di Massimiliano Borgia
Alla vigilia della manifestazione No Tav di sabato, convocata dal movimento della valle di Susa per contestare l’eccessivo costo della Torino-Lione in rapporto ai ricavi futuri, si fanno strada i primi dubbi sulla reale disponibilità dei fondi necessari per realizzarla. La ripartizione dei costi, decisa da Francia e Italia, prevede, su un investimento complessivo della sola tratta transfrontaliera di 8,2 miliardi, poco più di 2,7 miliardi a carico della Francia e poco più di 2,8 a carico dell’Italia. Per gli altri 3,2 miliardi si spera in un contributo del 40 per cento dell’Unione europea. Ma proprio l’accordo per la Torino-Lione, sottoscritto tra i due stati, a Roma, il 30 gennaio, mette in luce il nervo scoperto dei finanziamenti in arrivo da Bruxelles, sempre più fondamentali per il futuro del progetto.
Nei cavilli elaborati dalle due diplomazie emerge infatti chiaro che proprio questi fondi europei, dati fino ad oggi per scontati, non sono così sicuri. All’articolo 1 del trattato, si dice che l’avvio dei lavori richiederà «un protocollo addizionale separato, tenendo conto, in particolare, della partecipazione definitiva dell’Unione europea». Detto in altre parole: per partire con i cantieri, servirà un altro accordo, quando ci sarà la certezza del contributo Ue. E poi, ancora, all’articolo 16: «La disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della “parte comune italofrancese” della “sezione internazionale”. Le parti si rivolgeranno all’Unione europea per ottenere una sovvenzione pari al tasso massimo possibile per questo tipo di opera». In pratica, una velata ammissione: non c’è la certezza che il contributo europeo sarà effettivamente del 40 per cento.
I finanziamenti sono all’interno della revisione delle reti europee Ten, Trans Europe network. Il Piano Ten è ora al vaglio della Commissione trasporti del Parlamento europeo. Poi l’europarlamento dovrà approvarlo definitivamente. «Intanto ne avremo fino alla fine dell’anno - prevede Eva Lichtenberger, europarlamentare tedesca del gruppo del Verdi, membro della Commissione trasporti, che recentemente ha visitato il cantiere della valle di Susa-. E c’è ancora spazio per provare a dirottare i soldi per l’efficienza delle linee esistenti. Poi, la notizia che l’Europa darà il 40 per cento dei fondi per la tratta internazionale della Torino-Lione, è stata diramata con eccessiva sicurezza dai governi italiano e francese. Non è affatto scontata”. Ma, oltre alla percentuale, ci sono anche dubbi sulla reale disponibilità complessiva per le opere Ten. Il commissario europeo ai trasporti Siim Kallas ha annunciato uno stanziamento di 31,7 miliardi di euro per tutte l'infrastruttura dei trasporti nelle reti Ten, per il prossimo periodo finanziario (2012-2020). Per i Verdi europei “non è vero che l’Europarlamento concederà 31,7 miliardi. La cifra sarà molto inferiore: si parla di 8 miliardi, che scateneranno la guerra tra i progetti dentro i 10 corridoi prioritari. E anche il tetto del 40 per cento, ammissibile per le tratte internazionali, gli Stati dovranno dimostrare di meritarlo con progetti davvero in fase avanzata”. Intanto, nella ricerca di fondi in questi anni di recessione, si fa avanti, di nuovo, l’ipotesi di stimolare i capitali privati. Viene fuori la novità del “project bond”.
Su questa soluzione, l’Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione, guidato da Mario Virano, ha ascoltato Carlo Secchi, il commissario europeo che sovrintende ai corridoi franco-ispanici. “Il meccanismo è questo – ha spiegato Secchi -. L’Unione europea emette dei project bond, cioè dei bond europei che servono ad offrire garanzie finanziarie contro i rischi di insolvenza. L’ombrello comunitario dovrebbe sbloccare banche e finanziarie nell’erogare prestiti al soggetto costruttore”. Resta comunque l’incertezza totale sulle tratte del progetto che non riguardano i nodi urbani. In una prima fase, che è quella oggetto dell’accordo, sarà realizzata solo la parte transnazionale. Per collegare davvero Torino e Lione, sarà necessario un nuovo accordo tra i due Stati. «La consistenza delle fasi successive - è scritto nell’accordo fra Francia e Italia - sarà definita dalle parti nell’ambito di accordi ulteriori». Un rinvio, che sa di rinuncia definitiva proprio per mancanza di soldi.