La vecchia signora scorbutica
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(Bruno
Ferrero, C'è qualcuno lassù)
Sul tavolino
da notte di una vecchia
signora
ricoverata in un ospizio per anziani, il giorno dopo la sua morte, fu
ritrovata
questa lettera. Era indirizzata alla giovane infermiera del reparto.
«Cosa
vedi, tu che mi curi? Chi vedi, quando mi guardi? Cosa pensi, quando mi
lasci? E
cosa dici quando parli di me?
Il più delle
volte vedi una vecchia
scorbutica,
un po' pazza, lo sguardo smarrito, che non è più completamente lucida,
che
sbava quando mangia e non risponde mai quando dovrebbe.
E non smette
di
perdere le scarpe e calze, che docile o no, ti lascia fare come vuoi,
il bagno
e i pasti per occupare la lunga giornata grigia.
è questo che
vedi!
Allora
apri gli occhi. Non sono io.
Ti dirò chi
sono.
Sono l'ultima
di dieci
figli con un padre e una madre. Fratelli e sorelle che si amavano.
Una
giovane di 16 anni, con le ali ai piedi, sognante che presto avrebbe
incontrato
un fidanzato. Sposata già a vent'anni.
Il mio cuore
salta di gioia al
ricordo
dei propositi fatti in quel giorno.
Ho 25 anni ora
e un figlio mio, che
ha
bisogno di me per costruirsi una casa.
Una donna di
30 anni, mio figlio
cresce in fretta, siamo legati l'uno all'altra da vincoli che dureranno.
Quarant'anni, presto lui se ne andrà. Ma il mio uomo veglia al mio
fianco.
Cinquant'anni,
intorno a me giocano
daccapo dei bimbi.
Rieccomi
con dei bambini, io e il mio diletto.
Poi ecco i
giorni bui, mio marito
muore. Guardo al futuro fremendo di paura, giacché i miei figli sono
completamente occupati ad allevare i loro.
E penso agli
anni e all'amore che
ho conosciuto. Ora sono vecchia. La natura è crudele, si diverte a far
passare
la vecchiaia per pazzia. Il mio corpo mi lascia, il fascino e la forza
mi
abbandonano. E con l'età avanzata laddove un tempo ebbi un cuore vi è
ora una
pietra.
Ma in questa
vecchia carcassa rimane
la ragazza il cui vecchio cuore
si gonfia senza posa. Mi ricordo le gioie, mi ricordo i dolori, e sento
daccapo
la mia vita e amo.
Ripenso agli
anni troppo brevi e
troppo presto passati. E
accetto l'implacabile realtà "che niente può durare".
Allora apri
gli occhi,
tu che mi curi, e guarda non la vecchia scorbutica... Guarda meglio e mi
vedrai».
Quanti volti,
quanti occhi, quante
mani incrociamo, ogni
giorno. Che cosa guardiamo? Le rughe, le ostilità, i dubbi, le durezze.
Se
imparassimo invece a guardare i sogni, i palpiti, gli amori spesso così
accuratamente nascosti?
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