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General: GLI SCACCHI NELLA MITOLOGIA DI RENNES LE CHATEAU (MARIA MADDALENA)
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Gli scacchi nella mitologia di Rennes-le-Chteau
Giovedì 28 ottobre 2010 by Mariano Tomatis
A differenza di altri nobili giochi da tavolo come il backgammon, il bridge e la roulette, gli scacchi non ammettono la casualità tra gli elementi che ne costituiscono la struttura; non ci sono dadi da tirare, carte da mescolare o ruote da far girare, né c'è alcunché da nascondere: la situazione è palese per entrambi i giocatori, che hanno a disposizione, per prevalere sull'avversario, solo ed esclusivamente la propria mente e la propria abilità di analisi.
Nonostante, per queste ragioni, gli scacchi siano in apparenza il gioco che maggiormente incarna gli ideali della razionalità pura, nel corso della loro Storia hanno più volte evocato scenari irrazionali quando non del tutto mistificatori. Il primo "macchinario" in grado di giocare a scacchi e sconfiggere addirittura l'imperatore Napoleone III, l'automa del barone Von Kempelen (1734-1804), era in realtà un elaborato ed ingegnoso gioco di prestigio che celava al suo interno un giocatore umano di minute dimensioni, che dall'interno muoveva una serie di braccia meccaniche per dare l'illusione di essere un robot semovente; l'inganno era stato perfetto, e soltanto Edgar Allan Poe (1809-1849), durante il tour americano dell'automa, aveva svelato pubblicamente il trucco che rendeva possibile quel miracolo.(1)
L'intrinseca ambiguità del simbolismo di ognuno dei pezzi che compongono la scacchiera (a partire dalla dicotomia bianco/nero evidenziata sia dal piano di gioco, sia dai colori dei pezzi in campo) ha fatto sì che gli scacchi comparissero in opere visionarie e ricche di suggestioni letterarie come i racconti di Borges e i romanzi di Umberto Eco; ne Il nome della rosa, ad esempio, si cita ironicamente lo pseudobiblium di Milo Temesvar "Sull'uso degli specchi nel gioco degli scacchi": Temesvar, nome di un autore fittizio creato dallo stesso Borges, ritornerà più di recente in un articolo-parodia di Eco su un'interpretazione in chiave omosessuale dell'Ultima Cena leonardesca.
Il "mito agglutinante" di Rennes-le-Chteau non poteva essere immune dalla contaminazione culturale degli scacchi, e Pierre Plantard - tra i più geniali e prolifici "plasmatori" della mitologia oggi più nota - vi introdurrà effettivamente diversi elementi "scacchistici".
Saunière e gli scacchi
Non si ha notizia di un interesse specifico, da parte di Bérenger Saunière, per il gioco degli scacchi; sono piuttosto alcune opere architettoniche a mostrare i legami tra il sacerdote e la scacchiera, a cominciare dal pavimento della chiesa di Santa Maddalena, fatto installare nel 1887 durante i primissimi lavori di restauro.
Pianta della chiesa di Santa Maddalena con il pavimento a scacchi in evidenza.
Quella che è una decorazione molto comune in molte chiese cattoliche - ma non solo: si ritrova anche in moltissime abitazioni private dell'epoca - è stata ritenuta la prova di un'affilazione, da parte di Saunière, a qualche loggia massonica, dal momento che i templi della Massoneria hanno il pavimento a scacchiera. Questo farebbe della chiesa di Rennes-le-Chteau, secondo alcuni autori, un tempio massonico.(2)
Sono noti i legami tra la Maison Giscard, incaricata dell'installazione del complesso statuario nella chiesa di Santa Maddalena, e la Massoneria, ma il coinvolgimento della casa di Tolosa risale al 1891 con l'installazione del pulpito, mentre i lavori di restauro del pavimento risalgono a quattro anni prima. L'ipotesi che Saunière intendesse celare nelle decorazioni della sua parrocchia i simboli di un tempio massonico non tiene conto di una linea politica dimostrata in maniera esplicita durante tutta la sua attività sacerdotale: reazionario convinto, egli si schierò sempre contro il laicismo e le forze repubblicane, cui la Massoneria era molto legata, e per queste posizioni - espresse con veemenza dal pulpito della sua chiesa - fu addirittura sospeso dal suo incarico per alcuni mesi dopo le elezioni del 1885, vinte dai repubblicani.
Viene da pensare ad una scacchiera se si osserva, dall'alto, la pavimentazione della Tour Magdala.
Il pavimento della Tour Magdala.
Le 256 piastrelle decorate sono disposte a formare un casellario di otto riquadri per lato su cui si potrebbe facilmente giocare a scacchi - con l'unico limite dell'assenza di colori alternati bianco e nero. Lo stesso pavimento mostra una singolare bizzarria: la casella angolare, situata in corrispondenza dell'ingresso della scala a chiocciola che conduce al piano superiore della Tour e costituita - come tutte le altre - da quattro piastrelle, mostra una piastrella "anomala"; il suo angolo è, a differenza di tutte le altre 255, di colore rosso.
In alto a sinistra: la mattonella anomala.
Esiste una curiosa relazione tra la posizione della torretta circolare che sovrasta la Tour Magdala e la casella corrispondente sul pavimento: la torretta si trova, infatti, in corrispondenza della casella angolare, e nel gioco degli scacchi le caselle angolari sono proprio quelle su cui vengono disposte le torri all'inizio della partita. Forse anche la serra che si trova all'altro estremo del camminamento semicircolare mostrava, all'epoca, una pavimentazione identica a quella della Tour Magdala: purtroppo le piastrelle che lo costituivano sono gravemente danneggiate, e non ne rimane che qualche frammento.
Cambiando scala, c'è chi ritiene che l'intero giardino delimitato dal camminamento semicircolare rappresenti simbolicamente un'enorme scacchiera: data la sua pianta, la Tour Magdala e la serra si collocano correttamente ai due angoli opposti di un ideale casellario, in corrispondenza dei due punti esatti in cui verrebbero a trovarsi le torri all'inizio di ogni partita.(3)
Il giardino sovrapposto alla scacchiera.
Si tratta di ipotesi e interpretazioni affascinanti, che mancano il punto per una sola ragione: si limitano, infatti, a fotografare la realtà così com'è, senza condurre ad ulteriori scoperte in linea con la teoria avanzata. Offrono, infatti, la possibilità di romanzare sulle suggestioni del simbolo identificato - facendo pensare ad un sacerdote costantemente in bilico tra le forze del bene e del male, vittima di una profonda nostalgia per il pensiero cataro e il suo dualismo mirabilmente espresso sulla scacchiera, o forse segretamente legato ad ambienti massonici, seppur pubblicamente lontano dal laicismo e dall'anticlericalesimo delle logge francesi dell'epoca - ma le stesse suggestioni sono poi storicamente sterili, non soltanto perché non trovano conferme documentali di alcun tipo, ma soprattutto perché non offrono spunti per ulteriori ritrovamenti (se nei giardini di Saunière in corrispondenza delle caselle angolari ci sono due torri, ci si dovrebbe aspettare "almeno" qualche altra sovrapposizione tra elementi architettonici e gli altri pezzi, ma dove sono?) né mostrano la predittività che ci si attenderebbe da teorie fondate e "funzionanti".
Ma fu proprio la fecondità del simbolo ad ispirare personaggi come Pierre Plantard nella costruzione della mitologia del Priorato di Sion.
Pierre Plantard e gli scacchi
Alcune caratteristiche topografiche dei territori intorno a Rennes-le-Chteau consentono una lettura in chiave scacchistica che Pierre Plantard propose in diversi dei documenti da lui compilati tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del XX secolo. Le due montagne del Blanchefort e del Rocho Negro, a poca distanza l'una dall'altra, prendono il nome proprio dai loro tipici colori, consentendo di elaborare l'immagine simbolica di due giganti - l'uno espressione della luce, l'altro delle tenebre.
Il riferimento storico cui si appellò Plantard fu il libro di Henri Boudet La Vraie Langue Celtique, in cui il sacerdote scriveva: "Sulla riva sinistra della Sals, il cromleck comincia alla roccia di Blancfort. La punta naturale di questa roccia fu spianata, nel medioevo, per permettere la costruzione di un fortino come punto di osservazione. Restano ancora alcune tracce in muratura che manifestano l'esistenza di questo fortino. Questa roccia bianca che colpisce gli occhi all'improvviso, è seguita da uno strato di rocce nerastre, che si estende fino a Roko Négro. Questa particolarità ha fatto dare a questa roccia bianca, posta sopra rocce nere, il nome di Blancfort - blank, bianco, - forth, in testa, sopra, avanti."(4)
Secondo la lettura "iniziatica" che Plantard propose nel 1978 nell'edizione Belfond del libro del sacerdote francese, nel descrivere le due montagne Boudet si riferiva in modo occulto all'acquasantiera della chiesa di Rennes-le-Chteau e al fonte battesimale; il tutto ruoterebbe intorno alla contrapposizione del bianco e del nero, celata nei seguenti elementi:
Sull'acquasantiera compare la scritta PAR CE SIGNE TU LE VAINCRAS. Poiché le lettere LE non dovrebbero comparire in una traduzione letterale della frase latina IN HOC SIGNO VINCES, tale anomalia avrebbe un chiaro riferimento ai Cavalieri Templari: le due lettere, infatti, si trovano alla 13ma e 14ma posizione all'interno della frase, componendo così il numero 1314 che è la data della scomparsa dell'Ordine Templare, il cui stendardo, il mitico Beaucéant, era suddiviso in due fasce, bianca e nera.
