Marco Cedolin
Ormai dagli anni 90 abbiamo iniziato ad entrare in confidenza con proclami che facendo leva sul sentimento di unità nazionale, imponevano sacrifici, duri ma necessari, tirate di cinghia dolorose ma non procastinabili, piccoli grandi "fioretti" da compiere necessariamente oggi, per stare meglio domani.
Prima si è trattato di un "castigo" volto a rifondere gli sperperi e la dissolutezza occorsi negli anni di tangentopoli.
Poi di un tributo da pagare per la costruzione di una grande Europa che ci avrebbe consentito di giocare la parte del leone nell'economia stravolta dalla globalizzazione.
Poi ancora di un investimento nel futuro, finalizzato alla creazione dell'euro, la moneta magica e definitiva in grado di farci vincere le sfide del nuovo millennio.
Poi ancora di lacrime e sangue indispensabili per fare recuperare al nostro paese ed al suo sistema industriale la competitività perduta.
Infine di quello che Giulio Tremonti molto pomposamente definisce un "tornante della storia" , necessario per salvare l'euro e la BCE, o se preferite per rispondere alle imperanti richieste dei mercati.
Il tornante della storia paventato da Tremonti altro non è che l'ultima puntata (o meglio il suo trailer) di una corsa del gambero ormai ventennale, nel corso della quale sempre più ampie risorse della collettività sono state alienate a favore del sistema finanziario e dell'economia di rapina ad esso correlata.
Creando progressivamente disoccupazione, riduzione del potere di acquisto di salari e pensioni, annientamento dei diritti, eliminazione di ogni prospettiva per le nuove generazioni.
Il tornante della storia attraverso il quale Tremonti, ligio alle direttive di Bruxelles più ancora che a quelle di partito dove serpeggia il terrore per la perdita dei consensi, tenterà di recuperare 24 miliardi di euro, ben sapendo che alla fine i miliardi dovranno essere almeno una sessantina, non spaventa per le misure contemplate nella manovra. Misure in larga parte confusionarie, raffazzonate, prive di qualsiasi visione in prospettiva e del tutto inadeguate ad ottenere i risultati prospettati.
E neppure spaventa per il fatto che la manovra, pur nascondendosi dietro una facciata populista che declama tagli agli emolumenti della classe politica e dei grandi manager, colpisca come sempre i soliti noti, aumentando di fatto la pressione fiscale e riducendo le prospettive occupazionali ed il potere di acquisto delle famiglie.
Il tornante della storia spaventa, poiché l’ennesima “mazzata” (di cui la manovra rappresenta solo una prima tranche) andrà a colpire un paese già in stato di profonda catatonia, assai lontano da quell’Italia in ripresa che non più tardi di un anno fa veniva “raccontata” sui giornali e in TV.
Un paese dove, a dispetto delle ridicole cifre fornite dall’Istat, un cittadino su due in età lavorativa non ha un lavoro degno di questo nome. Dove l’elenco delle imprese che chiudono i battenti ogni mese (gran parte delle quali per delocalizzare all’estero la produzione) somiglia per dimensioni a quello del telefono. Dove larga parte delle imprese che ancora restano in piedi o resistono alle sirene della delocalizzazione riescono a sopravvivere solo grazie al sussidio della cassa integrazione.
Dove milioni di giovani senza lavoro saranno costretti a vivere in famiglia a tempo indefinito, sperando che lo stipendio o la cassa integrazione dei genitori possano durare a lungo. Dove il piccolo commercio è stato da tempo annientato dalla grande distribuzione che adesso sta andando all’assalto degli ambulanti.
Dove la piccola impresa, strangolata dai mercati e dalle banche, è una categoria in via d’estinzione. Dove l’ammontare dei pignoramenti per insolvenza non viene reso noto, perché basterebbe esso solo a fiaccare ogni rigurgito di ottimismo.
Dietro al tornante non troveremo ad accoglierci altro che il precipizio e forse costituirebbe esercizio di eccessiva ingenuità sperare di riuscire a frenare in tempo, recuperando una qualche forma di sovranità monetaria, fermando l’emorragia della delocalizzazione, tentando di costruire prospettive occupazionali in nuovi settori magari legati alla riconversione industriale, trasferendo alle famiglie una parte della ricchezza indebitamente incamerata dai grandi poteri finanziari. Ma si tratterebbe comunque di un tentativo fondato sulla logica e con qualche prospettiva di successo.
