Nel 321 Costantino introduce la festività della domenica, come giorno che sospende le attività di lavoro, e avvia una nuova scansione del tempo che proseguirà in Occidente con altre ricorrenze religiose, e civili. La domenica resta sino ai giorni nostri la festa per eccellenza, che accompagna la vita individuale, familiare e comunitaria, segna lo spazio dedicato allo spirito, al riposo e alla preghiera, al dialogo in famiglia, ad attività che umanizzano l’uomo, lo rendono capace di dedicarsi al lavoro. Altre festività assumeranno nel tempo significati specifici. Per celebrazioni religiose essenziali, la memoria dei defunti, la ricorrenza di grandi eventi, nazionali, locali, ma sempre con un significato derivato dalla domenica: dare rilievo a ciò che riempie e completa la vita personale e collettiva, coltivare reminiscenze e valori che chiedono una pausa, una riflessione, una sosta interiore. Attorno alla domenica si costruì persino la cosiddetta 'tregua di Dio' che sospendeva ostilità, azioni armate, per favorire iniziative di pace, ridurre le tragedie della guerra. Con la domenica nasce e si consolida un evento comunitario, perché mai limitato a una persona o a gruppi ristretti, ma che chiede e suscita incontri, partecipazione, attorno a eventi e sentimenti collettivi. Chiunque di noi sa che se una festa riguarda poche persone, o piccoli territori, perde il suo significato. Potremmo festeggiare, ma se restiamo soli e gli altri lavorano, la festa si perde, evapora, prevale il lavoro degli estranei.
Nella domenica sta il punto di congiunzione tra il riconoscimento di uno spazio spirituale e l’umanizzazione del tempo. Lo spirito chiede spazio, ma dona spazio al riposo, alla persona, al silenzio delle sue riflessioni, alla gioia dei bambini e dei giovani. La festa illumina una identità che sappiamo di avere, ma che dobbiamo riscoprire e ravvivare, e d’altronde sappiamo bene che se tutte le giornate fossero eguali, con poche feste personali o di gruppo, vivremmo come in un incubo, perché ruberemmo il tempo alla famiglia, agli amici, allo sport, all’arte, alla convivialità più vera, alla gratuità della vita. E tutti sanno che la domenica non è di ostacolo alle attività produttive; al contrario, ci rende più capaci di apprezzare il significato del lavoro, perché lavoro e riposo dello spirito si illuminano a vicenda. Infatti, una delle prime conquiste agli albori della società industriale è stata quella del riconoscimento del riposo festivo, per evitare lo sfruttamento delle persone, l’umiliazione della loro dignità.
Delle ragioni della festa ciascuno di noi fa esperienza quotidiana. E per queste ragioni si deve reagire con forza ai tentativi di introdurre meccanismi che limitano, mortificano, lo spazio della domenica, perché sono dotati di un brutto automatismo, pronti a dilatarsi, a insidiare il valore della gratuità e a far crescere quello della utilità economica immediata (e, magari, solo presunta). In Europa alcuni gruppi formularono tempo addietro la proposta di abolire del tutto la domenica, riducendola a festa mobile locale, in modo da aumentare dovunque la produttività. Una proposta frutto di mentalità anti-umanistica, venata nel profondo di anti-religiosità, miope anche dal punto economico perché riproporrebbe su scala continentale un po’ di quello sfruttamento umano di cui ci siamo liberati a fatica, e segnerebbe un formidabile regresso storico.
Oggi, anche proposte più limitate, che cercano di svuotare la domenica di significato con l’apertura degli esercizi commerciali, il proseguimento indiscriminato di attività di lavoro, hanno il vizio di intaccare un bene prezioso che è di tutti, non può essere spezzettato, parcellizzato, ridotto a segmenti territoriali o produttivi. La domenica ha senso vero se ne fruiamo tutti insieme (con eccezioni, sempre esistite, della necessità), se è evento comunitario, se possiamo viverla con pienezza di serenità e di gioia, senza dover cercare nella nostra città, nel nostro paese, un angolino dove è festa mentre tutto attorno la festa non esiste.
Riflettiamo sul valore strategico della domenica nel corso di questo anno costantiniano che celebra l’epoca in cui il mondo antico si aprì alla rivoluzione cristiana. Un passo indietro su questo punto vorrebbe dire cancellare un momento importante della nostra identità, privarci di un bene che è patrimonio spirituale comune.
Nella domenica sta il punto di congiunzione tra il riconoscimento di uno spazio spirituale e l’umanizzazione del tempo. Lo spirito chiede spazio, ma dona spazio al riposo, alla persona, al silenzio delle sue riflessioni, alla gioia dei bambini e dei giovani. La festa illumina una identità che sappiamo di avere, ma che dobbiamo riscoprire e ravvivare, e d’altronde sappiamo bene che se tutte le giornate fossero eguali, con poche feste personali o di gruppo, vivremmo come in un incubo, perché ruberemmo il tempo alla famiglia, agli amici, allo sport, all’arte, alla convivialità più vera, alla gratuità della vita. E tutti sanno che la domenica non è di ostacolo alle attività produttive; al contrario, ci rende più capaci di apprezzare il significato del lavoro, perché lavoro e riposo dello spirito si illuminano a vicenda. Infatti, una delle prime conquiste agli albori della società industriale è stata quella del riconoscimento del riposo festivo, per evitare lo sfruttamento delle persone, l’umiliazione della loro dignità.
Delle ragioni della festa ciascuno di noi fa esperienza quotidiana. E per queste ragioni si deve reagire con forza ai tentativi di introdurre meccanismi che limitano, mortificano, lo spazio della domenica, perché sono dotati di un brutto automatismo, pronti a dilatarsi, a insidiare il valore della gratuità e a far crescere quello della utilità economica immediata (e, magari, solo presunta). In Europa alcuni gruppi formularono tempo addietro la proposta di abolire del tutto la domenica, riducendola a festa mobile locale, in modo da aumentare dovunque la produttività. Una proposta frutto di mentalità anti-umanistica, venata nel profondo di anti-religiosità, miope anche dal punto economico perché riproporrebbe su scala continentale un po’ di quello sfruttamento umano di cui ci siamo liberati a fatica, e segnerebbe un formidabile regresso storico.
Oggi, anche proposte più limitate, che cercano di svuotare la domenica di significato con l’apertura degli esercizi commerciali, il proseguimento indiscriminato di attività di lavoro, hanno il vizio di intaccare un bene prezioso che è di tutti, non può essere spezzettato, parcellizzato, ridotto a segmenti territoriali o produttivi. La domenica ha senso vero se ne fruiamo tutti insieme (con eccezioni, sempre esistite, della necessità), se è evento comunitario, se possiamo viverla con pienezza di serenità e di gioia, senza dover cercare nella nostra città, nel nostro paese, un angolino dove è festa mentre tutto attorno la festa non esiste.
Riflettiamo sul valore strategico della domenica nel corso di questo anno costantiniano che celebra l’epoca in cui il mondo antico si aprì alla rivoluzione cristiana. Un passo indietro su questo punto vorrebbe dire cancellare un momento importante della nostra identità, privarci di un bene che è patrimonio spirituale comune.