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De: lore luc (Mensaje original) |
Enviado: 20/01/2011 08:25 |
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QUESTA MAGISTRATURA E' INTOCCABILE I SUOI ERRORI CI COSTANO 400 MILIONI
di Anna Maria Greco
Ecco i risarcimenti ai cittadini vittime di ingiusta detenzione o di errori giudiziari negli ultimi 10 anni. Ma nello stesso periodo sanzioni dure solo per una decina di toghe. La Corte europea ha condannato l'Italia a ripetizione per le sentenze lumaca. Ma il Csm fa da scudo alla Casta
Strumenti utili
Roma - La Casta, com’è stata chiamata quella dei magistrati, difende se stessa con la giustizia «domestica» e corporativa. Quella del Csm, dove si celebrano i processi promossi dai titolari dell’azione disciplinare: il ministro della Giustizia e il Procuratore generale della Cassazione.
Nell’ultimo decennio in Italia la media dei magistrati colpiti dalla rimozione dall’ordine giudiziario per gravi illeciti disciplinari, è di 1,3 ogni anno. Tra il 2000 e il 2007 la sanzione più grave è stata applicata 6 volte, nel triennio 2008-2010 ha riguardato 7 toghe. Nel 2008 le sanzioni disciplinari di vario grado hanno colpito meno dello 0,5 per cento dei magistrati.
Per il Pg della Suprema Corte Vitaliano Esposito, che ne ha parlato all’inaugurazione dell’anno giudiziario, qualcosa sta cambiando. Ma rimane il fatto che l’altissimo numero degli esposti di privati cittadini, dice l’alto magistrato, «è la testimonianza più evidente dell’insoddisfazione, largamente diffusa, per il “servizio giustizia”». Delle 1.382 denunce arrivate lo scorso anno alla Procura generale ne risultano 573 di privati, anche se per Esposito in realtà sono molti di più per un errore di classificazione. Le cause intentate dai cittadini vittime di ingiusta detenzione o errori giudiziari, negli ultimi 10 anni sono costate allo Stato italiano circa 400 milioni di euro. A questa insoddisfazione dei cittadini, secondo il Pg, «non si può sempre ovviare con lo strumento disciplinare, concepito dal legislatore come rimedio specifico per reprimere situazioni di grave patologia comportamentale dei magistrati». Esposito sottolinea che ci sono «altri strumenti» nell’ordinamento per contrastare i comportamenti colpevoli dei magistrati. Il problema è che leggi come quella sulla responsabilità civile delle toghe, rimangono lettera morta. E i dati della Commissione europea per l’efficacia della giustizia dicono che nella classifica della severità delle sanzioni applicate ai suoi membri, la magistratura italiana si trova al sesto posto fra i Paesi del Consiglio d’Europa. Spesso non solo giudici e pm non pagano per inchieste basate sul nulla, violazioni dei criteri di competenza, dispendiose e spettacolari azioni che portano dopo anni ad archiviazioni, ma neppure questo ha riflessi sulla loro carriera politica, come dimostrano tanti casi di promozioni e normale scalata nella carriera malgrado curricula fortemente macchiati. Nella recente riforma dell’ordinamento giudiziario si pone fine all’automatismo e si introducono le valutazioni periodiche di professionalità e produttività, ma il sistema è ben lontano dall’essere a regime. Ci vorrebbero, tra l’altro, gli standard di produttività delle toghe previste dalla legge. Per il settore civile, però, è partita in grave ritardo questo mese solo la prima sperimentazione in tre città (Bologna, Firenze e Caltanissetta), mentre per il penale siamo in alto mare. Il Pg della Cassazione spiega che da due anni trasmette al Csm fascicoli da archiviare perché non sono stati individuati comportamenti illeciti, che però evidenziano «vistose cadute di professionalità, non solo tecnica», perché se ne tenga conto nella progressione di carriera e per l’attribuzione di incarichi direttivi. Ma è il Csm a decidere e la forza delle correnti a Palazzo de’ Marescialli è sempre forte.
