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Il Fatto Quotidiano: NON RICEVE ALCUN FINANZIAMENTO PUBBLICO
Quelli del Fatto Quotidiano si vantano di non essere “sovvenzionati” da soldi pubblici e infatti nella testata c’è scritto “Non riceve alcun finanziamento pubblico”.
Peccato sia palesemente falso (come segnala Libero di oggi a pagina 12). Infatti vicino alla precedente frase c’è scritto “Spediizione abb. postale D.L 353/03 (conv. in L270/02/2004) Art. I comma I Roma Aut. 114/2009) che in realtà significa che il quotidiano fruisce delle tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali. Queste tariffe (secondo Report dell’aprile 2006) rappresentano la fetta più grossa distribuita a tutti i giornali. Sono contributi statali, seppur indiretti
Per quanto riguarda il Fatto, basandosi sul numero degli abbonati cartacei e al peso specifico dei quotidiani, sarebbero circa 325mila euro.
Ora il Governo ha deciso di abbattere il grosso dei soldi elargiti alla casta giornalistica, un intervento che cancella 50 milioni di euro di rimborsi alle poste (pagati dallo Stato e non dai giornali).
Il Fatto ovviamente non si cita tra coloro che ricevono questi soldi indirettamente e anzi si vanta della sua condizione inesistente di indipendente dai fondi statali. Promuove i referendum grillini ma poi subdolamente (senza dire il vero perchè) attacca il Governo su questo provvedimento.
Insomma fanno le verginelle pur ricevendo anche loro contribuiti indiretti. Il solito doppiopesismo travaglista
prima di sparlare di tutto e di tutti pensi ad essere onesto sulle proprie condizioni |
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Non credo che l'agevolazione per le tariffe postali raggiunga questi importi...
ED IN EFFETTI IL fATTO NON è CITATO |
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La bomba è di quelle destinate a fare rumore e l’ha lanciata il quotidiano Libero in un articolo firmato Fosca Bincher (anagramma di Franco Bechis). Alla luce di una relazione firmata da Giorgio Poidomani (al tempo presidente del consiglio di amministrazione del Fatto Quotidiano), il giornalista mette in fila una serie di brutte notizie per il quotidiano di Travaglio e Padellaro, che nei primi tre mesi del 2012 ha subito un forte calo di vendite. Fin qui, nulla di strano. Ma stando a Libero, Poidomani avrebbe chiesto al governo di Mario Monti un finanziamento pubblico di 162.000 euro. Nonostante sotto la testata spicchi orgogliosamente la scritta: “Fatto Quotidiano. Non riceve alcun finanziamento pubblico”.
Ironia della sorte, l’opportunità arriverebbe da una legge del governo Berlusconi. Precisamente la n. 220 del 13 dicembre 2010 (art. 1, comma 40), «che riconosceva a domanda delle imprese editoriali interessate un credito di imposta del 10% sulla carta acquistata e utilizzata. In teoria un finanziamento diretto a tutti. In pratica no: perché in tempi di crisi il plafond a disposizione non basta per tutti, quindi ottiene i soldi solo chi arriva prima degli altri. Il Fatto quotidiano non ha perso tempo, ed è stato fra i primi a fare domanda, anche se in attesa della risposta non ha inserito prudentemente l’importo del finanziamento pubblico in bilancio. La prima volta però non si scorda mai».
Sarà vero? La notizia è tale che si attendeva una sdegnata smentita. Che però, dopo giorni, non è ancora arrivata: né sulla versione on-line né su quella cartacea. Unico accenno alla questione finanziamenti è un articolo in fondo al giornale a pagina 11, titolato «Il trucco di Libero per gonfiare le vendite», in cui si descrive un escamotage per far apparire un numero maggiore di copie vendute, mediante canali di vendita differenti dall’edicola. Fine. Nessuna vignetta contro il quotidiano diretto da Belpietro, nessun editoriale velenoso in prima pagina, nessun documento (o intercettazione) in grado di far apparire infondate le accuse.
