Alessandro L, 48 anni, dirigente in azienda ma anche attivista No Tav, è stato colpito da un lacrimogeno un mese fa mentre scattava foto a Chiomonte. Ha già subito due interventi ricostruttivi: "E pensare che sono un carabiniere in congedo"...
Alessandro L.E' tornato sotto i ferri del chirurgo a un mese di distanza da quando, durante le proteste anti-Tav in Val di Susa del 24 luglio scorso, un candelotto sparato dalle forze dell'ordine lo ha colpito in pieno volto, tra la base del naso e il labbro superiore.
L'intervento è stato necessario per ricostruire mascella e gengive con tre placche di titanio e dodici viti legati da elastici odontoiatrici che gli terranno bloccata la bocca per due settimane. La prognosi è di 45 giorni. «Me ne avevano dati 20 per tenere basso il livello ed evitare problemi giudiziari», sostiene, «quando neppure per un ragazzo di 20 anni sarebbero bastati, figurarsi per un uomo di 48 anni come me».
Perché Alessandro L., attivista No Tav, non è un ragazzo, non frequenta i centri sociali, men chemeno è un black bloc: è invece un dirigente d'azienda valsusino che ha abbracciato la causa dei No Tav «per difendere come posso la mia terra, il futuro dei miei figli». Di più: Alessandro L. addirittura è un carabiniere in congedo, regolarmente iscritto all'Associazione nazionale carabinieri.
Questo è il
video, apparso su YouTube, di quel 24 luglio: Alessandro è disteso su una barella, coperto da una bandiera imbrattata del suo sangue. «Quella sera dovevamo proiettare un documentario su Paolo Borsellino al presidio di Cave S.Ambrogio», racconta Alessandro: «Avevamo ottenuto tutti i permessi, c'erano famiglie con bambini, avevamo organizzato passeggiate nel bosco».
Alle 21 però succede, almeno secondo il racconto del dirigente, che gli agenti iniziano a sparare lacrimogeni: «Non ho capito perché, dino a quel momento c'era un clima festoso, c'era soltanto qualcuno che batteva sui guard rail ma era una forma di protesta pacifica», dice Alessandro.
Allora lui, munito di maschera antigas, occhialini aderenti e mantellina anti-idranti, ha iniziato a scattare foto verso la Celere che caricava: «Stavo uscendo dal campeggio-presidio, a 200 metri dal cancello mi sono fermato. All'inizio i lacrimogeni venivano sparati verso l'alto. Poi qualcuno dei manifestanti ha cominciato a tirare pietre. Da un blindato, hanno tirato un candelotto che è arrivato sulla mia destra. Poi un altro che invece mi ha centrato sotto il naso».
Alessandro è alto un metro e 87, pesa un quintale eppure il colpo lo ha sbattuto a terra con violenza. «Subito è uscito molto sangue. Il lacrimogeno ha continuato a sprigionare gas vicino alla mia faccia. Qualcuno poi l'ha buttato nel fiume». Subito l'effetto è stato devastante: «Una parte della bocca si è staccata, la pelle della faccia e le gengive spaccate. Tre fratture al setto nasale, una decina sulla parte superiore, il trauma mi ha fatto perdere temporaneamente anche la vista».
Quella sera Alessandro è stato prima portato all'ospedale di Susa, poi trasferito alle Molinette di Torino. Risultato: un'operazione chirurgica e tre settimane a semolino somministrato con la cannuccia. Poi, qualche giorno fa, il secondo intervento, più pesante del primo. Ora lo aspetta una lunga serie di interventi ricostruttivi e un lungo ricovero al reparto maxillo-facciale. Alessandro non trova pace al pensiero che queste cose possano riaccadere: «Quel giorno, dopo quello che è successo a me il tiro ad altezza d'uomo dei razzi lacrimogeni non è cessato: anzi ci sono stati altri casi di persone ferite dovute allo stesso modo».
Eppure lui, da ex carabiniere, non è certo uno che ce l'ha con le forze dell'ordine: «Nel 2005 a Venaus ebbi una discussione accesa con alcuni ragazzi che tiravano pietre alla polizia. E quando morì Carlo Giuliani a Genova mi arrabbiavo con chi lo difendeva...».