Quello dei ritardi nel deposito delle sentenze è un problema enorme. Ed Esposito denuncia: «Non siamo più in grado neanche di pagare gli indennizzi dovuti per la violazione dei canoni di un giusto e celere processo (legge Pinto, ndr.». La Corte europea di Strasburgo ci ha condannato per 475 casi di ritardi nel pagamento dei risarcimenti: si è passati da quasi 4 milioni di euro del 2002 agli 81 del 2008, di cui ben 36,5 non ancora pagati. Esposito richiama i capi degli uffici giudiziari, chiede controlli maggiori per velocizzare i tempi della giustizia e smaltire l’arretrato che soffoca i tribunali. Ma sono richiami che sentiamo ogni anno e quasi sempre rimangono inascoltati.
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De: clicy21 |
Enviado: 31/01/2011 08:30 |
Qui da me di giudici particolari diciamo ve ne sono diversi, dei loro errori non hanno mai pagato, sono sempre e solo stati spostati in altre sezioni, solo uno che era in forza alla sezione fallimenti, fu trasferito a moncalieri....pero' con promozione! Un altro, sempre dei fallimenti, veniva chiamato 1%, anche lui trasferito dai fallimenti al civile. Credo che basti! Sicuramente Berlusconi non sara' un santo, ma da qui ad accusarlo con accanimento esasperato di infamie spaventose.........ci sono solo due cose secondo me: il terrore dei magistrati, csm e anm, di perdere i loro privilegi ed i loro inciuci se viene fatta la riforma della magistratura, e da parte politica l'ansia violenta di prendere potere e soldi! Del letto del berlusca non mi frega nulla, in fin dei conti a lui piace e le donne lo fanno per soldi e ricerca di fama vedesi d'addario, quella sporca della macri' etc, alla faccia del piu' santo ipocrita! Del berlusca mi interessa solo che ci faccia rimanere in democrazia e liberta' di pensiero e che riesca a fare le riforme tranquillamente, ma con questo clima d'odio e di accanimento come e' possibile! D'alema sporco mestatore e tutti gli altri posteggiati in parlamento o in fondazioni da fini a veltroni da bersani a prodi mi fanno paura nella loro incapacita' e nella loro avidita' spasmodica! Inoltre la magistratura piange miseria e per queste allucinanti indagini hanno speso circa €400 milioni mah Ely |
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Da “la Stampa”
Dossier contro la Bocassini, indagato il leghista Brigandì
Il consigliere leghista è accusato di "abuso d'ufficio": ha passato i documenti sulla pm al Giornale
ROMA Abuso d’ufficio. Questo il reato ipotizzato nei confronti del consigliere laico del Csm, Matteo Brigandì, nell’indagine aperta dalla procura di Roma in relazione ad un articolo scritto da Il Giornale sul pm Ilda Boccassini. In particolare il consigliere del Consiglio superiore della magistratura sarebbe accusato di aver fornito documenti interni al Csm alla giornalista Anna Maria Greco che ha poi redatto un articolo sul procuratore aggiunto di Milano e su un procedimento disciplinare nei suoi confronti risalente agli inizi degli anni ’80.
L’iniziativa dei magistrati di piazzale Clodio è scattata dopo una segnalazione ufficiale giunta dal Csm, il cui Comitato di Presidenza, «preso atto delle iniziative giudiziarie in corso», si è riservata «l’adozione di ogni eventuale ulteriore provvedimento di sua competenza».
Oggi l’abitazione della cronista è stata perquisita dalle forze dell’ordine: i carabinieri hanno proceduto al sequestrato del pc della giornalista e a quello del figlio. I militari dell’Arma, inoltre, hanno apposto i sigilli all’ufficio al Csm del consigliere Brigandì. Nei giorni scorsi Brigandì aveva smentito di aver dato a Il Giornale gli atti del procedimento disciplinare sul pm di Milano. «Ovviamente non sono stato io - aveva detto la scorsa settimana - e se qualcuno sostiene questa cosa ne risponderà nelle sedi legali possibili». Il consigliere ha inoltre affermato di aver «chiesto al Csm una serie di documenti, compreso quel fascicolo, che ho letto per un quarto d’ora e poi ho restituito».
La perquisizione nell’abitazione della giornalista ha scatenato una forte polemica politica. Il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, riferendosi ai magistrati ha parlato di una «casta che per l’ennesima volta mostra il suo volto violento e illiberale». Per il direttore «la perquisizione nell’abitazione privata della collega non solo è un atto intimidatorio ma una vera e propria aggressione alla persona e alla libertà di stampa». Per Anna Maria Greco siamo in presenza di «un attentato alla nostra professione. Se non si possono più pubblicare atti che io ritengo non coperti da segreto, atti vecchi di 30 anni, parte di un procedimento chiuso, è chiaro che c’è un attacco al nostro lavoro».
