Non ditemi che li ho spiati: erano in piazza. Piccoli uomini e piccole donne dai pensieri adulti, ansiosi di sfigurare la memoria recente della loro infanzia come se fosse un gioco di tendenza, disinibiti, spudorati, trasgressivi, e tuttavia ancora fragranti di freschezza, mascherati da grandi in modo un po' maldestro, come per una festa di Giovedì Grasso a Carnevale.
Erano in rete. Scioccanti, come la scoperta di una generazione invisibile che si è trasfigurata nel giro di due o tre anni, aggregandosi attorno a codici cifrati inaccessibili al mondo degli adulti. Sorprendenti, come la rivelazione di un sottosuolo che tutti ignoravamo, sebbene la cronaca sempre più spesso ce ne rimandi gli indizi. Erano nella piazza virtuale, su Internet, dove si espongono ogni giorno senza lo schermo del pudore, rovesciando in rete un'onda di pensieri, emozioni, rivelazioni, provocazioni, immagini, confessioni, dialoghi, segreti. Un flusso che lasciano scorrere convulsamente, come un fiume in piena destinato a sgorgare in un pensiero unico, omogeneo, una specie di voce collettiva, un coro greco che canta i riti di un mondo sospeso tra un'età e un'altra, in bilico tra il dramma e la commedia.
Hanno tra i dieci e i quattordici anni, sono dei Peter Pan al contrario, travolti dalla fretta di crescere, pronti a spiccare un salto verticale oltre il perimetro della loro infanzia, senza fasi intermedie, senza progressioni. Non hanno ancora smesso di essere bambini e già si comportano da adolescenti, ansiosi di consumare e consumarsi in fretta. Lo fanno con una maturità ritagliata esattamente nell'area dei propri anni, non uno di più. Lo fanno senza crescere. Lo fanno mescolando il candore, l'ingenuità, la leggerezza dei propri anni con un'irrefrenabile urgenza di bruciare le tappe, di stanare il destino e provocarlo. Urgenza di rovesciare fuori l'aggressività che spesso hanno sepolto negli strati più profondi di se stessi, per dimostrare di esistere, di contare. Urgenza di usare il proprio corpo come i giocattoli riposti solo ieri, tagliando fuori l'ingombro superfluo delle emozioni, dei sentimenti, della tenerezza, lasciando cadere precipitosamente i freni inibitori, perdendosi in una specie di futile, infantile aridità.
L'effetto è dirompente.
Qui si racconta di loro. E sono loro stessi a raccontarsi. A loro appartengono le voci che ho raccolto: quelle di cinque ragazzini che narrano la propria storia, e le altre che ho cercato su Internet e che poi ho selezionato, raggruppato per temi, trascritto fedelmente. É proprio lì che li ho incrociati tutti: in rete, dove sin dall'età di dieci anni trasferiscono l'equivalente di quelli che un tempo erano i diari segreti, le confidenze più riservate, le riflessioni più intime, gli scambi più spontanei e più disinibiti.
Ed è lì, in rete, che loro stessi rivelano la propria doppia vita, oltre lo schermo di omertà che oppongono agli adulti, così da restituirci personalità, abitudini e linguaggi quasi completamente sconosciuti ai genitori, agli insegnanti, a tutti noi, riti provocatori, a volte sconvolgenti, nei quali tuttavia sembra impigliata una specie di inconsapevole, impalpabile tristezza.
Qui si racconta del mondo delle discoteche pomeridiane, dei party per quasi-bambini a sfondo erotico, di sesso precoce, sfrenato, improvvisato, vissuto anche al di fuori di una relazione di amore o di amicizia, talvolta a pagamento, quasi con la necessità di darsi un prezzo, di misurare il valore del proprio corpo e di se stessi in un baratto uguale a quello che un tempo si faceva con le figurine.
Si racconta di piccole cubiste che danzano discinte in pose ambigue, inconsapevolmente oscene, simulando richiami erotici con la goffaggine delle bambine, intrappolate nella loro stessa leggerezza. Si racconta di gravidanze precocissime, vissute ed interrotte con l'incoscienza che si spende nei giochi pericolosi, all'insaputa dei propri genitori.
Si racconta di una precoce devozione al guadagno e agli affari, di giovanissimi pierre ossessionati dalla frenesia di accumulare denaro e prestigio, spregiudicati, avidi, disincantati, disposti a tutto pur di riuscire "a scalare", come loro stessi spiegano, "le vette della disco", incassando tangenti sui biglietti (fenomeno ormai diffuso come un virus nelle scuole medie di tutte le città italiane).
