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Religione: V domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B)
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Respuesta  Mensaje 1 de 1 en el tema 
De: enricorns  (Mensaje original) Enviado: 29/09/2012 14:35
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Commento su Deuteronomio. 6, 1-9; Romani 13,8-14a; Luca 10, 25-37
don Raffaello Ciccone
V domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (30/09/2012)
Vangelo: Dt 6, 1-9; Rm 13,8-14a; Lc 10, 25-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 10,25-37)

Lettura del libro del Deuteronomio. 6, 1-9

Il Deuteronomio ("seconda legge") è chiamato così per l'obbligo che il re aveva di tenere presso di sé una copia della Legge ( "una seconda Legge") come guida del suo governo e della sua condotta (Deut. 17,18). Il Deuteronomio è il libro per eccellenza della Parola di Dio. Gli Ebrei lo chiamano Debarim ("Le Parole"). I suoi 34 capitoli sono strutturati sul verbo "Ascoltare" che significa: "obbedire, praticare quanto esce dalla bocca di Dio" (Deut. 8,3). E' impostato su tre discorsi di Mosé (cc. 1-4,5/ 5-28/ 29-30). Per Israele delinea le scelte di Dio e le scelte che il popolo deve fare perché in questa Alleanza ci siano pace, serenità, abbondanza di prodotti della terra e ricchezza di vita. "Io ti do la terra su cui abitare, ti do i comandi, le leggi e le norme, ti do la vita nei figli, - dice il Signore -tu devi mettere in pratica ciò che ti comando ed educare i tuoi figli perché con te accolgano la Legge".

Ma la ricchezza dell'Alleanza dipende da due sentimenti fondamentali: "temere il Signore" (v 2) e "amare il Signore" (v 5). Non si parla di gesti di culto né di offerte a Dio. Questo fu considerato un atto di omaggio e di offerta per il Signore e fu il modo universale di onorare la divinità nell'antichità ( ebrei e pagani), per propiziarla, e ingraziarla con i doni che, umilmente, i mortali le offrivano. Anche Israele entrò in questa prospettiva e si impegnò a costruire il tempio, mantenerlo nello splendore, di offrire doni. Anche il mondo cristiano ritenne che fosse un grande segno di amore offrire a Dio doni e materiale prezioso, costruire grandi cattedrali e abbellire sontuosamente riti e monumenti di cui siamo ancora fieri, quando ne ammiriamo la grandiosità, la bellezza ed il lavoro.

Ma il Signore Gesù non chiese questo e, in tutta la sua vita, visse poveramente. Egli proclamava la legge che non è un regalo a Dio, ma la condizione e il segreto che Dio ci offriva per maturare sapienza e libertà. Il Signore chiese il rispetto della legge perché ci voleva e ci vuole grandi. La legge era sapienza, era lo sviluppare al meglio la nostra vita che dal Signore stesso è stata modellata come il capolavoro creato a sua somiglianza. La legge è libertà perché ci scioglie da tutte le altre dipendenze. Dio è uno solo, mentre, attorno, gli esseri umani avrebbero trovato altri dei che avrebbero tentato di convincerli dei loro messaggi più interessanti, più coinvolgenti, più promettenti di felicità. Tu "temi ed ama" perché il mondo è difficile e pericoloso: stai attento ai pericoli della sfiducia e della dipendenza. Apri gli occhi sulle tante esperienze di lacerazioni quando ci si compromette con il potere, la vendetta, il danaro, le droghe. "Temi" per camminare fiducioso e fidati solo di Dio. "Ama"perché hai scoperto che il Signore è l'unica speranza e nel cuore si consumano tutte le ragioni di valore e tutti i sentimenti. "Ama con tutta l'anima" e l'anima è la vita, è il respiro dell'esistenza. "Ama con tutte le forze" e il Signore ci ricorda che vanno messi in gioco capacità, impegno intelligenza ed anche le possibilità finanziarie. "Disposto a vivere con intensità e ad offrire tutto."

Il Signore sa che un popolo si costituisce per un seguito di generazioni per cui non c'è solo una responsabilità personale, ma anche educativa. Educare è "ripetere e parlare", cioè impegnare sulla memoria e sulla razionalità le proprie energie. Ripetere significa educarsi ed educare poiché ripetere obbliga alla coerenza. Il parlare, ovunque, riporta al dialogo e, quindi, ai perché, alle verifiche, alla comprensione reciproca, alla fiducia e alla consapevolezza di ciò che conta davvero.