L'acquasantiera è sorretta da un demone inginocchiato, parzialmente inclinato rispetto all'asse della chiesa. Sulla parete nord della stessa, in corrispondenza del fonte battesimale, compare il complesso statuario di Giovanni Battista e Gesù; anche quest'ultimo si trova inginocchiato, e - come il diavolo - sembra osservare un punto al centro della pavimentazione a scacchi al fondo della chiesa. L'idea è che i due avversari si stiano sfidando in una simbolica partita a scacchi tra la luce e le tenebre, e il piano di gioco sia costituito da un'immaginaria scacchiera di 64 caselle ricavata sul pavimento della chiesa di S. Maddalena.
Il messaggio che Plantard intendeva veicolare è esplicito: La Vraie Langue Celtique è un libro a chiave, che va letto cercando nel testo i riferimenti alla chiesa di Rennes-le-Chteau. Ma poiché nello scenario ipotizzato da Plantard le decorazioni furono installate dalla coppia Saunière-Boudet, è vero anche il viceversa: la chiesa di Santa Maddalena è la versione architettonica del libro di Boudet, e i suoi elementi sono simbolicamente legati ad alcune caratteristiche topografiche della zona. Dunque la mano del diavolo sotto l'acquasantiera, chiusa a formare un cerchio, farebbe riferimento alla "Fonte del Cerchio", nei pressi di Rennes-les-Bains, eccetera.
L'esoterista francese lo esprimeva così: "Queste illustrazioni le troviamo nella chiesa di Rennes-le-Chteau. L'abate Henri Boudet ne è l'ideatore e l'architetto. […] L'autore della Vera Lingua Celtica aveva fatto posizionare in una nicchia nell'atrio della sua chiesa parrocchiale una croce su un pilastro di pietra riportante il motto di Costantino In hoc signo vinces la cui traduzione esatta è: Per questo segno vincerai. Di nuovo fa riprodurre l'iscrizione sull'acquasantiera sostenuta dal diavolo a Rennes-le-Chteau ma con una variante; questa volta vi si può leggere: Par ce signe tu le vaincras. Alle 20 lettere del motto si sono aggiunte 2 lettere per ottenere il numero 22 del tarocco, quello che contrassegna l'eclair, l'illuminato. Le lettere aggiunte sono la 13 e la 14, dunque 1314. Questa data è quella della scomparsa dell'Ordine del Tempio il cui stendardo Beau-Céan era nero e bianco. Ora, il diavolo fissa con i suoi occhi di vetro la scacchiera formata dal pavimento nero e bianco. Di nuovo l'abate Boudet dà un'illustrazione del suo libro, laddove insiste sul Bianco ed il Nero, nella citazione su Blanchefort "questa roccia bianca che colpisce gli occhi, tutt'intorno circondata da una base di rocce nerastre, che si esdendono fino a Roko Negro" (pag. 231), dal giorno alla notte. I due preti hanno firmato questo lavoro, perché a ridosso del diavolo, sostenuto da due basilischi (piccoli re) legati da un anello, si trova un medaglione rosso con le lettere in oro B.S., iniziali di Boudet-Saunière. Il lettore comprenderà che questa prefazione non potrebbe bastare per descrivere tutte le decorazioni della chiesa di Rennes-le-Chteau, che altro non è se non l'illustrazione del libro dell'abate Boudet e la rappresentazione simbolica dei luoghi di Rennes-les-Bains."(5)
Pierre Jarnac affermò che l'ipotesi della scacchiera al fondo della chiesa proposta da Plantard fosse anacronistica: il pavimento fatto installare da Saunière non sarebbe stato bianco e nero, ma tutto bianco; la scacchiera sarebbe stata installata solo dopo la morte del sacerdote, in un periodo imprecisato. Per provare questa affermazione, Jarnac pubblicò sul suo Histoire du trésor de Rennes-le-Chteau una fotografia fatta realizzare da Saunière per il suo set di cartoline, in cui il pavimento della chiesa sembrava effettivamente tutto bianco.(6)
La cartolina in cui il pavimento della chiesa appare completamente bianco.
La fotografia, in realtà, non è affatto l'elemento conclusivo su questa questione: il colore falsato è dovuto con ogni probabilità ad una sovraesposizione della fotografia, conseguente al buio del luogo in cui è stata scattata.(7)
Più forte è l'obiezione che fa notare che non esiste alcuna scacchiera di 64 caselle ben definita: a differenza di quanto riportato in alcune guide "tendenziose", la scacchiera ideale ipotizzata da Plantard va visualizzata senza l'aiuto di alcuna guida presente sul terreno, dal momento che le piastrelle si susseguono senza soluzione di continuità dall'ingresso laterale della chiesa fino al fonte battesimale, estendendosi ad est in una striscia attraverso i banchi della chiesa e terminando con una seconda fascia, parallela alla prima, che va dal pulpito alla statua di Sant'Antonio da Padova.
Il pavimento al fondo della chiesa nella fotografia pubblicata nel 1967 da Gérard de Sède. L’editor è stato costretto ad indicare la scacchiera con una linea tratteggiata perché non è indicata altrimenti.
E' comunque da segnalare la presenza di due "tagli" in diagonale che sembrano essere stati collocati per facilitare l'interpretazione suggerita da Plantard: disposti simmetricamente ai due lati del camminamento centrale, sembrano suggerire la presenza di un angolo da rispettare che ben si adatterebbe alla scacchiera ideale su cui si scontrano Gesù e il demone.
Particolare delle mattonelle al fondo della chiesa
Un documento venuto alla luce soltanto nel luglio 2006, pubblicato dal giornalista francese Jean-Luc Chaumeil, rivela un esplicito interesse da parte di Plantard per la simbologia degli scacchi; il documento è la trascrizione di una conferenza che l'esoterista tenne il 6 giugno 1964 presso l'Hôtel de la Tour di Noël Corbu. Il suo intervento si aprì proprio sull'immagine del demone che osservava la scacchiera sul pavimento della chiesa; a proposito degli scacchi, Plantard citò il celebre aneddoto secondo cui il gioco sarebbe nato in Oriente, e il suo inventore avrebbe chiesto come ricompensa un chicco di grano sulla prima casella, due sulla seconda, quattro sulla terza e così via, raddoppiando ogni volta la posta. E' controintuitivo, ma non esistono al mondo tanti chicchi di grano in grado di soddisfare una richiesta del genere!
Plantard aggiunse inoltre che nel XII secolo gli scacchi erano un simbolo regale, e che i duchi di Normandia prendevano le loro decisioni più importanti su un tavolo ricoperto da una tovaglia decorata con una scacchiera. Introducendo un motivo ripreso nella sua rivista Circuit, Plantard spiegò che le sessantaquattro caselle hanno ognuna un diverso significato simbolico e numerico, e possono essere associate ognuna ad un diverso esagramma dell'I-Ching.
De Chérisey e gli scacchi
Sarà il sodale di Plantard, Philippe De Chérisey, a riprendere altri elementi scacchistici e ad inserirli nella nascente mitologia del Priorato di Sion; tra questi non si può non citare la figura del Cavallo. In una delle due pergamene cifrate si parla di uno Cheval de Dieu: il riferimento è in parte circolare, dal momento che lo stesso procedimento di estrazione del messaggio cifrato segue - in uno dei suoi passi - il gioco del "salto del cavallo degli scacchi".
Il problema del "salto del cavallo degli scacchi", oggi di pertinenza della teoria dei grafi, era noto già nell'antichità, ma il primo a proporlo "ufficialmente" alla comunità dei matematici fu Brook Taylor (1685-1731) nei primi anni del Settecento. I primi a risolverlo furono Abraham de Moivre (1667-1754) e Pierre Rémond de Montmort (1678-1719), e il primo a formalizzarlo fu Leonhard Euler (1707-1783) nel 1759. Oggetto del problema era lo studio della possibilità, da parte del cavallo degli scacchi, di occupare successivamente tutte le caselle della scacchiera muovendolo con la tipica mossa "a elle" in esattamente 63 mosse, senza mai tornare su una casella già visitata.