Sono i nuovi miti. Il corpo, il sesso, la bellezza, il look, l'esibizionismo, l'apparire, il contare, i soldi, la carriera, il successo. Sono i nuovi contenitori nei quali scorre il flusso di ogni progetto, di ogni desiderio, con la fatuità e l'integralismo dei sogni infantili: la televisione, il cinema, lo spettacolo, i reality, il calcio, la moda. Sono i comportamenti e le abitudini in cui concretamente si traduce quella che il luogo comune definisce "la crisi dei valori": le ambizioni scadenti, e il vuoto delle idee e degli ideali che si manifestano sempre più precocemente.
Ed ecco i nuovi riti che qui raccontiamo. Le quasi-bambine che riprendono i propri corpi seminudi con i cellulari e che poi diffondono le foto o i filmini con gli mms, oppure li scaricano in rete, per semplice esibizionismo, o per vendere la propria immagine in cambio di ricariche telefoniche, sentendosi così valorizzate. E poi i filmati dei rapporti sessuali, minireality fatti in casa o a scuola sempre con i cellulari, e poi diffusi via mms o in rete per dare spettacolo di sé, per imitare i riti della televisione, per dimostrarsi e per dimostrare agli altri di valere. Tributi di affiliazione al branco. Prestazioni per guadagnare in prestigio e in potere. Come la caccia allo sconosciuto o alla sconosciuta in discoteca, ai quali chiedere: "Per caso vuoi trescare? " per poi alimentare una specie di collezionismo estremo, l'antico rito del maschio che insegue la femmina, ma anche un rito nuovo, rovesciato: quello delle piccole predatrici e dei ragazzi-oggetto.
E qui si racconta di fumo, di canne, di droga e di alcol. Di bullismo: il nuovo codice per organizzare relazioni e gerarchie all'interno del branco, nelle periferie più degradate o nei quartieri alti. Si racconta di bulle, il nuovo modello di parità sessuale tra le giovanissime, desiderose di omologarsi ai peggiori comportamenti dei coetanei. Si racconta della versione più recente del bullismo, ispirata dal web: il cyberbullismo, e cioè le aggressioni praticate online, col volto mascherato dalla rete.
E si racconta di provocazioni rabbiose nei confronti della scuola e dei professori, di razzismo, di gergo volgare, di furti, di riti esoterici e di piccole streghe, di culto nevrotico per il proprio aspetto e per le marche.
Si racconta di un consumismo sfrenato che alimenta la noia, l'indolenza. E quando ha divorato ogni desiderio, non resta che consumare se stessi e il proprio corpo, cercando nell'autoconsumismo una nuova forma di emozione.
Ma non parliamo di piccoli mostri. Proprio no.
Qui si racconta anche di amore e di amicizia, di legami profondi tra coetanei, di angosce ingovernabili, di ansia, di vuoti, di solitudini, di paure.
Qui si misurano distanze enormi dal mondo degli adulti.
Si racconta di sentimenti aridi, ostili, di diffidenza, di rabbia, verso figure sempre più prive di autorevolezza, sempre più opache, meno credibili, in crisi. Genitori incapaci di interpretare con disinvoltura le regole della disciplina e del rigore, per formazione, per stanchezza, per senso di colpa, per una irragionevole forma di soggezione nei confronti dei propri figli. Distratti, smarriti, persi nei propri conflitti personali e coniugali tanto da contaminare il clima familiare, creando nei figli solitudine, aggressività e disincanto nei confronti dei rapporti di coppia e dell'amore. Madri distratte, loro malgrado, dal lavoro, dal doppio impegno fuori e dentro casa, stanche, stremate, tanto da alimentare nelle figlie miti diversi, alternativi: sensualità, bellezza, leggerezza, l'antico stereotipo della donna-oggetto, nemesi della lotta che quelle stesse mamme fecero molti anni fa per l'emancipazione femminile. E poi i padri, ancora invischiati nelle vecchie formule dell'organizzazione famigliare, e assenti, e immaturi, e sempre più spaventati dalle continue mutazioni femminili, quelle delle compagne prima e delle figlie poi. E, ancora, gli insegnanti, mortificati da un ruolo socialmente svalutato e da stipendi incongrui, intrappolati in una scuola senza slanci, disorientati, sempre meno capaci di usare linguaggi seduttivi, di governare un'evoluzione improvvisa, deflagrante, disarmante.
