Con stillicidio continuo, si moltiplicano, e sono presentate con chiarezza, quasi con orgoglio, proposte in materia di bioetica e di famiglia che un tempo, almeno in Italia, non sarebbero state neanche prese in considerazione da parte di chi si ispirava a un relativismo "moderato". A lungo si è detto che la parificazione dei diritti delle coppie di fatto non aveva nulla a che vedere con il riconoscimento del matrimonio omosessuale, tanto meno implicava l’adozione di minori da parte di non eterosessuali. Di recente, personalità pubbliche e partiti o aree di partito non marginali hanno posto questo traguardo come un elemento della propria identità politica, quasi un obiettivo per la prossima legislatura. Non pochi, in questi giorni, guardano con evidente soddisfazione alla riforma annunciata in Francia che cancellerebbe perfino i termini di papà e mamma (papa, maman) dagli atti ufficiali, sostituendoli con quelli di "genitore 1" e "genitore 2".
Altrettanto sta avvenendo per l’eutanasia, e perfino per il suicidio assistito. Alcuni movimenti, o loro esponenti, hanno sostenuto per anni che il problema in Italia non è quello dell’eutanasia, che (quasi) nessuno chiede, ma quello della autodeterminazione e del consenso per le cure mediche nella fase più o meno terminale della vita. Anche questo velo sta scomparendo. Alcuni gruppi di pressione hanno proposto esplicitamente di introdurre l’eutanasia, e nei giorni scorsi è stata ripresa su un quotidiano importante la motivazione relativista classica, per la quale il suicidio assistito è possibile perché l’ordinamento introdurrebbe soltanto una facoltà in più: infatti, «si consente, mica si obbliga al suicidio assistito». Dunque, anche per questo evento estremo, c’è chi ritiene maturi i tempi per rompere gli indugi, abbandonare la linea apparentemente "moderata" sin qui seguita, proporre l’omologazione della nostra legislazione a quella di alcuni Stati che più si sono esposti nella violazione del diritto naturale.
Questa accelerazione complessiva ha il pregio di eliminare equivoci, chiarisce ciò che alcuni vogliono, ma proprio per questo richiede una risposta di verità, che difenda valori inalienabili, demistifichi argomentazioni che sono ripetute solo per onor di bandiera, senza vera forza razionale e di convincimento.
L’idea di eliminare i termini di "papà" e "mamma" non solo spiega meglio d’ogni altra cosa che si vuole ferire e violare la naturalità più elementare del genere umano, cancellare parole presenti in ogni lingua da sempre, ma fa capire come non è vero affatto che il matrimonio di una coppia non eterosessuale non riguardi gli altri: li riguarda eccome, perché con esso si vuole imporre l’abolizione di termini che sono sulla bocca dei bambini dall’inizio del mondo, e che certamente precedono lo Stato e il diritto. Solo un elemento sconfiggerà questa abnormità, il fatto che tutti i bambini della terra continueranno a chiamare papà e mamma il loro genitori, perché queste parole scaturiscono dalla loro anima e della loro esperienza infantile.
Non meno clamorosa l’abnormità della motivazione per introdurre l’eutanasia, perfino il suicidio assistito, perché «si consente, mica si obbliga» a queste pratiche. E ci mancherebbe altro che si imponesse il suicidio, o l’eutanasia. Ma così ragionando si potrebbe consentire la poligamia, la droga libera, la rinuncia a diritti inalienabili in cambio di denaro, e via di seguito. Una strada senza uscita che andrebbe all’indietro rispetto al cammino che l’uomo ha fatto con il progresso delle civiltà, l’evoluzione della religione e, per quanto ci riguarda da vicino, con il cristianesimo.
Il magistero pontificio, in specie di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, da tempo ha messo in guardia contro i pericoli della cultura nichilista, e la voce di tanti uomini di religione (ad esempio del rabbino capo di Francia sulle annunciate riforme hollandiane) e di sentire laico si sta levando contro un declino che colpirebbe l’Occidente e l’Europa. Si può perciò dire che la voce dei Papi, e di altri uomini di fede, ha assunto più che mai valore universale che supera ogni confine dottrinale, perché diretta alla difesa di valori naturali che sono presupposto e garanzia per la tutela della persona umana: una persona che sente il bisogno oggi più di ieri di vedere riconosciuta la propria dignità, assicurata la propria integrità.