La recente pubblicazione del manoscritto di Philippe De Chérisey, Pierre et Papier, ci consente di ricostruire con precisione il procedimento seguito per codificare le due pergamene diffuse per la prima volta da Gérard de Sède nel suo L'Or de Rennes nel 1967. Per realizzare la Grande Pergamena, De Chérisey trascrisse la prima metà del messaggio da codificare (complessivamente di 128 caratteri) su una scacchiera, disponendo le lettere una dopo l'altra lungo un tragitto che costituisce una soluzione del problema del "salto del cavallo". Giunto alla sessantaquattresima lettera, l'autore trascrisse la seconda metà del messaggio su una seconda scacchiera, seguendo un percorso verticalmente speculare rispetto al primo.
I due percorsi del “Salto del Cavallo degli Scacchi” utilizzati per cifrare la Grande Pergamena. I due sono verticalmente speculari.
In questo modo, l'unica possibilità di risalire al messaggio corretto sarebbe stata quella di identificare la sequenza utilizzata tra le milioni di soluzioni possibili. Trattandosi di un percorso ciclico, possiamo concludere che la soluzione fosse stata ispirata ai lavori di Eulero che fu il primo ad affrontare il problema della ciclicità dal punto di vista teorico.
Accostate in modo che la prima scacchiera così compilata si trovasse a sinistra della seconda, queste produssero un testo di 128 lettere che erano l'anagramma del messaggio originario: a questa nuova sequenza l'autore applicò due sostituzioni polialfabetiche, producendo una nuova stringa di 128 caratteri poi celata, a passi di 6 caratteri, in un testo evangelico più lungo.
La pergamena così concepita cela in sé una notevole (e sottilissima) ironia, dal momento che richiede al solutore di utilizzare il "salto del cavallo" per risolverla, e restituisce - a chi riesce a "violarla" - un messaggio che afferma che proprio "attraverso questo cavallo di Dio" si può sconfiggere il demone guardiano: se il demone è colui che fa la guardia al messaggio cifrato, nessun consiglio potrebbe essere più azzeccato (e tardivo, dal momento che si svela soltanto dopo che il solutore l'ha identificato per conto suo!).
E' lo stesso autore della pergamena a compiacersene nelle ultime pagine del suo manoscritto, dove ammette esplicitamente che lo "Cheval de Dieu è una sorta di strizzata d'occhio amichevole verso colui che ha usato il salto del cavallo per decodificare il messaggio."(8)
De Chérisey prosegue spiegando che nel XII sec. Goffredo di Buglione avrebbe fondato una vera e propria società di giocatori di scacchi presso le Scuderie di Re Salomone, e proprio dal salto del cavallo avrebbero preso spunto i Templari per disegnare la loro croce patente. Il tema ritornerà anche sulla rivista Circuit, ed è particolarmente bizzarro. Qui è illustrato il concetto:
Il numero massimo di mosse legali del cavallo degli scacchi è otto; collegando opportunamente tra loro le caselle raggiungibili dal cavallo si può ottenere una croce patente. Sul punto, De Chérisey è esplicito: "La croce patente dei Templari non è altro che un modo di interpretare il salto del cavallo. Molte altre croci sono nate sullo stesso modello: quella di Malta, dei Trinitari, ecc. Ma i Templari ci tenevano a manifestare la loro parentela con la scacchiera ed aggiunsero al centro della croce il simbolo del cavallo montato da due cavalieri."(9)
Va sottolineato, comunque, che - così com'è concepito - il problema della decodifica della Grande Pergamena è insolubile anche da un calcolatore: poiché i percorsi del salto del cavallo sulla scacchiera sono in numero enorme, anche una volta identificati i primi passi di decodifica polialfabetica, non esiste alcun computer in grado di identificare il percorso corretto in grado di estrarre dalla stringa di partenza il messaggio cifrato; ciò significa che per offrire la possibilità ad altri di decodificare il messaggio, l'autore sarebbe stato costretto a nascondere da qualche parte il percorso seguito, cui nessun decrittatore (umano e non) sarebbe mai potuto risalire.
Coerentemente con il fatto che fu De Chérisey ad elaborarlo per realizzare la Grande Pergamena, tale percorso è stato segnalato per la prima volta dall'attore francese nel 1971 sul suo romanzo Circuit, quattro anni dopo l'uscita del libro di Gérard de Sède. Se, come sostengono alcuni, De Chérisey non avesse davvero realizzato la codifica ma piuttosto decifrato l'opera realizzata da qualcuno che l'ha preceduto, significherebbe che insieme alla pergamena avrebbe trovato "qualcosa" in cui veniva rivelato il percorso corretto da seguire per decodificarla; in caso contrario, lui stesso non avrebbe mai potuto decifrarne il messaggio.
Le vicende narrate in Circuit sembrano suggerire il ritrovamento del percorso nel cimitero di Rennes-les-Bains: "Scava la terra sul lato sinistro della tomba, presso la vecchia pietra fiorita. Scopre una strana placca di rame ricoperta di verde e di grigio, con una griglia profondamente incisa. E' lei a fornire il percorso del salto del cavallo. Dopo un'accurata pulizia nel greto del fiume Sals che scorre lì vicino, Charlot li applica al testo delle due scacchiere prima citate, e così si può leggere: BERGERE PAS DE TENTATION..."(10)
La scena è ambientata presso il cimitero di Rennes-les-Bains, dove - secondo l'autore - la lapide di don Jean Vié (nato nel 1808, diventato sacerdote nel 1840 e morto nel 1872) fornirebbe l'indizio di utilizzare le scacchiere, dal momento che dalla nascita all'ordinazione ci sono 32 anni e dall'ordinazione alla morte altri 32: i primi sarebbero gli anni corrispondenti alle caselle bianche, gli altri quelli corrispondenti alle nere. Ad oggi, tale placca non è mai stata trovata, né si può sapere con certezza se sia mai esistita.
La tomba di Jean Vié a Rennes-les-Bains. Nato nel 1808, nominato sacerdote 32 anni dopo, morì 32 anni più tardi. Secondo il protagonista di Circuit la lapide sarebbe un indizio della necessità di usare una scacchiera per decifrare la pergamena.
In assenza di altri elementi, è lecito supporre che il messaggio sia stato nascosto dallo stesso che poi rivelò il metodo di decodifica.
Il manoscritto di De Chérisey Pierre et Papier conferma, inoltre, un altro sospetto: gli elementi correlati alla mitologia del Priorato di Sion mostrano sempre una doppia valenza, sia storica che geografica. Già la lettura del Serpent Rouge sembrava suggerire questa direzione di indagine: si è già visto, ad esempio, che il dualismo bianco/nero fa contemporaneamente riferimento ai Templari, il cui stendardo è di quei colori, e alle due cime del Blanchfort e del Roko Negro. Ciò vale anche per lo Cheval de Dieu. Sebbene De Chérisey spieghi in dettaglio i riferimenti al salto del cavallo per decifrare la Grande Pergamena, l'attore aggiunge che nei dintorni di Rennes-le-Chteau, esistono alcune formazioni rocciose che possono definirsi simbolicamente "Cavallo di Dio".
La prima si trova sul monte Serbaïrou, ed è costituita da una coppia di rocce che somigliano ad un cavallo accanto ad un altro più piccolo. La seconda si può trovare, secondo l'autore, seguendo la strada che da Couiza porta a Rennes: la descrizione del percorso è però molto laconica, e soltanto grazie ad alcuni studi sul terreno da parte di Mauro Vitali è stato possibile identificare il punto esatto cui faceva riferimento De Chérisey. La formazione rocciosa fronteggia la Tour Magdala costituendo una singolare opposizione simbolica tra due pezzi degli scacchi: la torre e il cavallo.
Vista dal camminamento circolare accanto alla Tour Magdala.
Pur essendo visibile dalla balconata panoramica di Rennes, la forma del cavallo è difficile da percepire perché da questa posizione la si osserva frontalmente e i particolari si confondono con le rocce circostanti. L'esatta collocazione dello Cheval de Dieu di pietra non è mai stata pubblicata in alcuna forma(11) e viene qui proposta per la prima volta. La formazione rocciosa si trova a nord-est di Soubirous, a metà strada tra il gruppo di case e la collina di Rennes-le-Chteau.
Lo Cheval de Dieu tra Soubirous e Rennes-le-Chteau. Come su una scacchiera, il cavallo fronteggia la Tour Magdala. Osservando il panorama dalla Tour, si trova a destra della grotta della Maddalena.