Non c’è niente di male a chiedere finanziamenti. Ma chi si è sempre posizionato sopra un piedistallo per non averli richiesti, dovrebbe quanto meno parlare. L’ultimo attacco di Marco Travaglio ai giornali che ricevono finanziamenti risale al 15 gennaio 2012: «Alcuni giornali imbottiti di soldi pubblici si sono adontati perché abbiamo fatto notare la coincidenza del loro silenzio. Se la coincidenza non la fa notare l’unico giornale che rifiuta i finanziamenti pubblici, chi altri la farà notare?». In quell’occasione, il direttore dell’Unità Claudio Sardo si era detto stufo dei «consueti toni inquisitori» di Travaglio e soci. Ricordando che «tra gli smemorati colleghi del Fatto ce ne sono molti che fino a poco fa si battevano in difesa dei giornali “imbottiti di soldi pubblici” e altri che ci lavoravano tranquillamente senza porsi alcun problema di coscienza. Se è lecito cambiare opinione, è altrettanto doveroso però spiegare il perché. Con questo spirito, in modo che i lettori sappiano, ripubblichiamo integralmente uno degli appelli che l’attuale direttore del Fatto Antonio Padellaro, allora alla guida de l’Unità, firmò il 1° agosto del 2006 insieme ai direttori di Europa, Liberazione, Secolo d’Italia e Padania, in difesa del finanziamento pubblico ai giornali. In quella stagione Marco Travaglio era una delle firme di punta del quotidiano. Ogni commento ci pare superfluo».
da Tempi 15/07/2012 |
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La data è di quelle da ricordare: 13 febbraio 2012. È stato quel giorno che Giorgio Poidomani, all’epoca presidente del consiglio di amministrazione del Fatto quotidiano ha preso carta e penna e chiesto al governo di Mario Monti il suo primo finanziamento pubblico ammesso dai diretti interessati: 162 mila euro. L’opportunità è arrivata da una legge del governo di Silvio Berlusconi, la n. 220 del 13 dicembre 2010 (art. 1, comma 40), che riconosceva a domanda delle imprese editoriali interessate un credito di imposta del 10% sulla carta acquistata e utilizzata. In teoria un finanziamento diretto a tutti. In pratica no: perché in tempi di crisi il plafond a disposizione non basta per tutti, quindi ottiene i soldi solo chi arriva prima degli altri. Il Fatto quotidiano non ha perso tempo, ed è stato fra i primi a fare domanda, anche se in attesa della risposta non ha inserito prudentemente l’importo del finanziamento pubblico in bilancio. La prima volta però non si scorda mai. E un po’ di imbarazzo chi ha chiesto doveva sentirlo (sulla prima pagina sotto la testata è strombazzato “non riceve alcun finanziamento pubblico”, che non sarà più vero), visto che quasi se ne scusa nella relazione che accompagna il bilancio 2011 dell’Editoriale Il Fatto, società che edita la testata diretta da Antonio Padellaro e Marco Travaglio. Un bilancio in utile di 4,5 milioni di euro (e non è affatto poco, anche se l’anno prima erano 5,8), ma pieno di sorprese. La prima spiega anche quella richiesta di finanziamento pubblico: l’era delle vacche grasse è finita, e da quando Silvio Berlusconi è andato via da palazzo Chigi sono iniziati problemi economici impensabili anche nella vita de Il Fatto. Che quasi-quasi rimpiange l’era d’oro del Cav. Da quel giorno infatti i giornali hanno iniziato a perdere il 10% di copie vendute. Per Padellaro e Travaglio è andata decisamente peggio, travolgendo il balzo delle vendite in edicola pure registrato nella media 2011 (71.109 copie, crescita dell’11% sul 2010). «Nei primi tre mesi del 2012», spiega la relazione ancora firmata Poidomani, «le vendite in edicola sono state in media pari a 52.849 copie al giorno, con un decremento del 24% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente». È andata male anche con la pubblicità, e in modo disastroso da marzo in poi. Il 29 marzo infatti Poidomani sembra ancora ottimista su risultati: «la raccolta pubblicitaria, tanto per l’edizione su carta che per quella on line è stata in linea con il budget e in miglioramento rispetto all’esercizio precedente». Poco più di un mese dopo nel verbale di assemblea è scritto l’esatto opposto: «Giorgio Poidomani mette in evidenza il non soddisfacente risultato che emerge ad aprile, caratterizzato oltre che dalla prevista flessione delle vendite in edicola, anche da una preoccupante contrazione della raccolta pubblicitaria sulla carta: meno 25% rispetto al primo quadrimestre del 2011». Nel frattempo anche gli abbonamenti sono scesi a quota 21.900, di cui il 20% per via postale e l’80% on line in formato pdf. Tutta colpa - dicono al Fatto - dei siti pirati che consentono di scaricare il giornale senza pagare.