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 13,8-14a

Paolo avvertiva, mentre scriveva questa lettera, un certo disagio dei cristiani di fronte alle leggi dello Stato, ma, ancor di più, di fronte al comportamento delle autorità civili. Siamo attorno al 57/58 d.C., nel periodo di Nerone che finora si era comportato in modo eccentrico, pur non essendo ancora giunto alla persecuzione dei cristiani. Tuttavia nel mondo ebraico (e forse in qualche cristiano) serpeggiava un malcontento corrosivo e stava covando la rivolta che esploderà negli anni 70 d.C. a Gerusalemme. Così il capitolo 13 è dedicato al rapporto tra cristiani e le autorità civili. Nella prima parte (vv 1-7) Paolo si raccomandava di non lasciarsi coinvolgere in avventure, sapendo rispettare le leggi dello stato e pagando le tasse. "Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l'imposta, l'imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto" (vv 6-7).

E se si resta in dubbio sul come ubbidire od è difficile da comprendere, la legge di Dio può essere sintetizzata sotto un unico comando: "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (v 9). Questo garantisce di non sbagliare. Quando ti preoccupi di fare il bene dell'altro e di volergli bene oltre il tuo bene e a somiglianza di come vuoi bene a te stesso o come desideri che gli altri si comportino con te, allora compi la legge, e offri la pienezza a cui il Signore Gesù ci avvia.

Ma l'amore al "tuo prossimo" si allarga ad ogni membro della famiglia umana, unificata in Cristo (Gal 3,28;Mt 25,40), e non solo ai connazionali del medesimo popolo, come si intende nel Levitico.

Siamo nel tempo nuovo, nuovo perché supera il ritmo delle stagioni ed entra nel tempo della risurrezione, il tempo della fine e della pienezza, il tempo del popolo di Dio che cammina, costituito come Chiesa..

Il cristiano, fin d'ora «figlio del giorno», strappato dal mondo malvagio (Gal 1,4) e dal dominio delle tenebre, partecipa al Regno di Dio e del suo Figlio (Col 1,13); è già cittadino del cielo (Fil 3,20). Questa «situazione», così nuova, orienta tutta la morale (6,3s).

Siamo nel tempo ricco dello Spirito e le coppie: giorno-notte, luce-tenebre, veglia-sonno ci immettono nel tempo nuovo, visitato dal Signore risorto. Si sente la riflessione battesimale per cui questo è tempo di grazia.

Ci dovrebbe far ricordare il Qoelet che ci richiama: "Non è saggio chi afferma che i tempi antichi sono migliori del presente" (Qo7,10).

L'obbedienza e la collaborazione alla legge porta però il credente ad essere attento che veramente si rispetti il bene di ciascuno. Altrimenti non ci si dovrebbe sottomettere alla legge (ma qui si entra nella "prospettiva dell'obiezione di coscienza").

Resta comunque il dramma del male che tocca il tempo e noi vi siamo dentro, in pericolo di accomodarci e di dormirvi tranquilli. Come cristiani, siamo richiamati alla speranza e all'attesa del giorno nuovo, alla luce che sta per apparire e alla speranza, splendida di sole, di un rinnovamento.

Lettura del Vangelo secondo Luca 10, 25-37

Un maestro della legge pone a Gesù una domanda, complessa da una parte e astuta dall'altra. E' un maestro esperto e lo vuol mettere alla prova: "Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?".

L'evangelista Luca, approfittando dell'interrogativo così vasto e ricco di prospettive, sviluppa la risposta a questo quesito in tre testi diversi. E' come una catechesi per i credenti, dopo aver anticipato la designazione e l'invio in missione dei 72 discepoli nel mondo (72 come i popoli della terra (Gen.10), suggerendo la prospettiva di una vocazione universale alla vita eterna. Perciò, nella missione dei 72apostoli Gesù esprime la gioia di poter inviare nel mondo i piccoli a cui il Padre ha rivelato la pienezza di Gesù (10,1-24). Quindi, per ereditare il Regno,

1. devi "farti prossimo" a chi sta male (10,25-37);
2. tale operosità nasce dall'ascolto della parola di Dio in Gesù che ti mette in grado di nutrire un amore gratuito e profondo (10,38-42: Marta e Maria);
3. questo amore, questa rivelazione, questo coraggio nel vedere e soccorrere il prossimo si ritrovano attraverso la preghiera che ci apre al Padre: ed Egli ci offre lo Spirito (11,1-13).