Identità e luogo
La scoperta della duplice valenza di ognuno degli elementi introdotti da Plantard può condurre ad uno stato di eccitazione interpretativa: se il "demone guardiano" è al tempo stesso la statua sotto l'acquasantiera e la località della Poltrona del Diavolo e se il cavallo degli scacchi è insieme la chiave per decifrare la pergamena e una formazione rocciosa, la tentazione di proseguire nelle identificazioni si fa forte… Facile identificare la Regina Bianca (Madre di Luigi il Santo e Sorgente nei pressi di Rennes-les-Bains), ma quella Nera chi è? E dove si trova? E che ne è di tutti gli altri pezzi? Dove (e chi) sono gli alfieri, i pedoni? Ma soprattutto, chi sono i due Re?
Esiste d'altronde un problema di più basso livello spesso ignorato: una volta identificato tale Scenario Definitivo, a quale mondo corrisponderà? A quello immaginato da Plantard? A quello in cui visse la sua vicenda storica Saunière? A quello nato nel 1967 dopo la pubblicaione de L'Or de Rennes? In altre parole, dov'è la scacchiera che stiamo studiando?
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(1) Edgar Allan Poe, "Maelzel's Chess-Player" in Southern Literary Journal, aprile 1836.
(2) E' il caso, ad esempio, di Roberto Volterri e Alessandro Piana, L'universo magico di Rennes-Le-Chteau, Milano: SurgarCo, 2004, pp.81-84 nel capitolo dall'eloquente titolo "Tempio massonico?". C'è da apprezzare il punto interrogativo. Si veda anche Jean Markale, Montségur et l'énigme cathare, Pygmalion, 2002, p.104.
(3) JP Pourtal, "Les inversions dans l'Histoire de Rennes-Le-Chteau"
(4) Henri Boudet, La Vraie Langue Celtique, pp.230-231 nella traduzione italiana di Domenico Migliaccio.
(5) Pierre Plantard in Henri Boudet, La Vraie Langue Celtique, Ed. Pierre Belfond, collection "les Classiques de l'Occultisme", Paris: 1978 (1886) nella traduzione italiana di Domenico Migliaccio.
(6) Pierre Jarnac, Histoire du trésor de Rennes-le-Chteau, Cazilhac: Belisane, 1998, nota a p.160.
(7) Jean-Jacques Bedu, Rennes-Le-Chteau autopsie d'un mythe, Loubatières, 2002, pp.67-68.
(8) Philippe De Chérisey, Pierre et Papier ora in Jean-Luc Chaumeil, Le Testament du Prieuré de Sion, Villeneuve de la Raho: Pégase, 2006, p.92.
(9) Ibidem.
(10) Philippe De Chérisey, Circuit, pubblicazione privata, 1971, p.127. Se si conta anche la copertina, la pagina in cui viene rivelato il messaggio di 128 lettere è la 128ma!
(11) In Christian Doumergue, L'Affaire de Rennes-le-Chteau, t.II, Arqa éditions, 2006, p.170 viene pubblicata la fotografia di un cavallo di pietra esplicitamente chiamato "Cheval de Dieu" che si troverebbe "tra Rennes-le-Chteau e Rennes-les-Bains"; purtroppo per il lettore, non ne viene indicata l'esatta collocazione.
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La scacchiera di Rennes-le-Chteau
Sabato 20 novembre 2010 by Lucia Zemiti
La scacchiera ed i suoi pezzi: Tour (Magdala), Reine (Blanche), Cheval (de Dieu), Roi (perdu) e Fou, l'alfiere (ma in inglese Bishop, "vescovo"… di sicuro Saunière non immaginava nemmeno lontanamente la caparbietà di questo pezzo nella sua personalissima partita che lo porterà alla fine ad arroccarsi nella sua Torre in una situazione di Stallo) giocano, nel mistero di Rennes-le-Chteau un'eterna partita tra sogno e realtà, ragione e follia, verità e menzogna. Simbolo dualistico per eccellenza dove opposti e contrari si alternano occupando il medesimo spazio, la scacchiera è un oggetto particolare.
La forma ed il colore hanno lo stesso potere ipnotico che infonde la spirale del gioco dell'Oca, e ricordano i diversi modi di affrontare la vita: affidandosi totalmente al caso e alla fortuna, lasciandosi trascinare dal percorso a senso unico nel gorgo del gioco dell'Oca, o decidendo ogni singola mossa nel tentativo di opporsi, modificare o perlomeno beffare l'improcrastinabile esito - come Antonius Block nel Settimo sigillo.
La scacchiera ha affascinato i più grandi scrittori, da Dante a Borges, da Poe a Zweig, ma la più intrigante è certamente quella di Lewis Carrol nel suo Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò.
Oltre ad accennare, sornione, alla complessità della teoria dell'antimateria nel mondo riflesso e speculare in cui proietta la piccola Alice (non era Signol ad invertire la sua N attraversando il meridiano di Saint Sulpice?) Carrol sfoggia un'incredibile padronanza del nonsense e dei giochi di parole cari anche ai cultori del libro di Henri Boudet.
"Le parole che io uso significano esattamente ciò che decido, né più né meno". E' Humpty Dumpty ad affermarlo in Alice nel Paese delle Meraviglie, manifestando tutta la potenza che un abile calembourista può celare nelle sue parole; mi piace accomunare Carrol e il suo bianconiglio al filone dei cultori dell'enigma di Rennes-le-Chteau, in compagnia di Verne e Leblanc.
L'edizione 1872 di Attraverso lo specchio, magistralmente illustrata da Sir John Tenniel, riporta in prefazione la figura della scacchiera su cui Alice dovrà cimentarsi. Qui, il re rosso (!) si trova in e4. A prestar fede ad Humpty Dumpty, ciò significa esattamente ciò che ha deciso Carrol. Né più, né meno.
Curioso. Anche Saunière sembra segnalare questa casella nella sua personalissima scacchiera. No, non quella ritagliata tra lo sguardo di Asmodeo e di Gesù nella penombra della chiesa di Santa Maddalena. Mi riferisco alla scacchiera racchiusa nel suo giardino, ben delimitata da due torri che si fronteggiano opposte e contrarie, dominando un orizzonte d'indicibile bellezza.
Il percorso semicircolare che collega le due torri copre tutta la prima colonna a sinistra e la prima riga in alto, definendo una seconda e più piccola scacchiera 7 x 7 che costituisce il giardino vero e proprio. Al centro dello stesso, è facile mettere in evidenza una casella. La stessa di Lewis Carroll. La casella e4.
Mi piace chiedermi… e se Saunière avesse davvero pensato a questa scacchiera? E se avesse voluto celare una precisa indicazione?
Narrano le antiche cronache degli scacchi che un tempo la torre era un Carro da guerra. Che ad affrontarsi su questo giardino-scacchiera siano in realtà i due carri (Rhedae) contrapposti?
E se per avvicinarci alla Soluzione dovessimo affidarci al passo irregolare dello Cheval de Dieu?
Un'ultima considerazione.
Shah mat, parola araba da cui deriverebbe la nostra Scacco matto, significa "Il Re è morto". Chi è il re morto? E soprattutto dov'è celata la casella e4?
E se si trattasse di...
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Parte del pavimento della chiesa viene ricoperto da mattonelle bianche e nere, come una scacchiera.
Il pavimento della chiesa di Santa Maddalena
La decorazione è limitata al fondo della chiesa, ad un corridoio tra i banchi e all’area di fronte al pulpito.
Planimetria con il pavimento a scacchiera
In due punti, gli operai preferiscono tagliare le strette mattonelle che determinano il "confine" dell’area decorata a scacchiera piuttosto che le mattonelle che compongono la scacchiera stessa. Ciò consentirà a qualche autore di supporre l’intenzionalità di definire una precisa scacchiera a 64 caselle, i cui confini – però – sono determinati con assoluta arbitrarietà.
A sinistra, due particolari delle mattonelle angolari. A destra, la scacchiera supposta da qualche autore.
La volta del coro è dipinta di un blu notte, su cui spiccano stelle dorate. La parete dell’abside viene decorata da un drappeggio rosso dipinto sul muro, costellato da un intreccio di lettere SM, le iniziali della santa cui è dedicata la chiesa, Santa Maddalena. Le due lettere si ripetono su altri muri interni, al centro di decorazioni floreali.
L’abside della chiesa fotografato dal centro della navata
Un’altra allegoria fa riferimento al sigillo di Bianca di Castiglia: un castello a tre torri, con la torre centrale più alta, e un giglio (fleur de lys)1. Si tratta, con ogni probabilità, di un riferimento alla storia della chiesa, essendo questa stata ampliata a metà del XIII secolo su ordine di Pierre de Voisins durante il regno di San Luigi, il cui regno fu retto – durante le crociate – da sua madre Bianca di Castiglia. La leggenda vuole che la donna scelse Rennes-le-Chteau come sede sicura del Tesoro Reale.
Un secondo omaggio all’antichità della chiesa si riscontra nelle arcate, decorate con volute in stile carolingio2.