Sulla vicenda è intervenuto il segretario generale della Fnsi Franco Siddi, sottolineando come ormai «nello scontro politica-magistratura ne fanno le spese i giornalisti: non se ne può più, ora basta».
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Da “il Giornale”
Incursioni Quando Cossiga fece intervenire l’Arma alla riunione del Csm
Non ha violato solo l’abitazione della nostra cronista, Anna Maria Greco, e la redazione romana del Giornale l’inchiesta romana per abuso d’ufficio a carico della presunta fonte sul procedimento disciplinare del 1982 a carico di Ilda Boccassini, Matteo Brigandì. I carabinieri hanno bussato anche alla porta del Csm. E non è la prima volta che accade. Vent’anni fa, fu l’allora presidente della Repubblica a inviare sempre i carabinieri a Palazzo dei Marescialli. Accadde nel ’91, il 14 novembre, quando il presidente-picconatore ritirò la convocazione di una riunione del plenum nella quale erano state inserite cinque pratiche sui rapporti tra capi degli uffici e loro sostituti sull’assegnazione degli incarichi. Cossiga riteneva che la questione non fosse di competenza del plenum e avvertì che se la riunione avesse avuto luogo avrebbe preso «misure esecutive per prevenire la consumazione di gravi illegalità». I consiglieri del Csm si opposero con un documento e si riunirono. In piazza Indipendenza, alla sede del Csm, affluirono i blindati dei carabinieri e due colonnelli dell’Arma vennero inviati a seguire la seduta. Ma il caso fu risolto subito, perché il vicepresidente, Giovanni Galloni, non permise la discussione.
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Da “il Tempo”
Quando una cronista de Il Giornale, Anna Maria Greco, una collega con i fiocchi, viene perquisita e invitata a denudarsi, quando la magistratura pensa di disporre del tuo corpo, della tua mente e della tua penna, allora significa che la libertà personale è ridotta a una povera cosa. Quando il ministro degli Esteri che compie il suo dovere nel rispondere a un’interrogazione parlamentare finisce indagato, allora significa che il Parlamento è ridotto a una povera cosa. Quando violare la riservatezza delle indagini sulle mutande pazze del Presidente del Consiglio è considerato un atto degno del premio Pulitzer, mentre raccontare le documentate effusioni della magistratura provoca blitz delle forze dell’ordine, allora significa che la libertà di stampa è ridotta a una povera cosa. Quando si scatena una faida all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura e un suo componente viene inquisito su segnalazione dello stesso organo di cui fa parte, allora significa che la giustizia è ridotta a una povera cosa. È uno scenario orribile, ma il regalo più grande che il Cavaliere possa fare ai suoi nemici è quello di perdere il controllo.
La miglior risposta all’assalto dei pm e dei loro corifei non è la rissa nel fango, ma la politica. Lo scriviamo da mesi, il presidente del Consiglio sta giocando a scacchi con la morte, pensi in grande - come ha dimostrato di saper fare - ascolti Giuliano Ferrara, detti l’agenda, metta al lavoro il governo, chiami il Parlamento a esprimersi sul piano nazionale di crescita economica e sbugiardi il partito della rapina patrimoniale. Il premier non è un totem da mostrare alla massa vociante e informe. Lasci agli avversari le piazze piene e le urne vuote. Berlusconi è ancora il capo del governo.
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"La Boccassini voleva arrestare Garibaldi"
di Paolo Bracalini
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Roma - «Ho avuto delle esperienze micidiali, io, con Ilda Boccassini...». Si parlava del tricolore, del Benigni patriottico («un saltimbanco, ha fatto un sacco di errori storici...»), dei discendenti di Giuseppe Garibaldi tutti all’estero, in Francia, Canada e Inghilterra («dove c’è un vero stato di diritto»), e poi il viso di Anita Garibaldi, pronipote del generale dei Mille, si fa scuro mentre affiora un ricordo drammatico. «Una sera, molti anni fa, vengono a casa mia degli uomini della Digos e mi dicono: “Lei ci deve seguire, è implicata in un traffico d’armi”. Subito dopo mi portano qui dietro, in una caserma, dove trovo lei».
