Bahrami:"Così la musica è una matematica che diventa poesia"
Ramin Bahrami, 36 anni: l'iraniano devoto di Bach
Il pianista oggi all'Auditorium Rai
sandro cappelletto
torino
Ieri Firenze, oggi Torino, domani ancora Firenze,
dove è il protagonista di un Festival dedicato interamente a Bach. Ramin
Bahrami, 36 anni, nato a Teheran, cresciuto musicalmente in Italia,
residente in Germania, suona questo pomeriggio all’Auditorium Toscanini
della Rai, con inizio alle ore 17. In programma, due concerti di Johann
Sebastian Bach; prima della musica, le immagini: quelle realizzate nella
serie televisiva che Leonard Bernstein dedicò al compositore tedesco.
Maestro Bahrami, un fine settimana intensissimo, stressante. Come si rilassa? «Appena
posso, per rilassarmi faccio l’uncinetto. E non sono certamente
l’unico: basta frequentare i treni tedeschi per appurare che c’è un
esercito di maschi virilissimi impegnati a fare uncinetto».
Vedremo
se questa moda prenderà piede anche in Italia. La sua dedizione a Bach è
quasi esclusiva. Prima di parlare di musica: che idea si è fatta di
lui, come persona? «Amava la vita, amava amoreggiare, amava le donne».
Bach: ordine e libertà, numeri e poesia, rigore e fantasia. Insieme, senza fratture. «La
musica di Bach è una matematica che diventa poesia, ha un aspetto di
meditazione e di liberazione interiore molto vicine al pensiero
orientale. A volte, penso alle Variazioni Goldberg o all’Arte della
fuga, sembrano non avere né inizio, né fine. E quando qualcuno si
meraviglia del successo che Bach riscuote ancora oggi, io mi meraviglio
di questo stupore. Bach è un nostro contemporaneo».
Il nome Bach significa «ruscello», «torrente»... «Si
fermi! Ricorda la frase di Beethoven? "Nicht Bach, Meer sollte er
heissen". “Non ruscello, ma mare, oceano, si dovrebbe chiamare”.
Nient’altro da aggiungere».
Perché parla di democrazia, a proposito della musica di Bach? «Perché
lui ha una grande capacità di combinare le differenze esaltando le
individualità. Pensiamo alle voci che compongono una fuga: prendendo
ognuna delle linee che la formano abbiamo un mondo a sé stante, che
basterebbe ad allietare un’intera esistenza. Ma a lui questo non
bastava: combina assieme queste differenze, creando un cosmo magico in
cui tutti hanno diritto di coesistere».
In questo cosmo, dove si collocano i due concerti che eseguirà oggi con l’Orchestra della Rai? «Il
Concerto in re minore è, per le caratteristiche del dialogo tra
pianoforte e orchestra, il primo grande concerto per tastiera dove
matematica, poesia, sobrietà, virtuosismo si combinano a meraviglia. Il
Concerto in re maggiore, invece, nel primo e nell’ultimo movimento
rappresenta la freschezza, la gioia, lo spirito di festa tedesco, in
contrasto con il secondo movimento, l’Adagio, che è uno dei momenti più
lancinanti, malinconici e profondi dell’intera produzione bachiana. Qui,
lui tocca con un dito l’infinito».
Da quanto tempo non vede più il paese in cui è nato? «Non
sono più tornato nel mio meraviglioso paese da venti anni. Mio padre
era ingegnere, aveva lavorato per lo Scià, è stato incarcerato dal
regime degli ayatollah e dopo sette anni di prigionia è morto in
carcere: il referto parla di infarto, noi non ne siamo convinti».
Ha contatti con l’Iran di oggi? «Stiamo
vivendo un periodo buio, governati come siamo dai fascisti islamici,
che non lasciano libertà ai nostri giovani. E invece la nostra è una
cultura solare: pensi alla religione originaria della Persia, lo
zoroastrismo, che venerava la bellezza eterna del Sole».
Tra Torino e Firenze: come è nata l’idea del «World Bach festival»? «E’
nata nel mondo virtuale, dal gruppo fondato da me su Facebook. Dopo
pochi mesi avevamo raggiunto i 2500 membri. Confidandomi con l’amico
Mario Ruffini gli espressi il desiderio di passare dal virtuale al
reale. Lui è fiorentino, ha trovato in città risposte pronte. Musica,
cinema, teatro, teologia, filosofia, matematica: le arti e le scienze
riunite nel nome di Bach».
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