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De: Piero Gotta  (Mensaje original) Enviado: 19/06/2010 09:50
L'archeologia vasoè un'alchimia... É quell'incanto che accende luoghi e cose dimenticati; un mattone, una pietra, un semplice muro abbattuto improvvisamente risplendono. Il fascino di ogni reperto archeologico è innegabile; sia esso monumento o oggetto, stabilisce un contatto immediato e sensibile con la realtà scomparsa. Ma soprattutto, è uno strumento di conoscenza del passato.
L'indagine storica si serve di due fonti principali, l'archeologia, intesa come recupero di reperti materiali, e la tradizione scritta, l'insieme dei documenti di vario genere che sono giunti fino a noi e che possiamo interpretare. Né l'una né l'altra, però, prevalgono; entrambe si integrano e si affiancano con pari valore; anzi diremmo che sono reciprocamente complementari in quanto molti misteri architettonici e figurativi possono essere spiegati tramite la lettura dei testi mentre, viceversa, le scoperte archeologiche riescono a confermare le fonti letterarie, di cui spesso viene messa in dubbio la veridicità.
In realtà la tradizione e l'archeologia concorrono alla ricostruzione storica un modo diverso. Senza la parola scritta la storia è come una natura morta, ma senza i resti materiali il tutto rimane astratto e irreale. L'esperienza umana si tramanda di bocca in bocca, di libro in libro, viaggia attraverso l'usura del tempo, le manipolazioni dei racconti, le aggiunte, gli errori. Gli oggetti, viceversa, sono vivi, concreti, diretti, esprimono una realtà innegabile
La differenza fra queste fonti si può esprimere paragonando l'indagine del passato ad un processo investigativo; immaginiamo le tradizioni come i racconti dei testimoni – eloquenti, circostanziati, ma non sempre attendibili – mentre consideriamo, invece, i dati archeologici al pari delle prove materiali – incontestabili, inattaccabili, discutibili solo per quanto riguarda il loro significato in ordine allegipciosa ricostruzione dei fatti.
I resti archeologici sono spesso da considerare come testimonianze capaci di illuminare la nostra conoscenza con dati non conoscibili altrimenti. Infatti, queste fonti sono le sole di cui disponiamo quando manchi ogni ricordo tramandato, come nel caso della preistoria. Ma anche nei casi in cui esistano forme scritte, riconosciamo la loro insostituibilità per quanto concerne tutti quegli elementi che i documenti antichi non ebbero modo di descrivere (le mode, le tendenze, il gusto, i rapporti sociali, ecc).
Tra le risorse archeologiche rientrano anche documenti scritti, parliamo di pietre, stele, incisioni su monete, argilla o metallo, e in alcuni casi, anche papiro o stoffa. Queste sono testimonianze di un valore particolare perch챔 anche trattandosi di reperti materiali, esse parlano al pari delle opere letterarie.
Finito il tesargonmpo della «caccia al tesoro», l'archeologia non è il semplice gusto dello scavo e del recupero, ma dobbiamo vederla come indagine e interpretazione dei monumenti e dei resti dell'antichità, dove acquista valore €“ sostanziale e indispensabile €“ di mezzo di comunicazione con il passato. Grazie a questo ponte invisibile, gli abissi del tempo vengono annullati.
Il grande C.W. Ceram scriveva: €œNon è solo lo scavatore, che riporta alla luce tesori d'oro e mummie d'antichi re, quello che può vivere l'emozionante momento in cui il passato riacquista una vita di fantasma; anche all'uomo chiuso nel suo studio può accadere, mentre decifra una frase sconosciuta, di avvertire quel brivido che si prova a sentirsi direttamente rivolgere la parola dalle tombe.€
sussurrato da: ugarit alle ore 13:18 | Permalink commenti 
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marted챙, 09 ottobre 2007

 

 

I templi megalitici dell'isola di Malta

 

 

 

 

 


 Mesa Verde, nel Colorado, abitato lasciato dal misterioso popolo degli Anasazi

 


 Lalibela, Etiopia, chiese cristiane scavate nella roccia tufacea

 


sussurrato da: ugarit alle ore 13:16 | Permalink commenti 
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gioved챙, 11 ottobre 2007

 

 

 

 

sussurrato da: ugarit alle ore 13:11 | Permalink commenti 
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domenica, 21 ottobre 2007

Due dei traguardi fondamentali su cui si basa la ricerca storica sono stati la decifrazione dei geroglifici e quella dei caratteri cuneiformi. La portata di queste innovazioni fu immensa. Un numero impressionante di testi e di iscrizioni poté essere letta e tradotta, aprendo una voragine nelle conoscenze del mondo antico che verrà man mano riempita con la miriade di notizie, racconti, personaggi e popoli che provenivano da tutti i documenti ormai a nostra disposizione.