Perché di questa generazione, frutto di una trasformazione fulminea e sorprendente, nessuno ha avuto ancora il tempo di mettere a fuoco i contorni, di realizzare e metabolizzare la nuova identità. Una generazione uguale solo a se stessa e a nessun'altra prima. Una generazione che si muove al passo di accelerazioni che la rendono differente persino da quella omologa di due o tre anni fa. Una generazione che attraversa le grandi metropoli e la provincia, le classi sociali più elevate e gli ambienti della periferia.
Una generazione che si muove in gruppo.
Perché i quasi-bambini sono in realtà ostaggi di un branco al quale desiderano appartenere più di ogni altra cosa al mondo.
Sono impermeabili a ogni stimolo che non venga dal gruppo, pronti ad annullare se stessi in un modello di imitazione reciproca totalizzante, con scarse, scarsissime varianti, pena l'esclusione, l'isolamento, la perdita della propria identità.
Piccoli prigionieri inconsapevoli, incatenati senza saperlo gli uni agli altri, incastrati in un'invisibile gabbia digitale, contagiati dai modelli che i nuovi media diffondono come epidemie.
Perché siamo davanti ai figli primogeniti di mutazioni formidabili.
Figli dell'era della comunicazione, prima generazione segnata senza sfumature da tutte le amplificazioni, le fughe in avanti, le manipolazioni e le varianti dei nuovi linguaggi.
Il loro Pifferaio Magico è stata la televisione, che ha moltiplicato informazioni e stimoli, che ha inflazionato il sesso e la violenza, che li ha intossicati con i messaggi subliminali e ossessivi delle pubblicità, che ha divulgato in maniera indiscriminata i nuovi miti: il calciatore e la velina, il macho e la lolita, il fusto senza cervello e la cattiva ragazza priva di talento che conquista il successo in virtù dei propri comportamenti trasgressivi.
E continuano a crescere davanti a un computer, che ha finito con lo scalzare anche lo schermo televisivo, allargando all'inverosimile il campo delle opzioni su cosa vedere ed ascoltare, su come gestire la comunicazione interattiva, in una corsa che non lascia il tempo di pensare, riflettere, gustare, sperimentare, selezionare.
Maniaci di msn e delle chat fino a sovrapporli e a confonderli con i contenitori della vita reale, eccitati dall'uso di videogiochi violenti, sedotti dagli i-pod che portano in giro come protesi, ossessionati dalle possibilità di esplorazione di un'area sconfinata dove possono incrociare senza alcun controllo sesso e violenza, rapiti dall'abitudine di scaricare da Internet qualunque genere di cosa, in una specie di collezionismo nevrotico. Schiavi del rito degli sms, dipendenti dai cellulari come da una parte sdoppiata di se stessi, una seconda voce ed un secondo sguardo da usare freneticamente. Fino a perdere la percezione del confine tra la realtà virtuale e quella vera. Fino a cadere in una specie di autismo, un mondo di messaggi muti, aridi, circolari, autoreferenziali.
Piccoli sordomuti, con l'ascolto inibito dalla musica perennemente rovesciata nelle orecchie, e la capacità di dialogo inaridita dall'abuso dei linguaggi senza voce.
E il nuovo lessico famigliare è fatto di silenzio.
E un fortino inaccessibile è racchiuso tra le pareti domestiche come in un gioco di scatole cinesi, disabitato, vuoto di relazioni vere, di comunicazione, di empatia.
E intanto i ragazzi continuano a correre.
Rapidi, impazienti, confusi, frastornati, frettolosi, pronti a gestire il potere smisurato di questi nuovi mezzi con una perizia infinitamente superiore a quella degli adulti.
Gli esperti ci diranno che sono storditi dai messaggi, che hanno tempeste ormonali anticipate, che il tempo medio della crescita risulta talmente accelerato da determinare comportamenti non ancora studiati, né classificati.
Noi ci chiediamo: che ne sarà di loro?
La loro maturazione futura ha contorni ancora indecifrabili.
Impossibile dire come diventeranno, che adulti saranno, mentre corrono, ormai incapaci di tornare indietro, verso qualcosa che scopriremo solo nei prossimi anni. Una maturità completa e disinibita, senza i complessi e i ritardi delle generazioni precedenti? Una corsa affannosa verso il vuoto?