La Boccassini. «Con Gherardo Colombo. Sono stata sotto torchio fino alle 5 del mattino, con la Boccassini che ripeteva: “Lei mi deve confermare che Pillitteri (allora sindaco socialista di Milano, ndr) ha preso tangenti”».
Parliamo della «Duomo connection», albori di Mani pulite. «Era l’inizio della guerra a Craxi, e io, che stavo nella direzione nazionale Psi, fui scaraventata dentro, in modo violento. Si immagini se Pillitteri veniva da Milano per dirmi che aveva preso tangenti!».
Mafia, droga, politici corrotti. E anche una nipote dell’Eroe dei due mondi. «La mattina successiva a quella notte, quindi qualche ora dopo l’inizio dell’interrogatorio, sulla prima pagina di Repubblica c’era già il mio nome. Con l’immagine di un triangolo: mafia, massoneria, partito socialista».
Perché fu tirata in mezzo lei? «Non lo so, nel Psi ero conosciuta perché se qualcuno mi mandava una scatola di cioccolatini gliela rimandavo indietro. Col cognome che porto non volevo avere nulla di nulla sul mio conto. Forse però dava risalto mediatico all’inchiesta. Ogni mattina venivano fuori le veline su Repubblica».
Dopo quell’interrogatorio cosa successe? «Mi chiamò a Milano, in tribunale. Cinque ore in aula, continuava a dirmi: “Io la denuncio! La denuncio per reticenza! Non è vero! Lei lo sapeva!”. Con violenza. Alla fine, senza più forza, mi sono alzata e ho detto al presidente: “Dica alla signora Boccassini che se vuole denunciarmi mi denunci, però io non rispondo più”. E mi sono seduta. Ho sentito tanti applausi nell’aula...».
Finì così? «Macché. Sono tornati ancora una volta a casa mia, hanno messo a soqquadro tutto, si sono presi anche un medaglione di mio nonno, un reperto storico. Scrissi al capo della Polizia Vincenzo Parisi che mi rispose con una lettera, disse che era una cosa indegna. Poi la Boccassini scoprì che avevo un figlio...».
Anche lui interrogato? «Era da poco tornato dall’Inghilterra per stare qui. Due poliziotti si presentarono dal capo del personale della sua azienda dicendo che mio figlio era coinvolto in affari malavitosi. Lo portarono in tribunale. Mio figlio, abituato all’Inghilterra, rimase sconvolto. L’azienda gli fece capire che non era più gradito, lui si licenziò. Cadde in una depressione fortissima. Alla fine siamo riusciti a riportarlo in Inghilterra, l’abbiamo fatto curare, ma è stato segnato, come me».
Poi le accuse che fine hanno fatto? «Finito tutto in nulla, archiviato, perché non c’era niente. Io persi le consulenze che facevo, l’Avanti non volle più firmare i miei pezzi, il Psi mi chiamò dai probiviri».
E Craxi? «Eravamo amici, avevamo trascorso ore insieme nella casa di Milano a passare in rassegna i suoi cimeli garibaldini. Lui amava Garibaldi. Quei cimeli poi li ha lasciati ai figli, so che Bobo li ha venduti, anche malamente credo».
Ha visto Benigni? «Uno sproloquio... Quante castronerie. Ha detto che il tricolore deriva dalla Beatrice del Purgatorio, ma invece l’origine è la bandiera cispadana. Poi che Garibaldi prese in Argentina le stoffe rosse per le divise. Ma Garibaldi combatteva contro gli argentini, se fosse andato a Buenos Aires lo avrebbero fatto a pezzi! Quella stoffa era a Montevideo, che lui difendeva».
In Rai c’è una minifiction su Anita Garibaldi. «Sì, fatta dalla moglie di Italo Bocchino. Da quel che so mi pare abbiano saccheggiato il mio libro».
L’hanno chiamata? «Ma neanche per sogno».
