E più facile appoggiare l’orecchio alle nuvole e udire passare le stelle che attaccarlo alla terra e raggiungere il rumore dei tuoi passi.
Ed è più facile, anche, affacciare lo sguardo sull’oceano e assistere, là sul fondo, alla nascita muta delle forme, che desiderare che tu appaia, creando con il tuo semplice gesto il segno di una eterna speranza.
Non mi interessano più le stelle, né le forme del mare, né tu. Ho srotolato dall’interno del tempo la mia canzone: non ho invidia delle cicale: anch’io morirò per il cantare.
Il mio amore era così unico come il cielo iridato di una goccia di rugiada, in un fiore dell’alba. Il tuo sole mi colpì nel sangue, evaporò la rugiada, e restai senza cielo.
Chi sei tu, lettore, che leggerai le mie poesie tra cento anni? Non posso mandarti un solo fiore di questa ricca primavera, né un solo raggio d'oro delle nuvole che mi sovrastano. Apri le tue porte, guardati intorno.
Nel tuo giardino in fiore cogli i fragranti ricordi dei fiori sbocciati cento anni fa. Nella gioia del tuo cuore che tu possa sentire la vivente gioia che cantò, in un mattino di primavera, mandando la sua voce lieta, attraverso un centinaio d'anni.
Voglio che tornando tu trovi una paroletta del tuo amico stasera. Ho un desiderio desolato di te stasera. Ahimè stasera e sempre. Ma stasera il desiderio è di qualità nuova. È come un tremito infinitamente lungo e tenue. Sono come un mare in cui tremino tutte le gocciole, tremano tutte le ali dell'anima, tremano tutte le fibre dei nervi, tremano tutti i fiori della primavera e anche le nuvole del cielo e anche le stelle della notte e anche la piccola luna trema. Trema sui tuoi capelli che sono una schiuma bionda. Ho la bocca piena delle tue spalle, che sono ora come un fuoco di neve tiepida disciolta in me. Godo e soffro. Ti ho dentro di me e vorrei tuttavia sentirti sopra di me. Non mi hai lasciato tanta musica partendo. Stanotte tienimi sul tuo cuore, avvolgimi nel tuo sogno, incantami col tuo fiato, sii sola con me solo. Oh melodia melodia... Tremano tutte le gocciole del mare.
Di tutto il nostro mondo assolato desidero soltanto una panchina in un giardino dove un gatto prende il sole… Là vorrei sedermi con una lettera nascosta in seno una sola piccola lettera. Così appare il mio sogno… Edith Södergran
Non cercare là. Ciò che è, sei tu. Sta in te. In tutto. La goccia è stata nella nuvola. Nella linfa. Nel sangue. Nella terra. E nel fiume che si è aperto nel mare. E nel mare che si è coagulato in mondo. Tu hai avuto un destino così. Fatti a immagine del mare. Datti alla sete delle spiagge. Datti alla bocca azzurra del cielo. Ma fuggi di nuovo a terra. Ma non toccare le stelle. Torna di nuovo a te. Riprenditi.
È tempo di perdono per il tempo perduto è la perdita di tempo che ci tiene prigionieri non il tempo senza valore o il freddo fato ma il tempo del cuore in caduta libera.
È tempo di perdono per la vita in esilio tempo di oscurantismo senza ragione tempo scivolato via in mancanza di un urlo la parola sepolta nel tempo frantumato.
È tempo di perdono per ciò che potrebbe essere stato per aver gettato il tempo dalla finestra di vetro da dove non vediamo il tempo che il vento fa sibilare e così perdiamo la canzone senza ritmo nè splendore.
È tempo di perdono per la poesia assurda per la parola che il tempo ripete senza rumore per il tempo che troviamo lontano dallo spirito questo tempo non redime lo strano connubio.
È tempo di perdono per dire amico mio di costruire un falò dei tempi antichi che si vede da lontano, nel tempo rinato e che ci faccia guarire il tempo e la sua ferita.
È tempo di perdono nell'anno che si chiude tempo di comunione anche se finirà quando abbiamo tempo nell'istante tisico è solo una stretta di mano al tempo assassino.
È tempo di perdono, vieni a condividere con me un tempo che desti la pietra insensibile e che abbia tempo fatto con cura anche se il tempo divorerà i suoi figli.
È tempo di perdono e non di pentiti è tempo di preghiera, del pane diviso luogo comune di un tempo di granito dove poggiamo il volto del tempo infinito.
Ah smetti sedia di esser cosi sedia! E voi, libri, non siate così libri! Come le metti stanno, le giacche abbandonate. Troppa materia, troppa identità. Tutti padroni della propria forma. Sono. Sono quel che sono, solitari. E io li vedo a uno a uno separati e ferma anch’io faccio da piazzetta a questi oggetti fermi, soli, raggelati. Ci vuole molta ariosa tenerezza, una fretta pietosa che muova e che confonda queste forme padrone sempre uguali, perché non è vero che si torna, non si ritorna al ventre, si parte solamente, si diventa singolari.
La tua rosa si è sfogliata come per un vento leggero, non è rimasto lo stelo vuoto ma il profumo dell’uccello appena volato via. Non siamo rose, né uccelli, né il vento, ma l’attesa di soffiare, di volare, di sbocciare.