C'è troppo odio, qui si rischia la guerra civile
Popolo Viola, Pd, Di Pietro: convinti di prender voti cavalcando la violenza verbale. Meglio essere sommersi dagli africani / PANSA
E'
un mestiere da poco quello di scoprire l’acqua calda. Eppure è il lavoro che si sono messi a fare molti politici, intellettuali, opinionisti, televisionisti. Ha scoperto l’acqua calda, e lo dico con gran rispetto, persino il Presidente della repubblica, Giorgio Napolitano. Quando a New York ha rivelato ai suoi interlocutori americani che nella vita pubblica italiana sta prevalendo l’odio e c’è un sentore di guerriglia imminente.
Parlo di acqua calda perché da mesi pochi giornali e pochi giornalisti, tra questi il sottoscritto, stanno scrivendo che la battaglia politica è degenerata in una rissa brutale. E prima o poi si muterà in guerra civile. Combattuta non soltanto con le parole della rabbia, o con i lanci di monetine, bensì con altri mezzi. Ho letto sul «Corriere della sera» di ieri un allarmato editoriale di Pierluigi Battista. Il titolo diceva: “Sull’orlo del precipizio”. Mi sono sembrati un articolo e una titolazione fuori tempo. Nel precipizio ci siamo già. I buoi sono ormai fuggiti dalla stalla. E hanno l’aspetto dei tori infuriati, pronti a travolgere tutti e tutto.
Essendo cresciuto con il mito dei freschi inchiostri all’alba, ho sempre letto ogni giorno molti quotidiani. Lo facevo con piacere e curiosità, non soltanto professionale. Adesso continuo a farlo con fatica perché raccontano un’Italia che mi spaventa sempre di più.
Lo stesso accade con i telegiornali e i talk show. Sono diventati un diario di sciagure. Spesso conditi di una faziosità aggressiva e arrogante. Tanto che, a proposito dei talk show, occorre davvero qualche norma nuova, capace di dargli una bella regolata.
Siamo già nel precipizio, caro Battista, perché l’Italia non è più una democrazia degna di questo nome. L’istinto a combattersi si consuma ogni giorno. Il premier Berlusconi potrà piacere o no. Ma pure chi non lo ha votato, come il sottoscritto, non può accettare quanto sta avvenendo. Il capo del governo non è più in grado di mettere la testa fuori dai suoi uffici senza essere contestato, insultato, assediato. Prima o poi, qualcuno ci regalerà il bis del pazzoide Tartaglia. Non più armato di un piccolo Duomo di Milano fatto di marmo, bensì di qualche arma da fuoco.
La moderazione dovrebbe essere la virtù numero uno dei capi politici. Ma tanti di loro ignorano dove stia di casa. Mi allarma vedere il leader del Pd, Pierluigi Bersani, un signore che apprezzavo per la saggezza, trasformarsi ogni volta in un capopolo urlante. Non sopporto più il suo intercalare urlato. Con gli “okei!” che sottolineano ogni concetto. Quasi per dire a chi lo ascolta: avete capito bene, teste di cazzo?
Il partito di Bersani, e qualunque altro partito di sinistra, di centro e di destra, non dovrebbe mai ordinare dei sit-in davanti a Montecitorio. La Camera e il Senato, così come Palazzo Chigi e il Quirinale, sono i luoghi sacri della nostra democrazia repubblicana. Non conta chi li abiti, per il tempo concesso dagli elettori. Anche se gli inquilini fossero i peggiori in quel certo momento, la loro intoccabilità dovrebbe essere cara a chiunque. Ho visto in tivù, e poi nelle foto sui giornali, i volti degli infuriati che hanno lanciato le monete contro i politici di centro-destra all’ingresso di Montecitorio. Erano in maggioranza persone di mezza età o più anziane, stravolte dall’ira. Sapete che cosa mi hanno ricordato?
Voglio dirlo, facendo gli scongiuri: le folle socialiste e comuniste del primo dopoguerra, parlo del 1919-1920, il famoso e iellato Biennio Rosso. Quando il popolo di sinistra era convinto di essere a un passo dalla vittoria politica e di poter imporre la rivoluzione proletaria. ome ci spiegano tutti i libri di storia, quelle folle vennero disperse nel giro di pochi mesi dall’assalto degli squadristi fascisti, appena nati. Attenzione: non dobbiamo pensare che i giovanotti in camicia nera fossero soltanto dei mercenari, al servizio dei padroni industriali e agrari. Erano soprattutto militanti politici, avversari del socialismo. E non volevano che il Psi e il Pci prendessero il potere in Italia.
Sempre la storia, ci ha insegnato una verità che non conosce deroghe: ogni spinta genera una contro spinta, a ciascuna azione corrisponde una reazione. Per nostra fortuna, la destra odierna è un’area politica frantumata, divisa, e dunque pacifica, per scelta o per obbligo. Ma mi domando quel che sarebbe accaduto se, nel pomeriggio di mercoledì, i lanciatori di monetine si fossero visti arrivare addosso un gruppo di giovani armati di mazze da baseball. Pronti a mazzolare tutti, uomini, donne, urlatori di mezza età o con i capelli bianchi.
Da qualche anno, la sinistra italiana, nelle sue forme più varie, dal cosiddetto Popolo viola sino ai no global e ai centri sociali più violenti, è convinta di avere il monopolio della piazza. E di poter fare e disfare come gli pare e piace. Eccitata non da tribuni della plebe, bensì da tromboni seduti in Parlamento. O addirittura dai vertici di un partito. E non mi riferisco soltanto ad Antonio Di Pietro. Anche se lui è l’incendiario più noto e per bassi scopi elettorali: mangiarsi un po’ dei voti che oggi vanno al partito di Bersani.
La politica della piazza ha già fatto molti danni. Non sto parlando di ciò che è successo persino durante l’ultima Festa nazionale dell’Unità. Quando il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, rischiò di prendersi in faccia un razzo lanciato da una figlia di papà, pasionaria di un circolo antagonista. E non parlo neppure delle battaglie di strada che si susseguono da mesi, in tutte le grandi città italiane. Nel silenzio quasi totale dei giornali.
Il danno vero è un altro. È la convinzione che combattere nelle piazze produca un fatturato politico rilevante. E possa cambiare l’assetto politico del Paese. Quando questa convinzione si trasformerà in certezza, l’Italia diventerà il terreno di scontro per una nuova guerra civile, fra due contendenti che hanno deciso di annullarsi a vicenda.
Di guerre civili ne abbiamo già sperimentate due. La prima all’inizio degli anni Venti del Novecento. La seconda fra il 1943 e il 1945, anzi sino al 18 aprile 1948. Vogliamo viverne una terza? Se è così, ci rimane una sola speranza. Quella di essere sommersi da milioni di clandestini sbarcati dall’Africa del nord. Saranno loro a far sparire l’Italia, prima ancora che sia distrutta dalle bande rosse, nere, bianche e azzurre. Tutta robaccia nazionale, made in Italy.
di Giampaolo Pansa