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da "il Giornale"
Non riesce a trovare il killer: la pm ipnotizza il testimone
Un giudice che fa ipnotizzare un teste per estrargli con la tenaglia della scienza ricordi confusi non s’era mai visto. Almeno nelle stanze del Csm. Anche perché è vietato. L’articolo 188 del codice di procedura penale parla chiaro: non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi e tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. E questo, naturalmente, per garantire la libertà della persona e la genuinità della prova. Tutte questioni che Paola C., Pm in una città delle Marche, ha pensato bene di superare di slancio. Il caso è difficile, spinoso. C’è un cadavere, quello di Carlo A., e c’è un teste, Mario N., che ha trovato il corpo dell’amico ucciso ed è stato interrogato dal Pm. Il punto è che lo choc è grande, i ricordi un cratere di guerra, le parole balbettii... La memoria, come quella di un computer, dev’essere recuperata per fornire all’investigazione spunti preziosi. Intento nobile, ma di difficile attuazione almeno sul fronte penale. Il Pm invece va dritto per la sua strada e il 22 giugno 2006 dispone una seduta ipnotica cui sottoporre il teste nella speranza di afferrare quel che è stato rimosso. Mario, va detto, è consenziente ma questo per il Csm vale poco o nulla. La capacità di autodeterminazione è comunque pregiudicata, come si legge nei documenti ufficiali. Paola C. si ritrova nei guai. E si difende: la richiesta è arrivata dalla polizia giudiziaria, con l’intento di rimuovere il blocco che come un lucchetto sigillava la memoria. Eccolo, il punto: lei non ha mai ritenuto di poter catturare informazioni utili alle indagini, in un frustrante stato di stallo, con questa tecnica. E infatti di quelle sedute non è mai stato verbalizzato nulla. Semmai pensava di poter eliminare in questo modo lo choc e dunque di poter finalmente interrogare nel modo migliore il teste. Non dimentichiamo infatti che Mario ha fatto scena muta: ripeteva di non poter riferire nulla, ma proprio nulla sulla scena del crimine. Tabula rasa. Insomma, l’ipnosi doveva servire solo per ritrovare quei file perduti. Oltretutto Mario ha mantenuto in quegli incontri la piena capacità di intendere e in ogni caso le sollecitazioni del medico specialista non hanno fatto breccia. I ricordi sono rimasti nascosti da qualche parte e non sono venuti fuori. Tutto vero. Ma per il Csm non si può giocare con la coscienza. Mai. Nemmeno per la migliore delle intenzioni. (...) Con l’ipnosi, il teste o chi per lui diventa uno strumento nelle mani di chi lo utilizza. E questo è proibito nel modo più assoluto. (...) Per la Disciplinare, la violazione del codice c’è tutta. È stato scavalcato l’articolo 188 del codice che è un muro a salvaguardia di valori importantissimi. E così la punizione, per quanto contenuta, non può non scattare. Il 29 gennaio 2007 Paola C. viene condannata all’ammonimento. |
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da "il Giornale"
La giudice in pelliccia chiede l’elemosina
Sono le 19.00 del 25 maggio 2001. Federico E., ispettore di polizia, ha appena lasciato il Palazzo di giustizia di una città della Sardegna. Fa pochi passi e vede due persone che chiedono l’elemosina. La prima indossa abiti stracciati, ha il volto sofferente, è la classica mendicante, l’altra no: è ben vestita e ingioiellata. Strano. La osserva meglio (...) davanti a lui, con la mano tesa, c’è Lucia A., sostituto procuratore della Repubblica. Non ci sono dubbi (...). L’ispettore (...) scrive il suo rapporto: ha visto un magistrato, in prima linea contro il crimine, chiedere l’elemosina, per di più a due passi dal tempio della giustizia... È facile immaginare che anche i giudici del Csm siano rimasti basiti nell’affrontare un caso così scivoloso... Un magistrato accattone, sia pure per pochi minuti... L’episodio viene ricostruito: Lucia A. ammette tutto offrendo, naturalmente, la propria versione. La storia più o meno è questa: intorno alle 19.00 incontra a due passi dall’ufficio Maria, così si chiama la poveretta, una donna che conosce ormai da 3 mesi. Di lei sa tutto, anche la sua penosa via crucis: una situazione familiare difficilissima, problemi su problemi, uno status economico sul ciglio della sopravvivenza. In tante altre occasioni l’ha aiutata, regalandole gli spiccioli, come spesso capita. Ma quella sera non ha niente in tasca e allora la vicenda prende un’altra piega... (...) Il magistrato ammette di essersi trovata in una situazione assurda (...) la ragione va cercata «in uno stato di stress non tanto a causa del lavoro quanto a un malessere interiore». (...) Il