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El ajedrez en la mitología de Rennes-le-Chteau
jueves 28 octubre 2010 por Mariano Tomatis
A diferencia de otros nobles juegos de mesa como el backgammon, el bridge y la ruleta, el ajedrez no permite la aleatoriedad entre los elementos que componen su estructura; no hay dados que tirar, cartas que barajar ni ruedas que girar, ni nada que esconder: la situación es clara para ambos jugadores, que sólo tienen a su disposición su propia mente para prevalecer sobre el oponente y sus habilidades analíticas.
A pesar de que, por estas razones, el ajedrez es aparentemente el juego que mejor encarna los ideales de la pura racionalidad, a lo largo de su historia han evocado repetidamente escenarios irracionales cuando no del todo desconcertantes. La primera "máquina" capaz de jugar al ajedrez e incluso de derrotar al emperador Napoleón III, el autómata del barón Von Kempelen (1734-1804), fue en realidad un elaborado e ingenioso juego de manos que escondía en su interior a un jugador humano de diminutas dimensiones, que desde el interior movía una serie de brazos mecánicos para dar la ilusión de ser un robot autopropulsado; el engaño había sido perfecto, y sólo Edgar Allan Poe (1809-1849), durante la gira americana del autómata, había revelado públicamente el truco que hizo posible aquel milagro.
La ambigüedad intrínseca del simbolismo de cada una de las piezas que componen el tablero de ajedrez (a partir de la dicotomía blanco/negro destacada tanto por el plan de juego como por los colores de las piezas en el campo) ha hecho que el ajedrez aparezca en obras visionarias ricas en sugerencias literarias como los cuentos de Borges y las novelas de Umberto Eco; en El nombre de la rosa , por ejemplo, se cita irónicamente el pseudobiblium de Milo Temesvar "Sobre el uso de los espejos en el juego del ajedrez": Temesvar, el nombre de un autor ficticio creado por el propio Borges, volverá más recientemente en un artículo de parodia de Eco sobre una interpretación homosexual de La última cena de Leonardo.
El "mito aglutinador" de Rennes-le-Chteau no podía ser inmune a la contaminación cultural del ajedrez, y Pierre Plantard, uno de los "modeladores" más ingeniosos y prolíficos de la mitología más conocida hoy en día, introducirá efectivamente varios "ajedreces". elementos.
Saunière y ajedrez
No hay noticias de un interés específico por parte de Bérenger Saunière por el juego de ajedrez; son más bien algunas obras arquitectónicas las que muestran los vínculos entre el sacerdote y el tablero de ajedrez, empezando por el suelo de la iglesia de Santa Maddalena, instalada en 1887 durante las primeras obras de restauración.
Plano de la iglesia de Santa Maddalena mostrando el piso ajedrezado.
Lo que es una decoración muy común en muchas iglesias católicas -pero no sólo: también se encuentra en muchas casas particulares de la época- se consideró evidencia de una afiliación, por parte de Saunière, a alguna logia masónica, ya que los templos de la masonería tienen un piso de tablero de ajedrez. Esto haría de la iglesia de Rennes-le-Chteau, según algunos autores, un templo masónico. (2)
Los vínculos entre la Maison Giscard son conocidos, a cargo de la instalación del conjunto estatuario en la iglesia de Santa Maddalena, y la Masonería, pero la participación de la casa de Toulouse se remonta a 1891 con la instalación del púlpito, mientras que los trabajos de restauración en el suelo se remontan a cuatro años. más temprano. La hipótesis de que Saunière pretendía ocultar los símbolos de un templo masónico en las decoraciones de su parroquia no tiene en cuenta una línea política explícitamente demostrada a lo largo de su actividad sacerdotal: reaccionario convencido, siempre se puso del lado contrario al laicismo y a las fuerzas republicanas, a las que la masonería estuvo íntimamente ligado, y por estos cargos -expresados con vehemencia desde el púlpito de su iglesia- fue incluso suspendido de su cargo por algunos meses después de las elecciones de 1885, ganadas por los republicanos.
Uno piensa en un tablero de ajedrez si observa el pavimento de la Tour Magdala desde arriba.
El piso del Tour Magdala.
Las 256 baldosas decoradas están dispuestas formando un archivador de ocho cuadrados por cada lado en el que se podría jugar al ajedrez con facilidad, con el único límite de la ausencia de alternancia de colores blanco y negro. El piso en sí muestra una rareza singular: la caja de la esquina, ubicada en la entrada de la escalera de caracol que conduce al piso superior del Tour y compuesta, como todas las demás, por cuatro mosaicos, muestra un mosaico "anómalo"; su esquina es, a diferencia de todos los otros 255, de color rojo.
Arriba a la izquierda: el mosaico anómalo.
Hay una curiosa relación entre la posición de la torreta circular que domina el Tour Magdala y la casilla correspondiente en el suelo: la torreta está, de hecho, en correspondencia con la casilla de la esquina, y en el juego de ajedrez las casillas de la esquina son precisamente aquellos sobre los que se colocan las torres al inicio del juego. Quizá incluso el invernadero situado en el otro extremo de la pasarela semicircular presentaba en su momento un pavimento idéntico al de la Tour Magdala: lamentablemente las tejas que lo componían están gravemente dañadas y sólo quedan algunos fragmentos.
Cambiando de escala, algunos creen que todo el jardín delimitado por la pasarela semicircular representa simbólicamente un enorme tablero de ajedrez: dada su planta, la Torre Magdala y el invernadero están correctamente colocados en las dos esquinas opuestas de un archivador ideal, en los dos puntos exactos donde las torres estarían al comienzo de cada juego. (3)
El jardín superpuesto al tablero de ajedrez.
Se trata de hipótesis e interpretaciones fascinantes, que se equivocan por una sola razón: de hecho, se limitan a fotografiar la realidad tal como es, sin conducir a nuevos descubrimientos en la línea de la teoría avanzada. De hecho, ofrecen la posibilidad de novelar las sugerencias del símbolo identificado, haciendo pensar en un sacerdote constantemente en equilibrio entre las fuerzas del bien y del mal, víctima de una profunda nostalgia por el pensamiento cátaro y su dualismo admirablemente expresado en el tablero de ajedrez, o quizás secretamente ligadas a ambientes masónicos, aunque públicamente alejados del laicismo y anticlericalismo de las logias francesas de la época- pero las mismas sugerencias son entonces históricamente estériles, no sólo porque no encuentran confirmación documental de ningún tipo,
Pero fue precisamente la fecundidad del símbolo lo que inspiró a personajes como Pierre Plantard en la construcción de la mitología del Priorato de Sión.
Pierre Plantard y el ajedrez
Algunas características topográficas de los territorios en torno a Rennes-le-Chteau permiten una lectura de ajedrez que propone Pierre Plantard en varios de los documentos que recopiló entre las décadas de 1960 y 1980. Las dos montañas de Blanchefort y Rocho Negro, a poca distancia entre sí, toman sus nombres de sus colores típicos, lo que nos permite elaborar la imagen simbólica de dos gigantes, uno expresión de luz, el otro de oscuridad.
La referencia histórica a la que se refería Plantard era el libro de Henri Boudet La Vraie Langue Celtique , en el que el sacerdote escribió: "En la margen izquierda del Sals, el cromleck comienza en la roca Blancfort. La punta natural de esta roca fue aplanada, en el Medio Edad , para permitir la construcción de un fuerte como punto de observación. Aún quedan algunos rastros en mampostería que demuestran la existencia de este fuerte. Esta roca blanca que salta a la vista de repente es seguida por una capa de rocas negruzcas, que se extiende hasta Roko Négro. Esta peculiaridad le ha dado a esta roca blanca, colocada sobre rocas negras, el nombre de Blancfort - en blanco, blanco, - adelante, encima, adelante ". (4)
Según la lectura "iniciática" que Plantard proponía en 1978 en la edición Belfond del libro del sacerdote francés, al describir las dos montañas Boudet se refería de forma oculta a la pila de la iglesia de Rennes-le-Chteau y a la pila bautismal ; todo giraría en torno al contraste de blanco y negro, escondido en los siguientes elementos:
En la pila aparece la inscripción PAR CE SIGNE TU LE VAINCRAS. Dado que las letras LE no deberían aparecer en una traducción literal de la oración latina IN HOC SIGNO VINCES, esta anomalía tendría una clara referencia a los Caballeros Templarios: las dos letras, de hecho, se encuentran en la posición 13 y 14 dentro de la oración. , componiendo así el número 1314 que es la fecha de la desaparición de la Orden Templaria, cuyo estandarte, el mítico Beaucéant, estaba dividido en dos bandas, negra y blanca.
