Torino, da Cabiria ai thriller
è questa la città dov'ènato il cinema
Una scena di "I giorni dell’abbandono", film girato a Torino con Margherita Buy e Luca Zingaretti
Argento ha esaltato le atmosfere alla De Chirico Sorrentino ha ambientato la scene de "Il divo"
MAURIZIO TERNAVASIO
Torino Te il cinema, una storia infinita. Il 7
novembre 1896, nell’ex ospizio di Carità di via Po 33, si tenne una
delle prime proiezioni di «esperimenti filmografici». E nel 1914 nel
capoluogo sabaudo, per iniziativa dell’ex violinista Giovanni Pastrone,
furono gettati i semi del kolossal «Cabiria», cui aveva collaborato
anche Gabriele d’Annunzio. Allora erano attivi ben 14 stabilimenti di
produzione: ecco il motivo per cui si dice che il cinema italiano sia
nato a Torino. A quell’epoca risale l’espressione «non fare il cine» per
invitare qualcuno a non esibirsi in inutili scene, che erano
prerogativa di coloro che gravitavano attorno a un mondo considerato da
sfaccendati.
Ma se si parla di film girati in città, vengono in
mente in particolare due fermo immagine, entrambi del ‘75: Jacqueline
Bisset e Marcello Mastroianni al mercato del Balôn per «La donna della
domenica» di Comencini, tratto dall’omonimo romanzo di Fruttero &
Lucentini, ma anche gli scorci notturni di piazza Cln e la splendida
facciata liberty della precollinare palazzina Scott per «Profondo
rosso», il thriller di Dario Argento che ha esaltato l’architettura
torinese e alcune sue atmosfere alla De Chirico.
In mezzo,
scorrono i fotogrammi di 60 anni di grande cinema. Mentre in città
lavorano i produttori Gualino e De Laurentiis, e negli studi Fert di
corso Lombardia si fanno le ossa Antonioni, De Santis, Germi, Blasetti e
Fellini, le telecamere non vengono più guardate con sospetto. E così,
al parco del Valentino, nel ‘40 si gira «Addio giovinezza!», più tardi
interi quartieri ricoperti di macerie fanno da sfondo a «Il bandito» di
Alberto Lattuada con Anna Magnani e Amedeo Nazzari. Il ‘55 è l’anno di
«Le amiche» di Michelangelo Antonioni, accusato dalla stampa torinese di
aver fatto vedere «solo le vie più brutte», e nel 1959 si sceglie la
Barriera di Milano ancora in costruzione come location di «Esterina» di
Lizzani, protagonista una giovanissima Carla Gravina. A parte «The
italian job» (1969), con gli spettacolari inseguimenti delle Mini Cooper
sulla pista del Lingotto e sul tetto del Palazzo a Vela, il decennio
‘60 per il cinema torinese è tutto sommato marginale.
Ben prima
dell’inizio dell’attività della Film Commission (2000), Torino - città
ancora esclusivamente industriale - viene scelta come set (la fabbrica,
il grigio della nebbia e dello smog, i disagi degli immigrati) per
pellicole di un certo impegno. Così nel ‘72, all’epoca dell’autunno
caldo, Lina Wertmüller vi ambienta «Mimì metallurgico ferito
nell’onore», e otto anni più tardi Gianni Serra porta sullo schermo la
tetra periferia di Mirafiori in «La ragazza di via Millelire». Nel ‘95
Mimmo Calopresti gira «La seconda volta»: Nanni Moretti e Valeria Bruni
Tedeschi passeggiano lungo il Po e in corso Cairoli, poi fanno la spesa
in un supermercato di via Santa Teresa. Nel ‘98 Gianni Amelio mette in
scena una cupa e livida metropoli degli anni ‘50 e ‘60 (Porta Nuova, via
della Consolata, piazza San Carlo) in «Così ridevano», che si aggiudica
il Leone d’oro di Venezia.
Con il nuovo millennio molte
inquadrature tendono a concentrarsi in luoghi selezionati ma un po’
ripetitivi: piazza Maria Teresa, l’isola pedonale della Crocetta, piazza
Cavour, ma anche Vanchiglia e via Moncalvo. I residenti all’inizio si
lamentano per la presenza dei grossi camion sotto casa che tolgono
posteggi e fanno rumore, ma poi capiscono che quella del cinema è per la
città un’occasione irripetibile. E allora accettano di buon grado, e
anzi sbirciano curiosi, quando nel 2001 Marco Ponti gira
«Santamaradona», protagonista Stefano Accorsi, in cui Torino è in realtà
il puzzle di molti luoghi. Due anni dopo Davide Ferrario scomoda
addirittura la Mole Antonelliana per girarvi in digitale il
pluripremiato e fascinoso «Dopo mezzanotte», che in un crescendo di
notturni fa pure una puntata alla Falchera. Nello stesso anno la città
presta i suoi fondali anticati a «La meglio gioventù» di Marco Tullio
Giordana, che nella versione tv porta in tutta Italia le arcate un po’
delabrée di via Po e l’ex tribunale. Nel 2005 la macchina
Gianni Amelio
da
presa di Roberto Faenza accompagna l’accoppiata Buy-Zingaretti in giro
per il centro: per la locandina dei «Giorni dell’abbandono» viene scelto
il «frame» del tram che sta per travolgere la protagonista in
un’innevata via Accademia delle Scienze. Poi nel 2007 c’è lo strano caso
del «Divo» di Paolo Sorrentino, che per raccontare la storia di Giulio
Andreotti ambienta la pellicola a Roma, effettuando però numerose
riprese (quasi un falso storico) nel capoluogo piemontese (via Carlo
Alberto, carcere delle Vallette, piazza Carignano, via Cesare Battisti,
via Bertola, ponte Rossini).
Valeria Solarino è bellissima e
torinese, anche se nata in Venezuela da padre siciliano. E il sempre più
convincente e meno emergente Filippo Timi qualche mese dopo l’affianca
in «La signorina Effe» di Wilma Labate. Così torna ancora una volta sul
grande schermo la grande fabbrica e il fiume, ma pure la Falchera:
nell’ultimo decennio anche le periferie hanno contribuito a migliorare
l’immagine di una città in cui si continuano a girare i film senza però
«mai fare il cine».
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