difensore del Sostituto procuratore sottolinea «la forte tensione solidaristica che anima la dottoressa verso persone in condizioni di miseria materiale e spirituale»; poi si sofferma «sulle particolari condizioni di salute in cui versava in quel periodo la nominata». (...) Un magistrato che va in strada a chiedere l’elemosina e sta male, può continuare a fare il magistrato? (...) Il Csm studia in profondità la pratica. E di fatto si àncora per la decisione alle conclusioni cui è giunto il perito. Che afferma: «La condotta sintomatica del 25 maggio 2001 si iscrive... a partire proprio dalla devastante esperienza depressiva che aveva presentato i caratteri di un collasso dell’io, in una sorta di emorragia dell’autostima, dai riflessi anche sulla percezione del proprio ruolo sociale e della propria identità professionale». Il Csm (ha) preso atto di questa diagnosi(...) e la pratica è stata archiviata. Alla fine, il dossier torna nelle mani della Disciplinare che il 7 luglio 2006 emette la sentenza. Un verdetto che ogni lettore giudicherà come riterrà. Lucia A. viene assolta «per aver agito in stato di incapacità di intendere e di volere... essendo rimasto provato che la stessa nel momento in cui ha commesso i fatti, non era in grado, per infermità, di comprendere il significato e la portata degli atti che compiva e di determinarsi secondo motivi ragionevoli». Ma se non era imputabile, proprio come un bambino, come poteva svolgere il proprio delicatissimo compito? |
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da "il Giornale"
Al magistrato la cena non piace: chiama i Nas e non paga il conto
Una cena a base di ricci di mare e saraghi. L’attesa che si trasforma in delusione, perché il pesce non è fresco. La rabbia che cova e monta, fino al litigio con il proprietario del ristorante. Che fare? Di solito, il cittadino normale paga, magari condendo il conto con qualche battuta pesante, si alza e se ne va per non tornare mai più, perché su quel locale ha messo una bella croce. (...) Ma se al tavolo è seduto un magistrato, le cose possono cambiare e il finale può essere imprevedibile. (...) È la sera del 21 marzo 2004. Mattia F., giudice in una città della Sicilia, va dunque in un ristorante nella terra dei Malavoglia di Giovanni Verga. È insieme alla moglie e sta pregustando una cenetta da incorniciare. Invece no, è il crollo delle aspettative. Pesce mediocre, anzi vecchio, meglio lasciarlo nel piatto. E lui non lo tocca, poi inizia a litigare con il padrone. A questo punto il colpo di scena: telefona ai carabinieri, si qualifica come «magistrato in servizio presso il tribunale » della città sicula, ottiene nel giro di pochi minuti una «pattuglia automontata », secondo la definizione da lui stesso data in una relazione di servizio.
E che cosa fanno i militari? Chiudono alla grande la strepitosa serata sequestrando 5 chilogrammi di prodotti ittici. Il magistrato se ne va, non si sa se soddisfatto, ma certo senza pagare il conto che nel parapiglia nessuno ha osato portargli. (...) «Nelle 116 relazioni sociali e istituzionali » si legge nel capo d’incolpazione «il magistrato non utilizza la sua qualifica al fine di trarne vantaggi personali» e comunque «non si serve del suo ruolo per ottenere benefici o privilegi». Elementare. Avremmo capito e condiviso un’azione energica se il pasto fosse stato seguito da una notte in bianco, da mal di pancia o da vomito. (...) Le analisi successive compiute dai carabinieri con l’aiuto di un veterinario dell’Asl hanno dimostrato che il pesce «era stantio ma sicuramente commestibile» e in ogni caso non aveva subìto processi di congelazione. (...) Il magistrato però dà un’altra versione (...): è stato il ristoratore, quando lui si è lamentato, a rispondere «in modo sgarbato e incivile, tenendo un atteggiamento arrogante ».
A questo punto, Mattia F. si è trasformato in paladino della collettività ferita e umiliata, si è preoccupato per la salute dei futuri clienti, ha chiamato il 112 con il cellulare e ha dato il via non a un’azione di rappresaglia, come potrebbe sembrare a chiunque, ma a un intervento delle forze dell’ordine a tutela del bene comune. Addirittura. Mah! E il conto? Ovvio, non l’ha saldato perché non ha mangiato. E nessuno in ogni caso gliel’ha chiesto. (...) Aveva ragione Mattia F., almeno a sentire il Tribunale dei giudici. Che cita la Cassazione: «La legittimazione a sollecitare l’intervento delle forze dell’ordine, sia per far constatare l’avvenuta commissione di illeciti sia per ricercare una bonaria composizione... spetta certamente al magistrato come a qualsiasi cittadino». (...) Il 29 gennaio 2007 Mattia F. viene assolto.
