Si è tanto parlato del raddrizzamento del relitto della Costa Concordia all’Isola del Giglio. Una grande operazione mediatica, mentre sui fondali del nostro mare ci sono decine di relitti di navi, affondate dalla mafia e cariche di rifiuti tossici. Vere e proprie bombe a orologeria. A quando un grande progetto di bonifica?
La vera ricchezza da recuperare è il nostro mare
In molti guardano alla grande nave raddrizzata e si concentrano sul suo futuro destino. Oltre a quanto verrà portato via, che sia considerato rifiuto o risorsa, c’è però ben altro. C’è quello che rimane, o meglio, che viene restituito agli abitanti e ai turisti di questa splendida isola.
Nonostante gli sforzi profusi, scogli di grande pregio per l’ecosistema marino sono andati distrutti così come vaste praterie di Posidonia oceanica. L’acqua interna al relitto è contaminata e l’ISPRA stima che i danni ambientali ammontano a ben 12 milioni di euro.
Dopo quanto è successo, chi governa dovrebbe aver capito che questa ricchezza deve essere offerta in modo diverso. Sarebbe stupido cedere nuovamente al miraggio del progresso e dello sfruttamento intensivo: non si può volere ancora l’”inchino” delle grandi navi, al Giglio come a Venezia, dove è viva la battaglia per l’estromettere questi pericolosi intrusi dal Bacino di San Marco e dalla laguna.
Devono essere accantonate in fretta queste pericolose manifestazioni di opulenza e sostituite con un turismo dolce e sostenibile. Perché il rischio di perdere questa fragile ricchezza è stato forte.
E quindi, considerata l’importanza del mare per il nostro paese, come si può pensare ancora di puntellarlo con pericolose trivelle e rigassificatori?
C’è ancora molto da fare, sulle coste ed in fondo al mare
Le coste italiane hanno bisogno di molte altre operazioni di salvataggio. Il rapporto di Legambiente parla chiaro: la devastazione in corso non accenna a diminuire, nelle regioni analizzate dal rapporto (Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Molise, Sicilia e Veneto) e con molto probabilità anche in altre, Calabria e Puglia su tutte, dove situazioni di grave compromissione (abusi edilizi, inquinamento, ecc) sono sempre più numerose.
I nostri mari, specialmente al sud, sono pieni di relitti di navi contenenti rifiuti tossici. Ma al momento non c’è nessuno che si propone per il recupero e questi continuano a rilasciare da decenni sostanze inquinanti.
Molti relitti sono già mappati grazie all’importante lavoro descritto al sito “in fondo al mar“, che incrociando ricerche e notizie ha elaborato un lungo e preciso archivio di dati cercando di portare sempre più a galla il problema.
Dal sito www.infondoalmar.info:
Le hanno chiamate “navi dei veleni”, “navi tossiche”, “navi a perdere”. Si tratta di decine di navi mercantili, affondate o naufragate misteriosamente durante gli ultimi trent’anni nel mare Mediterraneo.
Dalla Aso andata a picco nel 1979 vicino a Locri in Calabria, alla Rigel affondata dolosamente al largo di Reggio Calabria nel 1987, alla Marco Polo inabissata nel Canale di Sicilia nel 1993, oltre a decine di incidenti meno noti avvenuti in anni più recenti.
Il sospetto che aleggia su questi incidenti è inquietante: le navi sarebbero state usate per sbarazzarsi di tonnellate di rifiuti tossici, chimici e radioattivi.
Veleni affidati ad organizzazioni mafiose ed impresari senza scrupoli per evitare l’alto costo di smaltimento e fare lauti profitti. In questo traffico sarebbero coinvolte non solo imprese italiane ed europee ma pure governi e servizi segreti.
Sono quasi venti anni che si cerca di passare da queste accuse all’accertamento della verità e alla individuazione dei responsabili. Anche se quasi sempre manca il “corpo del reato” nascosto sotto centinaia di metri d’acqua, la quantità di indizi è in molti casi schiacciante.
Tracce di radioattività ben al di sopra alla media sono state rilevate su container e materiali riconducibili ad alcuni degli incidenti, e la presenza di isotopi di cesio e torio è stata riscontrata in alghe e pesci nelle vicinanze. Il numero di tumori in alcune zone costiere della Calabria – regione attorno a cui sono avvenuti molti incidenti sospetti – sono 3 o 4 volte superiori alla media nazionale.
Nonostante i rischi enormi per la salute pubblica che potrebbero essere causati da questa catastrofe ecologica le navi continuano a rimanere laggiù – in fondo al mar – senza che si sia mai verificato cosa contengano veramente.
Di fronte all’inerzia delle istituzioni, il progetto “in.fondo.al.mar” si propone come uno strumento di indagine partecipata, che invita gli utenti a contribuire con nuove segnalazioni, integrazioni e correzioni, che aiutino a ricostruire cosa si nasconda dietro diversi incidenti e chi siano i responsabili. Il progetto è aperto a collaborazioni con esperti nel campo dei rifiuti tossici e radioattivi, della sicurezza marittima e della tutela ambientale.
Luca D’Achille