Senti come dice bene Nietzsche, in una pagina dello «Zarathustra» (III, «Sul Monte degli Ulivi»; traduzione di Liliana Scalero, Longanesi & C., 1972) che è anche un piccolo gioiello di poesia:
«L’inverno, un malvagio ospite, sta qui in casa da me: le mie mani sono livide dalla stretta amichevole della sua mano.
Io lo rispetto, questo malvagio ospite, ma lo lascio volentieri seder lì solo. Scappo volentieri da lui; e se si corre bene, gli si può sfuggire!
Con piedi caldi, e caldi pensieri, corro là dove vento non soffia, verso l’angolo pieno di sole del mio uliveto.
Là rido del mio ospite severo, ma gli sono riconoscente che egli a casa mi scacci le mosche e attutisca molti piccoli rumori.
Egli infatti non può soffrire quando una mosca vuol mettersi a cantare; o, peggio ancora, due mosche; e rende la strada così solitaria, che la luce della luna ha paura di splendervi la notte.
Egli è un ospite duro, ma io lo rispetto, e non mi metto subito ad adorare l’idolo del fuoco con la sua grossa pancia, come fa la gente delicata.
Meglio ancora battere un poco i denti, piuttosto che adorare degli doli; così son fatto io. In special modo ce l’ho con tutti gli idoli del fuoco, così brucianti, umidi, fumosi.
Quando amo qualcuno, lo amo più d’inverno che d’estate; adesso, da quando l’inverno mi siede in casa, mi prendo meglio beffe dei miei nemici, con cuore più fermo.
Con cuore più fermo, davvero, anche quando vado a raggomitolarmi a letto: anche là ride e si scapriccia la mia felicità, raggomitolato anche là ride il mio sogno menzognero.
Sono forse uno di quelli che si raggomitolano e strisciano? Mai nella vita ho strisciato davanti ai potenti, e se ho mentito, l’ho fatto per amore. Perciò sono felice anche nel mio letto invernale.
Un lettuccio modesto mi scalda più di un letto sontuoso, perché sono geloso della mia povertà. Ed è in inverno ch’essa m’è più fedele.»