L'invenzione della scrittura fu quel grande passo grazie al quale possiamo ricostruire la storia come un grande mosaico. Essa nacque come supporto mnemonico utilizzato nei primi centri urbani in espansione, servendo inizialmente a contare; in seguito per registrare il conteggio e descrivere gli oggetti. Ma in sé questo procedimento conteneva già grandi potenzialità.


 

La decifrazione della scrittura cuneiformecuneiform

I caratteri cuneiformi erano già conosciuti in Europa fin dal 1600, grazie alle relazioni dei viaggiatori europei di ritorno dall'oriente. Uno di questi in particolare, l'erudito Pietro DELLA VALLE, notò strane incisioni sulle rovine di un'antica città, che risultò poi essere Persepoli, capitale dell'impero persiano; nel ricopiarle e nel riportarle a Roma intuì che doveva trattarsi di un misterioso sistema di scrittura e non semplici figure artistiche.

Trascorse pi첫 di un secolo, intanto le copie si diffusero in Europa. Una serie di queste fu visionata dal giovane studioso tedesco Georg Friedrich GROTEFEND nel 1802. Si trattav516px-Georg_Friedrich_Grotefenda di due iscrizioni sul portale del palazzo reale di Persepoli, ed erano ripartite su tre colonne, ognuna delle quali formata da caratteri notevolmente diversi da una colonna all'altra: si trattava del medesimo episodio in tre lingue diverse. Se le iscrizioni provenivano da Persepoli e si trovavano su edifici monumentali era naturale supporre che una delle tre lingue fosse persiano antico. Su tali iscrizioni egli not챵 che vi erano parole che si ripetevano con frequenza su tutte e tre le colonne; esaminando numerosi documenti provenienti sempre da Persepoli, not챵 anche che quasi tutti iniziavano con due gruppi di cunei in cui era molto probabile trovare la parola re o sovrano.

Continuando nelle sue ricerche intuì che una serie di caratteri ripetuti potevano significare "grande sovrano, re dei re", e dato che nelle iscrizioni venivano commemorati sempre e solo due sovrani, era verosimile che si trattasse di padre e figlio. Ricorrendo a quanto si sapeva della storia persiana riuscì ad identificare i nomi di Dario e Serse nella colonna centrale. Fu questa la prima decifrazione corretta di termini in scrittura cuneiforme. Seguirono correzioni e perfezionamenti e ci vollero più di trent'anni prima che si effettuassero nuove scoperte, ma a Grotefend spetta la priorità dell'intuizione decisiva.

Nell'Iran serawlinsonttentrionale venne scoperta la roccia di Behistun, una parete rocciosa scolpita a più di150 metri di altezza. Qui si trovavano raffigurazioni e incisioni delle imprese del re persiano Dario. Un ufficiale inglese, Henry Creswicke RAWLINSON, le notò e con un'ardita impresa si fece calare con una fune dalle rocce per poterne copiare le iscrizioni, a rischio della propria vita. Queste erano scritte su 14 colonne in tre lingue differenti, persiano antico, elamico, babilonese. Rawlinson, già esperto in lingue antiche, identificò quella corrispondente al persiano antico e nel 1837 ne presentò una prima versione alla Royal Asiatic Society di Londra. Successivamente si dedicò alle altre colonne.

L'iscrizione di Behistun, come quelle in possesso di Grotefend provenienti da Persepoli, conteneva, come detto, tre lingue che vennero designate come classe I, classe II e classe III. La classe I non costituiva più un problema, mentre per la classe II (babilonese) il merito di una prima decifrazione spetta al danese Westergaard nel 1854. Per la classe III (elamico), invece, la situazione era più complicata perchè si scoprì che ogni singolo segno rappresentava già una sillaba e spesso un'intera parola. Fortunatamente vennero ritrovate delle tavolette che fungevano da veri e propri dizionari per apprendere i rudimenti della scrittura cuneiforme nelle varie forme.

Nel 1857 la Royal Asiatic Society volle sciogliere definitivamente tuttcuneiform-introi i dubbi riguardo la questione. Essa invi챵 contemporaneamente ai quattro maggiori esperti di cuneiforme una lunga iscrizione del re Tiglat-Pileser I da poco scoperta a ad Assur. I quattro eruditi erano gli inglesi Henry Rawlison e Fox Talbot, il tedesco Jules Oppert e l'irlandese Edward Hincks; nessuno di loro sapeva del coinvolgimento degli altri, lavorando cos챙 autonomamente. Le quattro versioni furono esaminate da una commissione e il loro risultato fu spettacolare: esse concordavano tutte fra loro, tranne alcuni particolari. Era la dimostrazione che la scrittura cuneiforme seguiva precise regole e che poteva essere tradotta. Nasceva cos챙 l'assiriologia.


