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De: enricorns  (Mensaje original) Enviado: 12/09/2012 17:21

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA: LE SOTTILI E VELENOSE FALSITA' DEL FILM DI BELLOCCHIO SU ELUANA ENGLARO


Il regista considera i cristiani pazzi invasati e fa passare l'idea che le persone come Eluana siano malati terminali (ma un disabile non muore se non viene ucciso!)
di Lucia Bellaspiga
 

Il dibattito è antico di secoli: l'opera d'arte deve solo essere bella o anche veritiera? È lecito inventare, e fino a che punto? La questione diventa fondamentale se il film si chiama Bella addormentata e, a oltre tre anni dalla morte di Eluana Englaro, dipana varie vicende (di fantasia) tutte nei sei giorni che precedono la sua eutanasia alla casa di cura La Quiete di Udine.

E il film di Bellocchio, per certi versi bello anche se lento, a tratti ricco di pathos e certamente ben recitato, non è mai veritiero, anzi, crea ad arte una grande confusione. Eluana non c'è – ci aveva predetto il regista – e infatti non c'è proprio, non nel senso che resta sullo sfondo, ma che ogni riferimento alla sua vicenda (quelli espliciti come le allusioni) induce il pubblico a credere in ciò che non è stato. Un senso lo avrebbe avuto, questo film tardivo e giunto dopo altre opere teatrali sul tema Eluana, se avesse voluto una volta per tutte far chiarezza e dire ciò che (quasi) nessuno ha mai raccontato, ma l'occasione è andata perduta e Bellocchio ricade nei soliti cliché.

Qualche esempio. Tra le storie ambientate nei giorni dell'agonia di Eluana c'è quella di un'altra giovane in stato vegetativo, figlia di un'attrice famosa che ne attende fanaticamente il risveglio. Non c'è nulla di ciò che realmente accade nelle migliaia di case in cui davvero si vive con un figlio in tali condizioni, nessuna traccia della fatica quotidiana e del coraggio, della speranza e della fede, nemmeno della povertà e delle battaglie per la vita, Bellocchio non deve aver mai superato una di quelle soglie: la ragazza, irrealisticamente bella e inanimata come una bambola di porcellana, vegeta ingioiellata in una casa bomboniera, tenuta in vita da una madre crudele ed egoista incapace di «lasciarla libera», occupata a strillare isterici rosari correndo avanti e indietro per i corridoi con tre suore ridotte a macchietta. Naturalmente il respiratore ansima e cadenza i silenzi, la giovane è attaccata "alla spina", la sua vita cioè non è autonoma.
A differenza di quella di Eluana.
C'è poi il senatore del Pdl, figura altamente morale, dilaniato tra il "dovere" di votare in Aula secondo la volontà dell'allora premier Berlusconi o seguire la propria coscienza. Un toccante flash back rivela che in passato lui stesso aiutò sua moglie a morire. Una moglie già malata terminale, attaccata alle macchine, lucida, che chiedeva la sospensione di terapie ormai inutili. Nulla a che vedere con la disabile Eluana, eppure è proprio il senatore a definire analoghe la sua storia e quella di Beppino Englaro, «la cui grandezza è stata in questa Italia cinica e depressa di aver voluto agire nel rispetto della legge, nonostante le tante amorevoli sollecitazioni a risolvere la cosa in famiglia».

Un'occasione persa, dicevamo: dove, se non in un film verità, si possono raccontare luci e ombre insieme, con onestà imparziale, ponendo il problema - reale - del fine vita ma dicendo che un disabile non è un malato terminale, che non ha spine da staccare e quindi se non lo uccidi non muore? Che sulla carta Eluana è entrata a La Quiete di Udine «per un recupero funzionale» (sarebbe omicidio ricoverare una persona al fine di farla morire) «e la promozione sociale dell'assistita»?

Ancora: c'è poi la storia di Maria, figlia del senatore e attivista "pro life". In contrasto col genitore, parte per Udine e va a pregare sotto le finestre dietro le quali Eluana sta morendo (a proposito, nella versione di Bellocchio quando ciò accade le campane di Udine si sciolgono a festa...), ma lì tra un Padre Nostro e un'Ave Maria si innamora di Roberto, attivista laico sul fronte opposto, abbandona La Quiete, le amiche e le preghiere e corre in albergo con lui. Il primo piano insiste sul crocifisso che porta al collo, ma che si butta dietro le spalle mentre si spoglia.

Chi poi a Udine in quei giorni del 2009 c'era davvero ricorda bene la sobrietà dei credenti, che nel film appaiono invasati. Forse sono loro a fare irruzione in una stanza d'ospedale surreale dove decine di degenti giacciono ammassati, mandando all'aria lenzuola, frugando nei letti e urlando «non c'è»: cercano Eluana? Feroci e irreali anche molti medici, come quello che organizza scommesse su quanto durerà la sua agonia o il collega che parlando di una paziente «tossica» ne auspica con disprezzo la veloce dipartita.
Ed è proprio la drogata ad aprire e a chiudere con circolarità suggestiva, tagliente e ostile il film cui dà il titolo, perché la "bella addormentata" che si sveglierà è lei.

All'inizio la incontriamo in chiesa mentre ruba gli spiccioli dalle offerte e i fedeli in preghiera la scacciano senza pietà. Alla fine è in ospedale, dove rinuncia al suicidio grazie a un medico capace di amarla. Cattivi i credenti, buono il dottore. Lo stesso che poco prima l'aveva "salvata" anche da un incolpevole prete passato a benedirla e offrirle la sua vicinanza.