Come se non bastasse lo scherzetto che Berlusconi ha combinato ai ragazzacci de Il Fatto andandosene via da palazzo Chigi e facendo perdere loro il bersaglio preferito dai lettori, anche Mario Monti (che va indigesto), ha aggiunto guaio a guaio. Gli amministratori de Il Fatto avevano pensato bene di non leggere il proprio quotidiano (fra i protagonisti della battaglia contro le grandi banche del paese) e investire la liquidità accumulata negli anni precedenti proprio in obbligazioni bancarie. Hanno comprato titoli di Banca Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi e Banca di credito cooperativo di Roma. Ed è andata male: nel bilancio 2011 li hanno dovuti svalutare di 234.905 euro, perché le quotazioni erano scese. Dopo deve essere andata peggio. E con i primi guai all’orizzonte è finita anche la pace fra i soci. Al momento di scegliere quanti dividendi incassare, i soci industriali hanno fatto la proposta: dateci 3,1 milioni di euro. Si è alzato in piedi Travaglio, appoggiato da Padellaro e dai giornalisti e detto: «avete visto come sta andando? No, massimo 1,3 milioni di euro». Hanno vinto i primi, che volevano portare a casa i soldi. Il povero Poidomani ha tentato di limitare i danni: «aspettato almeno il 19 luglio, che scadono pronti contro termine da 3,2 milioni, altrimenti dobbiamo smobilizzare prima del tempo perdendo altri soldi». A vuoto: i famelici soci industriali hanno messo in pagamento il dividendo dal primo di giugno.
Ah, visto che i guai non vengono mai da soli, nel bilancio 2011 è registrato anche il successo dell’ingresso de Il Fatto nella Zerostudio’s di Michele Santoro (che produce Servizio pubblico): ha investito 350 mila euro per avere nei primi tre mesi perdite di 203.605 euro. Santoro ha detto: «non preoccupatevi, per il secondo semestre 2012 mi invento qualcosa». Aveva ragione, se l’è inventata. Lì ci mette un tampone La7…
di Fosca Bincher
da Libero del 29 settembre |
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Passo indietro del Fatto Quotidiano che né sulla versione online, né sul giornale di oggi smentisce l’articolo apparso domenica su Libero che accusava il quotidiano diretto da Padellaro di aver fatto domanda per ricevere i finanziamenti pubblici ( Clicca qui per leggere l’articolo).
Il Fatto, dal canto suo, ha in un certo senso risposto a Libero ponendo in essere un’altra questione (sempre significativa, per carità), ma non inerente all’oggetto dell’argomentazione posta dal fogliaccio della famiglia Angelucci. A firma di Carlo Tecce compare a pagina 11 il pezzo: “Il trucco di Libero per gonfiare le vendite” in cui si sottolinea l’escamotage di Libero per far apparire un numero maggiore di copie vendute. Difatti Libero (dati ads di maggio 2012) dichiara 94mila copie vendute al giorno, ma 41 mila vengono distribuite in canali di vendita differenti dall’edicola e proliferano copie omaggio (come allo stadio Olimpico di Torino durante le partite del Toro).
Nessun accenno alla presunta richiesta di finanziamenti pubblici ed ad una dimostrazione d’infondatezza del pezzo di Bechis.
Siamo ancora fiduciosi e in attesa che una risposta, magari condita da documenti, arriverà celermente. Anche se questo silenzio di Padellaro o Travaglio sembra avvalorare la tesi di Libero.
Se così fosse si romperebbe un patto indissolubile con i propri lettori (diminuiti negli ultimi mesi), contenti di autofinanziare un ottimo prodotto editoriale tenuto in piedi esclusivamente da fondi “volontari”.
Inoltre i lettori del Fatto sarebbero intransigenti e difficilmente perdonerebbero una tale (anche se ancora presunta) mancanza di coerenza.
La punizione per una eventuale rottura del patto coi lettori sarebbe quella di non recarsi più in un’edicola.
Davide Ferrante
da il qualunquista del 29 settembre 2012 |
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Non so che dire. Se è vero un'altra delusione...non c'ègiorno che non mi succeda... forse dovrei davvero diventare qualunquista e pensare solo più ai fatti miei invece di lottare per un mondo migliore... |
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Mi spiace, ma ho imparato una cosa: chi troppo grida per mostrare i difetti degli altri è perchè vuole nascondere i propri.
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