La pila está sostenida por un demonio arrodillado, parcialmente inclinado respecto al eje de la iglesia. En el muro norte del mismo, en correspondencia con la pila bautismal, aparece el conjunto estatuario de Juan Bautista y Jesús; este último también está de rodillas y, como el diablo, parece estar observando un punto en el centro del piso ajedrezado en la parte posterior de la iglesia. La idea es que los dos contrincantes se retan en un juego simbólico de ajedrez entre la luz y la oscuridad, y el plan de juego se compone de un tablero imaginario de 64 casillas creado en el suelo de la iglesia de S. Maddalena.
El mensaje que Plantard pretendía transmitir es explícito: La Vraie Langue Celtique es un libro con una clave, que hay que leer buscando referencias a la iglesia de Rennes-le-Chteau en el texto. Pero como en el escenario de Plantard las decoraciones fueron instaladas por el matrimonio Saunière-Boudet, también es cierto lo contrario: la iglesia de Santa Maddalena es la versión arquitectónica del libro de Boudet, y sus elementos están vinculados simbólicamente a algunos accidentes topográficos del lugar. Así, la mano del diablo debajo de la pila, cerrada para formar un círculo, se referiría a la "Fuente del Círculo", cerca de Rennes-les-Bains, etc.
El esoterista francés lo expresó así: "Encontramos estas ilustraciones en la iglesia de Rennes-le-Chteau. El abad Henri Boudet es su creador y arquitecto. [...] El autor de la Verdadera Lengua Celta había colocado en un nicho en el atrio de su iglesia parroquial una cruz sobre un pilar de piedra con el lema de Constantino In hoc signo vinces cuya traducción exacta es: Por este signo vencerás De nuevo reproduce la inscripción de la pila bautismal sostenida por el diablo en Rennes-le-Chteau pero con una variación: esta vez dice: Par ce signe tu le vaincras Se han añadido 2 letras a las 20 letras del lema para obtener el número 22 del tarot, el que marca el eclair, los iluminados. Las letras añadidas son 13 y 14, por lo tanto 1314. Esta fecha es la de la desaparición de la Orden del Temple cuyo estandarte de Beau-Céan era blanco y negro. Ahora, el diablo mira fijamente con sus ojos de vidrio el tablero de ajedrez formado por el piso blanco y negro. Nuevamente el Abbé Boudet da una ilustración de su libro, donde insiste en el Blanco y Negro, en la cita de Blanchefort "esta roca blanca que llama la atención, rodeada todo alrededor por una base de rocas negruzcas, extendiéndose hasta un Roko Negro". (p. 231), del día a la noche. Los dos sacerdotes firmaron esta obra porque detrás del diablo, sostenido por dos basiliscos (pequeños reyes) unidos por un anillo, hay un medallón rojo con las letras doradas BS, iniciales de Boudet-Saunière.(5)
Pierre Jarnac afirmó que la hipótesis del tablero de ajedrez en la parte posterior de la iglesia propuesta por Plantard era anacrónica: el piso que había instalado Saunière no habría sido blanco y negro, sino todo blanco; el tablero de ajedrez se habría instalado solo después de la muerte del sacerdote, en un período no especificado. Para probar esta afirmación, Jarnac publicó en su Histoire du trésor de Rennes-le-Chteau una fotografía que Saunière hizo para su juego de postales, en la que el piso de la iglesia en realidad parecía todo blanco. (6)
La postal donde el piso de la iglesia aparece completamente blanco.
La fotografía, en realidad, no es en modo alguno el elemento concluyente de esta cuestión: el falso color se debe con toda probabilidad a una sobreexposición de la fotografía, consecuencia de la oscuridad del lugar donde fue tomada. (7)
La objeción que señala que no existe un tablero de ajedrez de 64 casillas bien definido es más fuerte: a diferencia de lo que se informa en algunas guías "tendenciosas", el tablero de ajedrez ideal planteado como hipótesis por Plantard debe visualizarse sin la ayuda de ningún guía presente en el suelo. ya que los azulejos se suceden sin costura desde la entrada lateral de la iglesia hasta la pila bautismal, extendiéndose hacia el este en una franja a través de los bancos de la iglesia y terminando en una segunda franja, paralela a la primera, que va desde el púlpito hasta la estatua de San Pedro. Antonio de Padua.
El suelo de la parte trasera de la iglesia en la fotografía publicada en 1967 por Gérard de Sède. El editor se vio obligado a señalar el tablero con una línea punteada porque no se indica lo contrario.
No obstante, cabe señalar la presencia de dos "cortes" diagonales que parecen haber sido colocados para facilitar la interpretación sugerida por Plantard: dispuestos simétricamente a los dos lados de la pasarela central, parecen sugerir la presencia de un ángulo a respetar encajaría bien en el tablero de ajedrez ideal en el que chocan Jesús y el demonio.
Detalle de los azulejos en la parte inferior de la iglesia
Un documento que vio la luz recién en julio de 2006, publicado por el periodista francés Jean-Luc Chaumeil, revela el interés explícito de Plantard por la simbología del ajedrez; el documento es la transcripción de una conferencia que el esoterista realizó el 6 de junio de 1964 en el Hôtel de la Tour de Noël Corbu. Su discurso abrió justo en la imagen del demonio que observaba el tablero de ajedrez en el piso de la iglesia; Hablando de ajedrez, Plantard citó la famosa anécdota según la cual el juego habría nacido en Oriente, y su inventor habría pedido como recompensa un grano de trigo en la primera casilla, dos en la segunda, cuatro en la tercera y así sucesivamente, duplicándose cada vez que el correo. Es contradictorio, ¡pero no hay muchos granos de trigo en el mundo capaces de satisfacer tal pedido!
Plantard agregó además que en el siglo XII el ajedrez era un símbolo real y que los duques de Normandía tomaban sus decisiones más importantes en una mesa cubierta con un mantel decorado con un tablero de ajedrez. Al presentar un motivo retomado en su revista Circuit , Plantard explicó que las sesenta y cuatro cajas tienen cada una un significado simbólico y numérico diferente, y cada una puede asociarse con un hexagrama diferente del I-Ching.
De Chérisey y el ajedrez
Será el compañero de Plantard, Philippe De Chérisey, quien retomará otros elementos del ajedrez y los insertará en la naciente mitología del Priorato de Sion; entre estos no podemos dejar de mencionar la figura del Caballo. En uno de los dos pergaminos encriptados se menciona un Cheval de Dieu : la referencia es en parte circular, ya que el mismo proceso de extracción del mensaje encriptado sigue -en uno de sus pasos- al juego del "salto del caballo de ajedrez".
El problema de "saltar el caballo del ajedrez", perteneciente hoy a la teoría de grafos, ya era conocido en la antigüedad, pero el primero en proponerlo "oficialmente" a la comunidad matemática fue Brook Taylor (1685-1731) en los primeros años del siglo XVIII. siglo. Los primeros en resolverlo fueron Abraham de Moivre (1667-1754) y Pierre Rémond de Montmort (1678-1719), y el primero en formalizarlo fue Leonhard Euler (1707-1783) en 1759. El objeto del problema fue el estudio de la posibilidad, por parte del caballo de ajedrez, de ocupar sucesivamente todas las casillas del tablero desplazándolo con la típica jugada "L" en exactamente 63 movimientos, sin volver jamás a una casilla ya visitada.
La reciente publicación del manuscrito de Philippe De Chérisey, Pierre et Papier , nos permite reconstruir con precisión el procedimiento seguido para codificar los dos pergaminos difundidos por primera vez por Gérard de Sède en su L'Or de Rennes en 1967. Gran Pergamino, De Chérisey transcribió la primera mitad del mensaje a codificar (128 caracteres en total) en un tablero de ajedrez, ordenando las letras una tras otra a lo largo de un camino que constituye una solución al problema del "salto del caballo". Habiendo llegado a la sexagésima cuarta letra, el autor transcribió la segunda mitad del mensaje en un segundo tablero de ajedrez, siguiendo un camino de espejo vertical con respecto al primero.
Los dos caminos del "Salto del Caballo de Ajedrez" utilizados para cifrar el Gran Pergamino. Los dos están reflejados verticalmente.
De esta forma, la única posibilidad de volver al mensaje correcto habría sido identificar la secuencia utilizada entre los millones de posibles soluciones. Al ser un camino cíclico, podemos concluir que la solución se inspiró en los trabajos de Euler quien fue el primero en abordar el problema de la ciclicidad desde un punto de vista teórico.
Yuxtapuestos de manera que el primer tablero así compilado quedó a la izquierda del segundo, produjeron un texto de 128 letras que eran el anagrama del mensaje original: el autor aplicó dos sustituciones polialfabéticas a esta nueva secuencia, produciendo una nueva cadena de 128 caracteres luego oculto, en pasos de 6 caracteres, en un texto evangélico más largo.
