri, il naufragio di un’astronave aliena, un grumo di antimateria, un minuscolo buco nero vagante, una nube di metano emanata dal sottosuolo. Ma l’idea di Kulik rimane la più credibile. I calcoli più recenti dicono che a 8 chilometri di altezza potrebbe essere esploso, vaporizzandosi, un mini-asteroide largo 60-100 metri con una massa di 400 mila tonnellate che si muoveva alla velocità di 16,5 chilometri al secondo e che attraversava l’atmosfera con volo radente.
Nel 1991 ha raggiunto Tunguska un gruppo di studiosi del Cnr e dell’Università di Bologna guidato da Giuseppe Longo: la resina di alberi che furono testimoni dell’esplosione ha rivelato particelle di minerali compatibili con l’ipotesi dell’asteroide. Una spedizione successiva ha dragato i sedimenti del Lago Cheko estraendo carote di fango: i sedimenti corrispondenti al 1908 sembrano contenere polveri che si depositarono nei due mesi successivi all’evento.
Tunguska è uno dei luoghi più inaccessibili del mondo. Gelo a -50 °C d’inverno, afa umida d’estate, nugoli di zanzare, nessuna strada. L’elicottero porta gli scienziati non può neppure posarsi per non sprofondare nella soffice torba che ricopre il permafrost: le operazioni di sbarco e di imbarco si devono fare a pale rotanti.
La soluzione dell’enigma di Tunguska ci riguarda tutti. Eventi di questo tipo si ripetono ogni 100-1000 anni. La potenza è pari a quella di mille bombe atomiche. Meglio non pensare a che cosa succederebbe se il bersaglio fosse una grande città. Tom Geherels, Università dell’Arizona, ha fatto dei calcoli: la probabilità di morire per l’impatto di un asteroide è di 1 su 6000, per un incidente aereo 1 su 20.000. Cifre così controintuitive da sembrare incredibili. Il fatto è che la caduta di un asteroide tipo Tunguska è sì molto più rara di un incidente aeronautico, ma le vittime che può fare si contano a milioni.
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