 

La decifrazione dei geroglifici

I principi su cui si basava la scrittura geroglifica si erano persi nel tempo. Erodoto, Strabone e Diodoro ne avevano dato notizie già dall'antichità, accennando ad un'incomprensibile scrittura figurata. I geroglifici erano passati sotto gli occhi di tutto il mondo e furono l'oggetto degli studi di una lunga serie di autori, dal medioevo in poi. I tentativi d'interpretazione furono innumerevoli ma vani, perchè anche i nomi più illustri ritenevano questa, una scrittura prevalentemente simbolica. Un'interpretazione del genere derivava da ORAPOLLO, un sacerdote egiziano del V secolo d.C. che aveva lasciato una descrizione particolareggiata del suo significato, ma che aveva portato tutti i futuri studiosi fuori strada.

Uno dei primramsvii approcci all'antica lingua egiziana fu tentato dal gesuita Athanasius KIRCHER nel 1600 nei suoi quattro volumi pubblicati a Roma; ma la sua interpretazione risult챵 totalmente fantasiosa. Unico suo merito fu quello di aver riconosciuto il valore del copto quale forma tardiva dell'antico egiziano. La lingua copta di cui parliamo era la lingua usata in Egitto al tempo del Cristianesimo.

Un secolo dopo De Guines dichiarava addirittura che i geroglifici erano collegati con gli ideogrammi della lingua cinese e che la popolazione asiatica poteva essere immigrata dall'Egitto.

Ma l'esplosione dell'interesse per i geroglifici fu avviata nel 1799 con la scoperta della famosa “stele di Rosetta”, un'iscrizione su pietra basaltica trovata nel delta del Nilo in cui si distinguevano tre testi scritti in diverse lingue. Il primo in geroglifico classico (ieratico), il secondo in demotico e il terzo in greco. Il greco allora era una lingua conosciuta da cui si potè ricavare che la stele risaliva al 196 a.C. e riportava un ringraziamento al re Tolomeo V. Dalla disposizione delle righe si poteva già intuire che si trattasse dello stesso testo riportato in tre scritture diverse.

La diffusione di copie fece sì che parecchi studiosi si dedicassero al suo esame. In particolare Silvestre DE SACY si concentrò sul testo demotico, lingua già parzialmente nota, cercando di individuare i nomi propri che si ripetevano nel testo greco. Identificò così i nomi di Tolomeo e Alessandro. Successivamente lo svedese Johan AKERBLAD fece notare che i nomi nella parte greca comparivano nella stessa posizione del testo demotico e definì anche un alfabeto demotico di 29 lettere, alcune delle quali esatte, ma non riuscendo ad andare oltre.

Nel 1814 il fisico inglese Thomas YOUNG, confermando che il demotico era una scrittura a base di lettere, ne scopr챙 due aspetti interessanti: primo, che non era indipendente dal geroglifico e, secondo, che quest'ultimo presentava nell'insieme diversi tipi di carattere (alfabetici, determinanti, ecc.).

Ma il passo finale per la decifrazione dei geroglifici egiziani lo si deve al grande genio di Jean-Francois CHAMPOLLION,Champollion nato in Francia nel 1790 e figlio di un libraio. A 5 anni impar챵 da solo a leggere, ma a scuola fu un alunno indisciplinato, non sopportando le regole scolastiche del tempo, tanto che suo padre fu costretto a ritirarlo dalla scuola e ad affidarlo ad un precettore privato. Nel rapporto col nuovo insegnante Jean-Francois dimostra di essere un ottimo scolaro e si avvicina con entusiasmo alle materie linguistiche, apprendendo in pochissimo tempo il latino e il greco, passando poi all'ebraico, fino all'arabo e all'aramaico. Allievo fuori dal comune, a 13 anni inizia a studiare il siriaco, il caldeo, il copto, ma rimane affascinato dalle prime iscrizioni geroglifiche su lastre di pietra, che nessuno per챵 era in grado di leggere. Da liceale si interessa anche al cinese. Studia poi testi zendi, pahalavi e parsi, ma tutto quanto gli si offre gravita sempre intorno all'orizzonte egizio, che diviene la sua ossessione.