Prima si è trattato di un "castigo" volto a rifondere gli sperperi e la dissolutezza occorsi negli anni di tangentopoli.
Poi di un tributo da pagare per la costruzione di una grande Europa che ci avrebbe consentito di giocare la parte del leone nell'economia stravolta dalla globalizzazione.
Poi ancora di un investimento nel futuro, finalizzato alla creazione dell'euro, la moneta magica e definitiva in grado di farci vincere le sfide del nuovo millennio.
Poi ancora di lacrime e sangue indispensabili per fare recuperare al nostro paese ed al suo sistema industriale la competitività perduta.
Infine di quello che Giulio Tremonti molto pomposamente definisce un "tornante della storia" , necessario per salvare l'euro e la BCE, o se preferite per rispondere alle imperanti richieste dei mercati.
Il tornante della storia paventato da Tremonti altro non è che l'ultima puntata (o meglio il suo trailer) di una corsa del gambero ormai ventennale, nel corso della quale sempre più ampie risorse della collettività sono state alienate a favore del sistema finanziario e dell'economia di rapina ad esso correlata.
Creando progressivamente disoccupazione, riduzione del potere di acquisto di salari e pensioni, annientamento dei diritti, eliminazione di ogni prospettiva per le nuove generazioni.
Il tornante della storia attraverso il quale Tremonti, ligio alle direttive di Bruxelles più ancora che a quelle di partito dove serpeggia il terrore per la perdita dei consensi, tenterà di recuperare 24 miliardi di euro, ben sapendo che alla fine i miliardi dovranno essere almeno una sessantina, non spaventa per le misure contemplate nella manovra. Misure in larga parte confusionarie, raffazzonate, prive di qualsiasi visione in prospettiva e del tutto inadeguate ad ottenere i risultati prospettati.
E neppure spaventa per il fatto che la manovra, pur nascondendosi dietro una facciata populista che declama tagli agli emolumenti della classe politica e dei grandi manager, colpisca come sempre i soliti noti, aumentando di fatto la pressione fiscale e riducendo le prospettive occupazionali ed il potere di acquisto delle famiglie.
Il tornante della storia spaventa, poiché l’ennesima “mazzata” (di cui la manovra rappresenta solo una prima tranche) andrà a colpire un paese già in stato di profonda catatonia, assai lontano da quell’Italia in ripresa che non più tardi di un anno fa veniva “raccontata” sui giornali e in TV.
Un paese dove, a dispetto delle ridicole cifre fornite dall’Istat, un cittadino su due in età lavorativa non ha un lavoro degno di questo nome. Dove l’elenco delle imprese che chiudono i battenti ogni mese (gran parte delle quali per delocalizzare all’estero la produzione) somiglia per dimensioni a quello del telefono. Dove larga parte delle imprese che ancora restano in piedi o resistono alle sirene della delocalizzazione riescono a sopravvivere solo grazie al sussidio della cassa integrazione.
Dove milioni di giovani senza lavoro saranno costretti a vivere in famiglia a tempo indefinito, sperando che lo stipendio o la cassa integrazione dei genitori possano durare a lungo. Dove il piccolo commercio è stato da tempo annientato dalla grande distribuzione che adesso sta andando all’assalto degli ambulanti.
Dove la piccola impresa, strangolata dai mercati e dalle banche, è una categoria in via d’estinzione. Dove l’ammontare dei pignoramenti per insolvenza non viene reso noto, perché basterebbe esso solo a fiaccare ogni rigurgito di ottimismo.
Dietro al tornante non troveremo ad accoglierci altro che il precipizio e forse costituirebbe esercizio di eccessiva ingenuità sperare di riuscire a frenare in tempo, recuperando una qualche forma di sovranità monetaria, fermando l’emorragia della delocalizzazione, tentando di costruire prospettive occupazionali in nuovi settori magari legati alla riconversione industriale, trasferendo alle famiglie una parte della ricchezza indebitamente incamerata dai grandi poteri finanziari. Ma si tratterebbe comunque di un tentativo fondato sulla logica e con qualche prospettiva di successo.
Nella corsa del gambero prospettata da Tremonti non si manifesta alcuna volontà di frenare, via a tutta forza verso il burrone, entreremo probabilmente nella storia, ma come sempre dalla porta sbagliata.