Quando eravamo giovani sentire un buco nello stomaco non ci spaventava così tanto: dopo un po’ l’avevamo dimenticato, presi come eravamo dalla vita.
Quando eravamo giovani se ci svegliavamo di notte d’estate ci mettevamo sul balcone a fumare una sigaretta e sentivamo il fresco delle piante e dei giardini che saliva e ci veniva di parlare delle stelle con la persona che ci stava accanto in silenzio e se non c’era nessuno ci veniva di immaginare di stare con quella persona e di parlarle del cielo e delle stelle.
Quando eravamo giovani poche cose ci facevano paura e ci sembrava di essere invincibili e che il mondo sarebbe caduto ai nostri piedi presto.
Pensavamo molto e pensavamo che le cose sarebbero sempre andate bene, anzi meglio, e che la nostra vita sarebbe stata sempre più felice.
Quando eravamo giovani non ci vergognavamo così tanto di noi e dei nostri sentimenti o se ci vergognavamo era una vergogna da timidi, da occhi bassi, che ci immaginavamo facesse tenerezza alle persone che ci piacevano.
Allora non avevamo un’idea granché chiara di come eravamo. Camminando ci guardavamo di sfuggita sulle vetrine per avere la conferma che in fondo non eravamo poi tanto male. C’era sempre qualcosa però nel nostro corpo o nel nostro modo di camminare che ci faceva sentire ancora goffi e diversi dagli altri e le occhiate che davamo al nostro riflesso sulle vetrine continuavano ancora a essere di traverso come se stessimo per incontrare con lo sguardo qualcuno che non conoscevamo bene, ma che ci avrebbe comunque fatto piacere incontrare.
La nostra timidezza ci impediva di avvicinare le donne che ci piacevano, che erano, come noi, timide. A loro ci si accostava quasi con paura di essere ricacciati indietro, cercando il punto esatto sul quale ci dovevamo fermare per non far capire troppo quanto ci sarebbe piaciuto poterci stringere un po’ a loro, magari solo toccando con la stoffa dei jeans la loro gamba stando accanto. Quando questo accadeva o quando accadeva la sera di poter restare a dormire nella stessa stanza, nel letto accanto e parlare un poco, un poco solo, nel buio, la nostra faccia doveva essere tutto un sorriso, ma non c’erano vetrine su cui ci si poteva specchiare compiaciuti.
In realtà quello che ci piaceva era proprio sentire dentro il respiro che si faceva più largo, questo languore che ci prendeva accanto a loro .
Vivevamo allora in una casa piena di donne. Non sapevamo come eravamo, cosa ci piaceva, nessuno ci aveva insegnato queste cose. Sperimentavamo per la prima volta la libertà. Sentivamo di vivere in modo molto diverso da quello che ci era abituale e che la nostra risata era più allegra, che lo sguardo a volte si alzava da terra, ma ci sembrava così tanto bello poterlo fare per un po’, per qualche giorno, che non chiedevamo di più.