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De: clicy21 |
Enviado: 09/03/2011 09:36 |
Caro Enzo e' di oggi su IlGiornale....la realta' di questi procedimenti contro Berlusconi....sono tutti volutamente forzati....perche' BERLUSCONI VA' LEVATO DI MEZZO bella novita' un s'era capito, ma ora pare ci siano anche le prove!! |
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Resto dell'idea che se si fosse limitato ad amministrare non avrebbe avuto alcun problema. Ha voluto riformare e le riforme fanno traballare abitudini consolidate. Adesso salta fuori che la fine delle stragi è legata a certi "accordi". La politica è anche l'arte del compromesso e Berlusconi non è un politico. Sarà meglio che mi fermi. Palamara, spero di non storpiare il nome, ha chiesto ad un sito le generalità di quanti hanno lasciato commenti a lui poco graditi.
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Citazioni tratte da interviste [modifica]
Intervista a Sky Tg24 del 17 gennaio 2008
- La battaglia contro la magistratura è stata perduta quando abbiamo abrogato le immunità parlamentari che esistono in tutto il mondo e quando Mastella, da me avvertito, si è abbassato i pantaloni scrivendo sotto dettatura di quell'associazione tra sovversiva e di stampo mafioso che è l'Associazione nazionale magistrati.
- [Rivolgendosi al segretario dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara] I nomi esprimono la realtà. Lei si chiama Palamara e ricorda benissimo l'ottimo tonno che si chiama Palamara. [...] Io con uno che ha quella faccia e che ha detto quella serie di cazzate non parlo. Maria, fai tacere quella faccia da tonno.
- Nominare Di Pietro Ministro della Giustizia, altrimenti arrestano anche la moglie del Presidente del Consiglio.
- Totò Cuffaro è stato condannato per un reato ridicolo.
- Le intercettazioni hanno ormai il posto che avevano prima i pentiti. Ma i primi mafiosi stanno al CSM. [Sta scherzando?] Come no? Sono loro che hanno ammazzato Giovanni Falcone negandogli la DNA e prima sottoponendolo a un interrogatorio. Quel giorno lui uscì dal CSM e venne da me piangendo. Voleva andar via. Ero stato io a imporre a Claudio Martelli di prenderlo al Ministero della Giustizia.
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Sotto processo il pm che processò lady Mastella
Magistrati
che sbagliano. L'ex procuratore capo che indagò anche il leader
dell'Udeur Clemente Mastella è finito sotto processo per calunnia:
avrebbe accusato un collega sapendolo innocente
Prima è finito sotto processo per calunnia aggravata e abuso d’ufficio,
ora sospeso con effetto immediato dal Consiglio superiore della
giustizia tributaria che lo ha rimosso, temporaneamente, dalla
poltrona di presidente di sezione della commissione tributaria di
Napoli. è l’epilogo, poco entusiasmante,dell’ex procuratore capo di
Santa Maria Capua Vetere, Mariano Maffei, la toga che indagò l’allora
ministro della Giustizia, Clemente Mastella (che si dimise provocando
la caduta del governo Prodi), e che firmò gli arresti domiciliari per
la moglie Sandra Lonardo, all’epoca dei fatti presidente del Consiglio
regionale della Campania.
Arresti spiegati in una surreale conferenza stampa, cliccatissima su
Youtube , durante la quale Maffei chiedeva a decine di giornalisti,
con registratore in mano, di astenersi dal registrare le sue parole
mentre le telecamere riprendevano tutto. La sospensione dell’ex pm, che
dopo essere andato in quiescenza è divenuto, appunto, presidente di
sezione d’appello della commissione tributaria di Napoli, è scaturita da
una lunga istruttoria relativa al processo che vede l’ex procuratore
alla sbarra al tribunale di Roma per presunte irregolarità legate
all’iscrizione nel registro degli indagati di due suoi ex colleghi,
l’aggiunto Paolo Albano, ora procuratore capo a Isernia, e il pm
Filomena Capasso, a cui venivano contestati fatti ritenuti del tutto
insussistenti.