A 17 anni legge la prefazione di un suo lavoro, “L'Egitto sotto i faraoni”, all'Accademia di Grenoble e il risultato è eccezionale: viene eletto all'unanimità membro dell'Accademia stessa. Egli sostiene che il copto derivi dall'antica lingua egizia e su questo basa tutto il suo lavoro successivo. A 19 anni viene nominato docente di storia e l'anno successivo (1810) escono le sue prime pubblicazioni.

La base su cui si inserì l'intuizione geniale di Champollion era la tesi presentata da Young sulla presenza contemporanea di diversi tipi di carattere nella scrittura geroglifica. Egli sostituì l'opinione di Orapollo e di tutto il mondo dotto di allora – del carattere simbolico dei segni grafici – con una sua propria, in cui sosteneva che questi potessero essere “segni fonetici anche senza essere strettamente alfabetici”. La sua padronanza delle lingue antiche, e in particolare del copto, gli permise più di qualunque altro di essere vicino alla lingua dell'antico Egitto.

Il metodo impiegato da Champollion non fu quello di interpretare singole parole o lettere, ma di individuarne il sistema, e una volta riconosciuto, iniziare la decifrazione dei nomi. Ora, nel testo geroglifico, si trovavano dei gruppi di segni circondati da un anello ovale (cartiglio) ed era riportato allo stesso modo nel testo greco sottostante. Non era difficile supporre che questo fosse un segno di preminenza Rosetta_Stonee indicasse il nome del re, in questo caso Tolomeo. Il passo successivo fu quello di ricavare da ogni segno che componeva il nome, 8 lettere o fonemi diversi. Una conferma a questo suo metodo si ebbe con la scoperta, nel 1815, di un obelisco in cui era riportata una duplice scrittura, geroglifica e greca. Anche qui comparivano fra i cartigli i nomi di Tolomeo e della consorte Cleopatra III, e quando, impiegando il suo metodo, scopr챙 che il 2째, 4째 e 5째 carattere del nome Cleopatra (KLIOPADRAT in greco) corrispondevano al 4째. 3째 e 1째 del nome Tolomeo (PTOLEMAIOS), il mistero dell'interpretazione dell'antica lingua cerimoniale egiziana era risolto! Si dice che, fatta tale scoperta, corse ad avvisare il fratello, studioso come lui, e svenne, rimanendo incosciente per 5 giorni. Ma questo 챔 piuttosto un aneddoto.

Il 27 agosto del 1821 present챵 all'Academie des inscription et belles-lettres di Parigi la tavola di comparazione fra i segni di scrittura ieratica (geroglifici) e della scrittura demotica. Il 27 settembre 1822 scrisse la famosa “Lettera a Monsieur Dacier”, segretario dell'Accademia, in cui spiegava il sistema da lui scoperto e mediante il quale riconosceva il valore fonetico di 11 segni. L'idea di Champollion era che la scrittura geroglifica fosse insieme ideografica e alfabetica: “Un sistema molto complesso, una scrittura contemporaneamente figurativa, simbolica e fonetica, in uno stesso testo, in una stessa frase e direi quasi in una stessa parola”. Era nata la disciplina dell'egittologia e Jean-Francois Champollion ne era il fondatore.

Tutte le grandi scoperte, a posteriori, appaiono semplici. Oggi noi sappiamo come sia straordinariamente complicato il sistema di scrittura degli egizi, di come i segni più antichi si trasformarono nella forma ieratica e poi, con riduzioni e snellimenti, in quella demotica. Oggi distinguiamo segni fonetici, segni di parole e segni determinativi, ma al suo tempo Champollion non ne era minimamente a conoscenza. È qui che sta il valore del suo genio e della sua grande scoperta.

Dopo la sua morte, nel 1832, apparvero scritti ingiuriosi di studiosi inglesi e tedeschi che dichiaravano il suo sistema puramente falso e fantasioso, spinti da invidia e gelosia, quando aveva già raggiunto risultati concreti. Solo nel 1866 il tedesco Richard Lepsius confermò la giustezza del suo metodo con il ritrovamento del “Decreto di Canopo”, mentre solo nel 1896, in un discorso alla Società Reale di Londra dell'inglese La Page-Renoulf, fu riconosciuto appieno il suo merito, 64 anni dopo la sua scomparsa.

sussurrato da: ugarit alle ore 21:22 | Permalink commenti 
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marted챙, 30 ottobre 2007

Piramide di Altun-ha, El Salvador

 


 

Piramide di Tazumal, El Salvador

 


 

Xunantunich, Belize

 


 

"Fuerte de Samaipata", Bolivia. roccia di 200 x 60 metri, interamente scolpita

 

 

 


 

Tula, capitale del regno dei Toltechi, Messico

Panorama

Tempio dei guerrieri

Sommità del tempio dei guerrieri

 

 
Tags: general
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