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Il dibattito è antico di secoli: l’opera d’arte deve solo essere bella o anche veritiera? È lecito inventare, e fino a che punto? La questione diventa fondamentale se il film si chiama Bella addormentata e, a oltre tre anni dalla morte di Eluana Englaro, dipana varie vicende (di fantasia) tutte nei sei giorni che precedono la sua eutanasia alla casa di cura La Quiete di Udine.
E il film di Bellocchio, per certi versi bello anche se lento, a tratti ricco di pathos e certamente ben recitato, non è mai veritiero, anzi, crea ad arte una grande confusione. Eluana non c’è – ci aveva predetto il regista – e infatti non c’è proprio, non nel senso che resta sullo sfondo, ma che ogni riferimento alla sua vicenda (quelli espliciti come le allusioni) induce il pubblico a credere in ciò che non è stato. Un senso lo avrebbe avuto, questo film tardivo e giunto dopo altre opere teatrali sul tema Eluana, se avesse voluto una volta per tutte far chiarezza e dire ciò che (quasi) nessuno ha mai raccontato, ma l’occasione è andata perduta e Bellocchio ricade nei soliti cliché.
Qualche esempio. Tra le storie ambientate nei giorni dell’agonia di Eluana c’è quella di un’altra giovane in stato vegetativo, figlia di un’attrice famosa che ne attende fanaticamente il risveglio. Non c’è nulla di ciò che realmente accade nelle migliaia di case in cui davvero si vive con un figlio in tali condizioni, nessuna traccia della fatica quotidiana e del coraggio, della speranza e della fede, nemmeno della povertà e delle battaglie per la vita, Bellocchio non deve aver mai superato una di quelle soglie: la ragazza, irrealisticamente bella e inanimata come una bambola di porcellana, vegeta ingioiellata in una casa bomboniera, tenuta in vita da una madre crudele ed egoista incapace di «lasciarla libera», occupata a strillare isterici rosari correndo avanti e indietro per i corridoi con tre suore ridotte a macchietta. Naturalmente il respiratore ansima e cadenza i silenzi, la giovane è attaccata "alla spina", la sua vita cioè non è autonoma. A differenza di quella di Eluana.
C’è poi il senatore del Pdl, figura altamente morale, dilaniato tra il "dovere" di votare in Aula secondo la volontà dell’allora premier Berlusconi o seguire la propria coscienza. Un toccante flash back rivela che in passato lui stesso aiutò sua moglie a morire. Una moglie già malata terminale, attaccata alle macchine, lucida, che chiedeva la sospensione di terapie ormai inutili. Nulla a che vedere con la disabile Eluana, eppure è proprio il senatore a definire analoghe la sua storia e quella di Beppino Englaro, «la cui grandezza è stata in questa Italia cinica e depressa di aver voluto agire nel rispetto della legge, nonostante le tante amorevoli sollecitazioni a risolvere la cosa in famiglia».
Un’occasione persa, dicevamo: dove, se non in un film verità, si possono raccontare luci e ombre insieme, con onestà imparziale, ponendo il problema - reale - del fine vita ma dicendo che un disabile non è un malato terminale, che non ha spine da staccare e quindi se non lo uccidi non muore? Che sulla carta Eluana è entrata a La Quiete di Udine «per un recupero funzionale» (sarebbe omicidio ricoverare una persona al fine di farla morire) «e la promozione sociale dell’assistita»?
Ancora: c’è poi la storia di Maria, figlia del senatore e attivista "pro life". In contrasto col genitore, parte per Udine e va a pregare sotto le finestre dietro le quali Eluana sta morendo (a proposito, nella versione di Bellocchio quando ciò accade le campane di Udine si sciolgono a festa...), ma lì tra un Padre Nostro e un’Ave Maria si innamora di Roberto, attivista laico sul fronte opposto, abbandona La Quiete, le amiche e le preghiere e corre in albergo con lui. Il primo piano insiste sul crocifisso che porta al collo, ma che si butta dietro le spalle mentre si spoglia.
Chi poi a Udine in quei giorni del 2009 c’era davvero ricorda bene la sobrietà dei credenti, che nel film appaiono invasati. Forse sono loro a fare irruzione in una stanza d’ospedale surreale dove decine di degenti giacciono ammassati, mandando all’aria lenzuola, frugando nei letti e urlando «non c’è»: cercano Eluana? Feroci e irreali anche molti medici, come quello che organizza scommesse su quanto durerà la sua agonia o il collega che parlando di una paziente «tossica» ne auspica con disprezzo la veloce dipartita.
Ed è proprio la drogata ad aprire e a chiudere con circolarità suggestiva, tagliente e ostile il film cui dà il titolo, perché la "bella addormentata" che si sveglierà è lei.
All’inizio la incontriamo in chiesa mentre ruba gli spiccioli dalle offerte e i fedeli in preghiera la scacciano senza pietà. Alla fine è in ospedale, dove rinuncia al suicidio grazie a un medico capace di amarla. Cattivi i credenti, buono il dottore. Lo stesso che poco prima l’aveva "salvata" anche da un incolpevole prete passato a benedirla e offrirle la sua vicinanza.