"Nel paese di mia madre v'è un campo quadrato, cinto di gelsi.
Di là da quel campo altri campi quadrati, cinti di gelsi.
Roggie scorrenti vi sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire.
La terra s'allarga a misura del cielo, e non si sa dove vada a finire.
Nel paese di mia madre v'han ponti di nebbia, che il vento solleva da placidi fiumi: varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi.
Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan de l'acque il fluire: quando ne' rami s'impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire.
Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia, e ronzano mosche lucenti, ghiotte, intorno a un ammasso di concio.
Possanza di morte, possanza di vita, nell'odore del concio: ne gode la terra dall'humus profondo, sotto la vampa d'agosto che immobile sta.
Nel paese di mia madre, quando il tramonto s'insaguina obliquio sui prati, vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via: la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all'aie fiorite di lucciole, vecchia canzone di gente lombarda:
"La Violetta la vaaa la vaaaa..."
"Fammi uguale, Signore, a quelle foglie moribonde, che vedo oggi nel sole tremar dell'olmo sul più alto ramo.
Tremano, sì, ma non di pena; è tanto limpido il sole, e dolce il distaccarsi dal ramo, per congiungersi alla terra.
S'accendono alla luce ultima, cuori pronti all'offerta; e l'agonia, per esse, ha la clemenza di una mite aurora.
Fa ch'io mi stacchi dal più alto ramo di mia vita, così, senza lamento, penetrata di Te come del sole."
Ada Negri