El pergamino así concebido esconde una notable (y muy sutil) ironía, ya que requiere que el solucionador utilice el "salto del caballo" para resolverlo, y devuelve -a quien logre "violarlo"- un mensaje que dice que "a través de este caballo de Dios" se puede derrotar al demonio guardián: si el demonio es el que custodia el mensaje cifrado, ningún consejo podría ser más acertado (y tardío, ya que se revela solo después de que el solucionador lo haya identificado en su ¡propio!).
Es el propio autor del pergamino quien lo acoge en las últimas páginas de su manuscrito, donde admite explícitamente que el " Cheval de Dieu es una especie de guiño amistoso hacia quien usó el salto del caballo para descifrar el mensaje". (8)
De Chérisey continúa explicando que en el siglo XII. Godofredo de Bouillon habría fundado una verdadera compañía de ajedrecistas en las Caballerizas del Rey Salomón, y los Templarios habrían seguido el ejemplo del salto del caballo para diseñar su cruz patente. El tema también volverá a la revista Circuit , y es particularmente extraño. Aquí está el concepto:
El número máximo de movimientos de caballo legales en el ajedrez es ocho; uniendo adecuadamente las casillas alcanzables por el caballo, se puede obtener una cruz. Sobre este punto, De Chérisey es explícito: “La cruz patente de los templarios no es más que una forma de interpretar el salto del caballo. Muchas otras cruces nacieron sobre el mismo modelo: la de Malta, la de los trinitarios, etc. Los templarios se preocuparon por demostrar su parentesco con el tablero de ajedrez y agregaron el símbolo del caballo montado por dos caballeros en el centro de la cruz". (9)
Sin embargo, debe subrayarse que, tal como se concibió, el problema de decodificar el Gran Pergamino es insoluble incluso por una computadora: dado que las rutas de salto del caballo en el tablero de ajedrez son enormes en número, incluso una vez que los primeros pasos de decodificación han sido identificados polialfabéticamente, no hay una computadora capaz de identificar la ruta correcta capaz de extraer el mensaje cifrado de la cadena de inicio; esto significa que para ofrecer a otros la posibilidad de descifrar el mensaje, el autor se habría visto obligado a ocultar en algún lugar el camino seguido, que ningún descifrador (humano o no) sería capaz de rastrear.
De acuerdo con el hecho de que fue De Chérisey quien lo elaboró para crear el Gran Pergamino, este camino fue relatado por primera vez por el actor francés en 1971 en su novela Circuito , cuatro años después del lanzamiento del libro de Gérard de Sède. Si, como afirman algunos, De Chérisey no hubiera realizado realmente el cifrado sino más bien descifrado la obra creada por alguien que le precedió, significaría que junto al pergamino habría encontrado "algo" que le revelara el camino correcto a seguir. para decodificarlo; de lo contrario, él mismo nunca podría haber descifrado el mensaje.
Los hechos narrados en Circuit parecen sugerir que el camino se encontró en el cementerio de Rennes-les-Bains: "Excava la tierra en el lado izquierdo de la tumba, cerca de la antigua piedra florida. Descubre una extraña placa de cobre cubierta de verde y gris, con una retícula profundamente incisa. Es ella quien marca el recorrido del salto del caballo. Después de una profunda limpieza en el cauce del río Sals que discurre cerca, Charlot las aplica al texto de los dos tableros citados, y así se puede leer: BERGERE PAS DE TEMPTATION..." (10)
La escena está ambientada en el cementerio de Rennes-les-Bains, donde -según el autor- la lápida de don Jean Vié (nacido en 1808, sacerdote en 1840 y muerto en 1872) proporcionaría la clave para utilizar los tableros de ajedrez, ya que hay 32 años desde el nacimiento hasta la ordenación y desde la ordenación hasta la muerte otros 32: los primeros serían los años correspondientes a las casillas blancas, los demás los correspondientes a las negras. Hasta la fecha, esta placa nunca se ha encontrado, ni se puede saber con certeza si alguna vez existió.
La tumba de Jean Vié en Rennes-les-Bains. Nacido en 1808, nombrado sacerdote 32 años después, muerto 32 años después. Según el protagonista de Circuito , la lápida sería un indicio de la necesidad de utilizar un tablero de ajedrez para descifrar el pergamino.
A falta de otros elementos, es legítimo suponer que el mensaje fue ocultado por los mismos que luego revelaron el método de decodificación.
El manuscrito de De Chérisey Pierre et Papier también confirma otra sospecha: los elementos relacionados con la mitología del Priorato de Sión muestran siempre un doble valor, tanto histórico como geográfico. Ya la lectura de Serpent Rouge parecía sugerir esta dirección de investigación: ya hemos visto, por ejemplo, que el dualismo blanco/negro remite simultáneamente a los templarios, cuyo estandarte es de esos colores, y a los dos picos de Blanchfort y Roko Negro. . Esto también se aplica al Cheval de Dieu.. Aunque De Chérisey explica con detalle las referencias al salto del caballo para descifrar el Gran Pergamino, el actor añade que en los alrededores de Rennes-le-Chteau existen unas formaciones rocosas que simbólicamente pueden definirse como "Caballo de Dios".
El primero está situado en el monte Serbaïrou, y consiste en un par de rocas que parecen un caballo junto a otra más pequeña. El segundo se puede encontrar, según el autor, siguiendo la carretera que conduce de Couiza a Rennes: la descripción de la ruta es, sin embargo, muy lacónica, y solo gracias a algunos estudios sobre el terreno de Mauro Vitali ha sido posible identificar el punto exacto al que se refiere De Chérisey. La formación rocosa se enfrenta a la Vuelta Magdala constituyendo una singular oposición simbólica entre dos piezas de ajedrez: la torre y el caballo.
Vista desde la pasarela circular junto a la Torre Magdala.
Aunque visible desde el balcón panorámico de Rennes, la forma del caballo es difícil de percibir porque desde esta posición se puede observar de frente y los detalles se confunden con las rocas circundantes. La ubicación exacta de la piedra Cheval de Dieu nunca se ha publicado de ninguna forma (11) y se propone aquí por primera vez. La formación rocosa se encuentra al noreste de Soubirous, a medio camino entre el grupo de casas y la colina de Rennes-le-Chteau.
El Cheval de Dieu entre Soubirous y Rennes-le-Chteau. Como en un tablero de ajedrez, el caballo se enfrenta a la Tour Magdala. Observando la panorámica desde el Tour, se sitúa a la derecha de la cueva de la Maddalena.
Identidad y lugar
El descubrimiento del doble valor de cada uno de los elementos introducidos por Plantard puede llevar a un estado de excitación interpretativa: si el "demonio guardián" es al mismo tiempo la estatua bajo la pila y el emplazamiento del Sillón del Diablo y si el ajedrez el caballo es a la vez la clave para descifrar el pergamino y una formación rocosa, la tentación de continuar con las identificaciones se vuelve fuerte... Es fácil identificar a la Reina Blanca (Madre de Luis el Santo y Fuente cerca de Rennes-les-Bains), pero el Negro quien es? ¿Y donde esta? ¿Y qué hay de todas las demás piezas? ¿Dónde (y quiénes) están los alfiles, los peones? Pero sobre todo, ¿quiénes son los dos Reyes?
Sin embargo, hay un problema de nivel inferior que a menudo se ignora: una vez que se haya identificado este Escenario Supremo, ¿a qué mundo corresponderá? ¿A la imaginada por Plantard? ¿A aquél en el que Saunière vivió su relato histórico? ¿ Al nacido en 1967 tras la publicación de L'Or de Rennes ? En otras palabras, ¿dónde está el tablero que estamos estudiando?
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IRAK, LA ESTRELLA DE ISHTAR
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ANKH=RENNE LE CHATEAU=MARIE MADELEINE=FRANCE
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Rennes le Chateau-La Torre Magdala (FRANCIA)
Publicado: noviembre 9, 2010 en viajes
Qué hace que un cura de pueblo perdido y abandonado a su suerte se convirtiera en uno de los hombres más ricos del mundo?……. misterio, simplemente en tres años era un multimillonario y a las puertas de su parroquia puso una imagen del demonio sosteniendo la pila de agua bendita.
Y sigue la imagen de Asmodeo situada a la izquierda como es razonable pensar, de la puerta de entrada de la iglesia de Santa Magdalena. Cual era su misterio, cual su respuesta? Eso es lo que íbamos buscando. Las tierras de Carcassone están situadas al sur de Francia, pocos habitantes, zona de viñedos, valles llenos de aves y también de nieves, arroyos que son el desagüe de la nieve caída en invierno, su origen nos lleva a las leyendas. En aquel comienzo estaba muy poblada, fueron los galos del sur, aquel pueblo celta que se estableció en la zona y nombró a Narbo como su capital (actualmente Narbona); después vinieron los visigodos hasta el año 475 y más tarde los moros hasta el 715. Algo de ellos queda en el camino, algunas torres de vigilancia y bellos pero casi destruidos castillos que sobresalen en las altas colinas. Diez siglo de historia, pero…
Comienzan los pueblos a dejar huellas, aquellos cátaros sostuvieron aquí en Montségur su última resistencia en 1244.