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De: enricorns Enviado: 12/09/2012 17:25

Il film su Eluana

(di Daniele Ciacci su Tempi del 06-09-2012) «La vicenda di Eluana resta sullo sfondo. Marco Bellocchio non entra nei particolari e ciò sembra lo preservi da qualunque possibile critica di faziosità. Ma non è così». A tempi.it, Lucia Bellaspiga, giornalista di Avvenire e autrice del libro Eluana. I fatti, racconta di Bella addormentata, l’ultima fatica di Bellocchio presentata ieri al Festival del Cinema di Venezia: «Ci sono riferimenti concretissimi, in stile docu-fiction, con spezzoni dei telegiornali dell’epoca, accanto a riferimenti velati ma molto suggestivi, che inducono il pubblico a pensare che Eluana fosse come l’ha dipinta il regista. Ma Bellocchio mente».

Il film di Bellocchio raffigura il reale stato delle cose?
Assolutamente no. Si dà una descrizione sbagliata delle persone in stato vegetativo. Nel film, Bellocchio vorrebbe raccontare di una ragazza in quella condizione: bellissima, bionda, è Rosa, la figlia di Isabelle Huppert. Ha gli occhi sbarrati ed è attaccata alle macchine. Ma le persone in stato vegetativo non sono attaccate alle macchine. Eluana non era attaccata a nessuna macchina. Verso di lei non c’è stato alcun accanimento terapeutico. Quello che la malafede dei media vuole trasmettere, tuttavia, è l’opposto.

Cioè?
Chi ha visto Eluana, chi si è informato, sa benissimo che non era in stato terminale. Ben diversa, nel film, era la condizione della moglie del senatore. In un flashback si racconta che tal senatore, personaggio molto accattivante e ben reso dalla recitazione di Toni Servillo, ha spento la macchina che dava il respiro alla moglie, malata terminale. Eluana non era malata, sarebbe ancora qui se non l’avessero uccisa. Non serve a nulla scomodare il cardinal Martini o Giovanni Paolo II – quest’ultimo direttamente interpellato nel film, con la frase: «Lasciatemi andare alla casa del Padre», prontamente strumentalizzata –, perché il loro non è stato un “rifiuto dell’accanimento terapeutico”, quanto una presa di coscienza chiara della loro morte imminente. Entrambi sono morti di Parkinson. Eluana non aveva alcuna malattia quando è morta.

Sciogliamo qualche perplessità. Qual è la posizione della Chiesa rispetto all’accanimento terapeutico?
La Dottrina della Chiesa lo condanna tanto quanto l’eutanasia. Voler allungare a tutti i costi una vita che ha raggiunto il suo termine è una violenza pari ad uccidere. Nel 2002 Giovanni Paolo II, in una lettera ai medici, afferma che l’accanimento terapeutico non è rispettoso del malato e del suo diritto a morire naturalmente.

Nella pellicola quale concezione passa del gesto di Beppino Englaro?
Pietoso. Sembra che abbia messo fine alle sofferenze di Eluana. Peccato che Eluana non soffrisse minimamente e, ripeto, non era attaccata a nessuna macchina. In quei fatidici giorni avevo intervistato il dottor Carlo Alberto Defanti, neurologo di Eluana, favorevole all’eutanasia. Gli chiesi se Eluana soffrisse. Risposta: assolutamente no, non ha nessun tipo di patimento. Anzi, è molto sana, forte e ben curata dalle suore della Misericordia.

Quale visione dà il film delle famiglie aventi in casa un parente in stato vegetativo?
L’unico esempio che mostra è quello di Isabelle Huppert, una pazza scatenata che scorrazza per casa recitando il rosario con tre suore urlanti. Si trasmette l’equazione: vuoi tenere un figlio allo stato terminale? Sei un’egoista. Non lo fai per amore e, soprattutto, non hai risultati. Anche questa è una menzogna. Bellocchio non è mai entrato in nessuna casa dove viene accudita una persona in stato vegetativo, non ha mai visto l’amore, pacifico e doloroso, con cui i genitori curano i figli, non ha mai visto la fatica e la povertà di queste famiglie abbandonate da tutti. Se lo avesse fatto, avrebbe incontrato genitori che raccontano dei progressi dei figli. Al Besta di Milano, ad esempio, ci fu il caso di un paziente considerato da molti anni un vegetale. Eppure i familiari hanno mostrato che lui muoveva l’alluce per comunicare con loro. Tante volte nei pazienti in coma vegetativo è presente una coscienza minima. Sono presenti, lucidi, ma non riescono a muovere neanche un dito.

Insomma, Bellocchio non è stato così “neutrale” come vorrebbe farci credere…
Bellocchio non fa personaggi, fa macchiette. L’immagine che traspare, ad esempio, del mondo cattolico è falsa e raccapricciante. Ero sotto le finestre della clinica La Quiete di Udine quando Eluana è morta. Davanti alle porte c’era una folla di cattolici, per lo più della comunità di papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi. Avevano portato anche i loro figli in stato vegetativo: non per far bella mostra della loro condizione, ma per pregare senza fare alcuna sceneggiata. Figli, per inciso, molte volte adottati. Nel film di Bellocchio, questi sembrano pazzi isterici, che mostrano grottescamente i loro malati, e che urlano preghiere al vento. Fanno persino irruzione nell’ospedale.

È una caricatura del mondo cattolico.
Esatto. Nel film, una ragazza della comunità di don Benzì vede un bellissimo ragazzo, laicista, se ne innamora, molla Eluana, preghiera e compagnia e corre con lui in un hotel a far l’amore. Sposta persino il crocifisso d’oro mentre, nuda, si appresta ad “operare”. Insomma, una barzelletta. Anche i medici dovrebbero offendersi: nel film, uno è un biscazziere che scommette sulla morte di Eluana, un altro è insofferente nei confronti di una drogata che, cito, «continuerà a rompere i coglioni» se curata.



 
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