L’inchiesta da cui tutto nasce riguardava un medico ospedaliero e i
presunti reati di falso e di abuso d’ufficio che Maffei contestava
agli ex colleghi.
Il pm Giancarlo Amato, che ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio
dell’ex capo della procura sammaritana, ha sostenuto che la denuncia
per Albano e Capasso è stata fatta in assenza di qualsiasi elemento
accusatorio e ben sapendo che i due magistrati non erano responsabili
di quanto gli veniva addebitato. E il procedimento romano che sta
sancendo l’epilogo professionale di Maffei nasce proprio da un esposto
presentato dagli ex colleghi denunciati. L’accusa di abuso di ufficio
si basa dunque sul presunto arbitrio esercitato da Maffei in violazione
dell’articolo 335 del codice di procedura penale che consente
l’iscrizione nel registro degli indagati solo di effettive notizie di
reato pervenute dalla polizia giudiziaria o acquisite di iniziativa
dagli uffici della procura.
Per la procura di Roma, invece, Maffei ha cagionato intenzionalmente un
ingiusto danno al procuratore Albano. Si legge infatti nella richiesta
di rinvio a giudizio dei pm (accolta dal gup Maurizio Silvestri): «In
realtà siffatta iniziativa era stata assunta in totale assenza di
qualsiasi elemento accusatorio (...) nei confronti del dottor Albano,
di fatto a quel punto prontamente e doverosamente iscritto quale
indagato dalla procura della Repubblica di Roma». Ma il magistrato
romano va oltre e spiega che la decisione di Maffei «trovava semmai
giustificazioni in precedenti dissidi personali e o professionali con il
precedente collega». Quanto all’accusa di calunnia, per i magistrati,
Maffei avrebbe incolpato il collega Albano pur conoscendone l’innocenza e
in assenza di alcuna effettiva notizia di reato a suo carico. All’ex
procuratore capo vengono attribuite «reiterate, indebite e
ingiustificabili condotte, con il sostegno di tre suoi fidati sostituti
». Nelle denunce presentate dagli ex colleghi di Maffei si legge che i
suoi comportamenti avrebbero avuto «conseguenze non più rimediabili
sulla serenità di molti dei magistrati in servizio, nonché sulla
corretta conduzione della procura» e si parla di «clima insostenibile
di sospetti, di comportamenti vessatori, di illecite indagini condotte
sull’attività di colleghi dell’ufficio ».Ma l’ex procuratore capo di
Santa Maria Capua Vetere salì agli onori della cronaca anche perché il
suo ufficio venne accusato di aver sottovalutato tutta una serie di
indicazioni suscettibili di approfondimenti investigativi (comprese
alcune intercettazioni shock) che coinvolgevano l’ex presidente della
Provincia di Caserta, Sandro De Franciscis, a lui vicino per uno
stretto legame parentale. |
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De: clicy21 |
Enviado: 22/03/2011 10:10 |
che l'aria della riforma stia facendo cambiare il vento??? Una buona notizia che ha fatto esultare di gioia tanti italiani e' che finalmente un magistrato di buon senso, forse intelligente e saggio, cortrariamente a tanti altri suoi colleghi otturati, ha giudicato LEGITTIMA DIFESA e quindi assolto il tabaccaio inquisito per l'omicidio di un delinquente, che armato, stava rapinando nel suo negozio! Si aprono, speriamo, nuovi scenari anche per l'autotutela delle attivita' private...che non e' possibile tuttelare singolarmente! Speriamo! un salutone Enzo ed a tutti! Ely |
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Ho la licenza di caccia dal 1964 e sono iscritto al Tiro a Segno Nazionale: qualcosa sulle armi penso di saperla. La legittima difesa è da valutare con la massima attenzione. Il tabaccaio assolto in appello ha tribolato, mi pare sette anni, perché sparò in strada quando i rapinatori erano in fuga. Questo non è più legittima difesa. La sentenza non è stata depositata, pare che il giudice lo abbia assolto perché ha trovato continuità d'azione tra il primo colpo sparato in negozio ed i successivi in strada determinati dall'eccitazione causata dal tentativo di difesa. Vorrei che la sentenza fosse monito per i rapinatori, ma non mi illudo. |
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