La antigua ciudad de Aereda famosa como Rhedae por los romanos, tenía en otros tiempos unos 30.000 hab. y su castillo guardaba la unión entre el río Aude y el Sals. Hoy es una aldea, con pocas casas que se apiñan en la misma calle; esto es Rennes le Chteau. El panorama estaba completado para hacer una trabajo de campo sobre el personaje. En 1885 a los 33 años, François Béranger Saunière fue nombrado cura de la pequeña iglesia de Santa Magdalena, medio abandonada y en ruinas, y donde se alzaba en lo más alto un palacio fortificado por los visigodos. Como otros sacerdotes, Saunière tomó a una joven, Marie Denarnaud, como ama de llaves y se instaló en Rennes-le-Cháteau sin pedir nada más.
Ya instalado en la parroquia el sacerdote se enteró que uno de sus predecesores había dejado un legado para el mantenimiento de la iglesia en 1892 y con ello restauró el altar mayor. El altar era un solo bloque de piedra de alguna columna antigua de la época visigoda, cuando levantaron el bloque se descubrió que estaba hueca, dentro había tres tubos de madera, sellados con cera que contenían pergaminos manuscritos.
Algunas copias de estos pergaminos han llegado hasta nosotros. A primera vista no parecen ser más que transcripciones de pasajes conocidos del Nuevo Testamento, escritos en latín, con extraños caracteres de aspecto arcaico. El primero (Juan 12, 1-12) describe la visita de Cristo a Betania, a casa de Lázaro, Marta y María. El segundo es la historia de los discípulos recogiendo espigas de trigo en sábado, pero ha sido tomado de tres versiones diferentes, las de Mateo (12, 1-8), Marcos (2, 23-28) y Lucas (6, 1-5) [textualmente].
Cuando se hicieron las primera inspecciones se revelaron que los manuscritos tienen unos rasgos especiales, hay dibujos de monogramas, se han añadido algunas letras a los textos, hay puntos marcados, otros lugares están desplazados. Cosa que hizo inmediatamente pensar que habían sido manipulados por algún motivo en clave; aquí entraba el trabajo del criptógrafo que no encontró mucho trabajo para realizar su cometido.
A principios de 1893, Saunière llevó los manuscritos a su obispo monseñor Félix-Arséne Billard de Carcassonne y obtuvo autorización (y dinero) para ir inmediatamente a París. Allí entregó los documentos al abate Bieil, director de Saint-Sulpice, quien le presentó a su sobrino, el editor religioso Ané, en cuya casa se alojó Saunière mientras estuvo en París, y a Émile Hoffet, destinado a convertirse en una gran autoridad en manuscritos antiguos y sociedades secretas.
Saunière estuvo tres semanas en París. Pasó mucho tiempo en el Louvre, donde compró reproducciones de tres cuadros sin vinculación aparente entre sí: «Pastores de Arcadia» de Poussin, el «retrato de San Antonio» de Teniers y un retrato anónimo del papa San Celestino V. También entabló amistad con una celebridad parisina, Emma Calvé. La hermosa soprano estaba en la cumbre de su carrera. Durante muchos años fue íntima amiga de Saunière y lo visitó con regularidad hasta su boda (1914) con el tenor Gasbarri.
Cuando volvió a Rennes, Saunière continuó la restauración de la iglesia. Con la ayuda de algunos jóvenes del pueblo (uno de los cuales vivía aún en 1962 y proporcionó detalles valiosos sobre las actividades de su párroco), levantó otro bloque de piedra que se encontraba justamente delante del altar. La parte inferior del bloque estaba tallada en un estilo arcaico, que fue identificado como perteneciente a los siglos VI o VII. Se dice que debajo se encontraban dos esqueletos y un cuenco lleno de «medallones sin valor». Hay dos escenas talladas en el bloque, que suceden en un edificio con arcos o en una cripta. La de la izquierda representa, según parece, a un caballero montado, tocando una trompeta de caza, mientras su caballo agacha la cabeza para beber de un manantial. La de la derecha es de otro caballero con una vara en una mano y, en la otra, o un niño en su arzón o un disco o esfera. La piedra está gastada y rota y es difícil identificar los temas con seguridad.
Saunière manifestó que eran medallones sin valor. Cuando recientemente se volvió a excavar en el mismo lugar se encontró una calavera con una hendidura ritual característica en el cráneo.
Después de este descubrimiento, los trabajos en la iglesia cesaron durante algún tiempo. En cambio, Saunière, acompañado por su ama de llaves Marie, se dedicó a recorrer los alrededores con un saco al hombro. Cada noche volvía con el saco lleno de piedras que había elegido cuidadosamente, y cuando se le preguntaba por la finalidad de sus excursiones replicaba que había decidido embellecer el jardín que había frente a la iglesia con una gruta de piedra. Ciertamente, la gruta sigue allí, aunque muy disminuida; ha sido saqueada, o por cazadores de souvenirs o por quienes esperaban que las piedras revelaran el secreto de Saunière.
El curioso sacerdote tenía además otro pasatiempo; el cementerio de la iglesia contenía dos lápidas que marcaban la tumba de Marie de Negri d’Albes (muerta en 1781), esposa de Francis de Hautpoul, Señor de Rennes. Durante la noche, Saunière movió estas lápidas y borró pacientemente sus inscripciones: trabajo en vano, ya habían sido copiadas por arqueólogos itinerantes.
Durante los dos años siguientes, Béranger Saunière viajó mucho. Se sabe que abrió varias cuentas bancarias, en Perpiñán, Toulouse, París y hasta Budapest. Frecuentemente llegaban giros para Marie Denarnaud de Alemania, España, Suiza e Italia; aparentemente, algunos eran enviados por comunidades religiosas.
A partir de 1896, Saunière emprendió la restauración de la iglesia, cuyos resultados son los que pueden verse en la actualidad. El efecto del conjunto es extraordinario y estremecedor; se dispone diagonalmente donde se juntan nave y transepto, hay un suelo en forma de tablero de ajedrez compuesto por 64 baldosas cuadradas blancas y negras; junto a la puerta principal levantó un gran monumento de colores llamativos en el que la pila es sostenida por la cabeza de una figura de tamaño natural del demonio Asmodeo, mientras encima se levantan cuatro estatuas pequeñas de ángeles alados con la divisa «con este signo lo vencerás», una cita de la visión que provocó la conversión del emperador Constantino al cristianismo en el año 313.
Las paredes de la iglesia están cubiertas con pinturas en relieve sin ningún mérito artístico; hay un Vía Crucis un poco extraño y encima del confesionario, una representación de Cristo en el monte de los Olivos. El mismo Saunière pintó la imagen de María Magdalena que hay en el altar. Lo más extraño de todo es que sobre el portal de la iglesia están grabadas las palabras de Jacob en Bethel, pronunciadas la mañana siguiente a la visión de los ángeles que subían y bajaban por una escalera que llevaba al cielo: «Terribilis est locus iste» (Éste es un lugar terrible).
Cuando terminaron los trabajos en la iglesia, Saunière no abandonó su fiebre reconstructora. Compró el terreno que se extendía entre la iglesia y la ladera oeste de la colina. A lo largo de la cresta construyó un paseo semicircular y en el extremo sur de éste, una torre de dos pisos, la Torre Magdala. Dentro de la curva del paseo dispuso un jardín, y al final, separada de la iglesia por un pequeño patio, levantó una casa para huéspedes que llamó Betania.
Saunière pagó de su bolsillo todos estos trabajos. Y cuando Betania quedó terminada y amueblada con valiosas antigüedades, recibió huéspedes a quienes atendía como a reyes, con buenos vinos y abundante comida. Hubo visitas regulares de Emma Calvé, siempre que sus compromisos profesionales se lo permitían, y entre los huéspedes figuró también la secretaria de estado para las bellas artes, la escritora Andrée Bruguière, muchos notables de la zona y, de vez en cuando, de incógnito, un hombre de quien se decía que era el archiduque Juan de Habsburgo, primo del emperador de Austria.
Cuando Saunière murió en 1917 se calculaba que había gastado bastante más de un millón de francos de oro, que valían 20 veces más que los francos franceses. Después de su muerte y durante 36 años, hasta que falleció en 1953, Marie Denarnaud vivió como una reina y, en una carta escrita hacia 1920, estimó su propia fortuna en más de 100.000 francos.
Entre 1885 y 1893, Béranger Saunière dejó de ser el cura pobre de una parroquia miserable y se convirtió en un hombre enormemente rico y en uno de los derrochadores más extravagantes de la región. La prueba de sus gastos está allí, en sus tierras, en Renne le Cháteau a la vista de todos. Pero, ¿de dónde salieron las riquezas de Saunière?
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