Così un dottore della Legge vuole mettere alla prova Gesù e perciò lo tratta da discepolo. Gesù ribalta la domanda ed il maestro si deve fare discepolo. Nel rispondere egli formula la sintesi della sua fede e della sua moralità. La risposta è soddisfacente e Gesù l'apprezza poiché il maestro della legge ha reso inscindibile l'amore di Dio e l'amore del prossimo". Dobbiamo ricordarlo poiché separare è la tragica tentazione di ogni credente.

La risposta richiama il testo del Deuteronomio (6,5): "Amerai il Signore Dio Tuo (ogni pio israelita lo ripete ogni giorno, mattino e sera) e il testo del Levitico (19,18): "Amerai il prossimo come te stesso". La domanda di Gesù ha aggiunto: "Come leggi?" In ebraico non si scrivono le vocali, ma solo le consonanti.

Così, nella lettura, spesso, la stessa interpretazione dei rotoli della legge è soggetta a variazioni.

Il maestro della legge, a questo punto, vuole capire l'orizzonte del proprio prossimo, visto che Gesù si presenta con strane compagnie di persone e con atteggiamenti non sempre condivisibili.

Inizia, allora, un "laico" racconto di cronaca. La parabola mette in campo l'uomo. Sia i briganti e sia il malcapitato non sono ebrei o samaritani. Qui ci sono solo uomini che fanno delle scelte. Anche il sacerdote o il levita sono uomini che, probabilmente, temono di toccare uno "mezzo morto" o toccare il sangue, diventando in tal modo impuri. Ci sono alcune condizioni ideologiche, culturali, prevenzioni o pigrizie che non ci permettono di soccorrere l'uomo che ha bisogno. Proprio il samaritano, l'eretico, lo scomunicato, colui che non rispetta tutta la legge di Dio, proprio lui supera ogni barriera per aiutare chi ha bisogno: l'uomo vale più di tutto. Gesù vuole arrivare a far capire proprio questo. Invece i briganti, il sacerdote e il levita concludono allo stesso modo: "se ne andarono".

Il samaritano imposta gesti esattamente contrari: chi è stato percosso viene fasciato, chi è stato abbandonato viene avvicinato. E non solo provvede al pronto soccorso, ma si impegna per la convalescienza, coinvolgendo altri e pagando di persona. Sia il samaritano che l'albergatore "si prendono cura" e l'albergatore deve continuare la stessa opera di attenzione, iniziata con compassione e con amore. Nella cura, per primo, il samaritano interviene come può e con gli strumenti che ha. Però capisce di non avere tutte le risorse sufficienti. Così, dove non può arrivare lui, possono arrivare a fare molto di più le Istituzioni (rileggiamo nell'oggi "il significato dell'albergo": la scuola, il Comune, l'azienda, l'ospedale) perché quello che conta è il bene di chi ha bisogno, non la tranquillità della propria coscienza. Così all'Istituzione viene dato un imperativo:"Abbi cura di lui" (36), pronunciato tra i due imperativi al maestro della legge: "Fa questo e vivrai" (28) e "Anche tu fai lo stesso" (37).

Il testo diventa esigente poiché suppone che l'attenzione all'altro non può essere solo un impegno personale, ma suppone anche una responsabilità sociale. Certamente non si tratta di delegare agli altri ciò che puoi cominciare a risolvere, ma si tratta di mettere all'erta una società, una comunità, le Istituzioni perché ricostituiscano per uno sconosciuto quell'autonomia di chi è stato depredato e quella salute che lo rende ancora libero.

E la cura deve continuare anche dopo: il malcapitato è lasciato in buone mani: pagando prima e promettendo di completare poi. Questa funzione è assolta anche pagando le tasse. E' il contributo concreto perché un servizio raggiunga veramente un obiettivo efficiente.

La domanda iniziale ha fatto supporre che il prossimo fosse un oggetto da ricercare, da individuare, da indicare. In tal caso iniziano le selezioni, come è avvenuto spesso nella storia: l'amico, il parente, il concittadino, il compare ecc. Ma Gesù capovolge la prospettiva e il prossimo diventa soggetto: non "chi è il mio prossimo" ma "chi si è fatto prossimo" chi si accosta all'altro che per caso incontra? Ma allora, "dopo averlo visto", io lo debbo svelare, riconoscere, fermarmi ma anche cercare. "Chi si è fatto prossimo?". La domanda e la risposta deve essere suonata strana e irritante. Modello diventa proprio il samaritano. Come il Signore che si è fatto prossimo a ciascuno di noi con misericordia. "Va e fa lo stesso", si dice nella Comunità cristiana.

Il "farsi prossimo" diventa la verifica di quanto amiamo il Signore.



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