|
De: Piero Gotta (Mensaje original) |
Enviado: 29/06/2010 10:39 |
Secondo gli studiosi se il vulcano si risveglia sarà un disastro. Il piano evacuazione appare insufficiente mentre le Istituzioni e la stessa opinione pubblica, in questi anni, hanno gravemente sottovalutato il pericolo.
“Il rischio di un’eruzione del Vesuvio è molto alto e non bisogna mai abbassare la guardia”. Questo è stato l’allarme lanciato in occasione dell’ultimo convegno organizzato dall’Ordine dei Geologi della Campania. In particolare, secondo lo stesso presidente dell’Ordine,Francesco Russo: “La gente ha sottovalutato la pericolosità del caso e quando il Vesuvio esploderà, sarà uno scenario drammatico, nonostante la grande attenzione della Protezione Civile. Il vero dramma è che, nonostante il divieto di non abitare quella zona, la speculazione edilizia ha continuato a costruire sotto le pendici del vulcano. Tale situazione è evidente già guardando la montagna da lontano. Lo sguardo cade, purtroppo, su quelle abitazioni che, in caso di esplosione verrebbero spazzate via dalla lava e dai lapilli. Eliminate, annullate e cancellate, in un solo attimo tutte quelle vite annientate. Subito, perché, nonostante i piani di evacuazione, le costruzioni sono troppo vicine al cratere del Vesuvio”. Dal punto di vista scientifico, il Vesuvio è costantemente monitorato. L’Osservatorio vesuviano, in questi anni, ha installato una minuziosa rete di strumenti per il controllo dei parametri geofisici e geochimici oltre a quelli relativi alla sismicità, alle deformazioni e alle stesse emissioni di gas dal sottosuolo. Secondo lo studioso, chi ha davvero sottovalutato la pericolosità del Vesuvio sono state la politica e la stessa opinione pubblica.
OPERAZIONE VESU-VIA - In questi anni sono stati stanziati centinaia di migliaia di euro per incentivare l’evacuazione dalla zona rossa, l’area alle pendici del cratere considerata a più alto rischio. Il progetto si chiamava “Vesu-via”. La Regione Campaniafinanziava l’acquisto di una casa fuori dalla zona rossa. Il risultato è stato disastroso. Solo un centinaio di persone ne hanno usufruito, mentre, allo stato, ne risultano quasi 10.000 abitare nelle zone a più alto rischio. Secondo il presidente dei geologi campani: “Bisognerebbe, infatti, togliere quanti più insediamenti stabili possibili magari convertendo queste aree a destinazione prettamente turistiche”. Una delle ragioni del fallimento di “Vesu-via” è certamente dovuto al fatto che, per persone nate e vissute in quei luoghi, è difficilissimo abbandonarle. “Ciò, però – ribadisce Russo – non deve far dimenticare che nel momento in cui esso esploderà, il flusso di gente che scapperà sarà tantissima e l’epilogo che si prevede sarà in ogni caso tragico. Proprio per questi motivi, l’appello si fa duro verso le istituzioni politiche che devono prendere seri provvedimenti”. Secondo un tecnico dell’Osservatorio vesuviano da noi ascoltato, che però ci chiede di restare anonimo, senza dubbio dal punto di vista geofisico uno dei “segnali precursori dell’eruzione sarà un’intensa attività sismica con magnitudo intorno a 5 gradi della scala Richter e il presentarsi di rigonfiamenti del terreno anche in aree distanti tra loro diversi km”. Laconico, poi però chiosa: “Viviamo su una bomba ad orologeria e non sappiamo nemmeno quando scadrà il timer”. Infatti, è certamente vero che un’eruzione vulcanica, a differenza di quanto avviene per i terremoti, è prevedibile anche se, ancora oggi, non è possibile stabilire quale sarà il suo andamento; se si concretizzerà, cioè, in fenomeni che non costituiscono una minaccia diretta per la vita umana o se evolverà in forme catastrofiche. Una “inutile” evacuazione a scopo preventivo, tra l’altro, rischia di ingenerare tra la popolazione sfiducianelle stesse strutture preposte alla sorveglianza vulcanica e alla protezione civile.
MA COSA POTREBBE SUCCEDERE? - Secondo Francesco Santoianni nel suo libro Disaster Management – Protezione Civile (Accursio Editore) l’ipotesi più accreditata, in caso di “eruzione di tipo vesuviano” prevede all’inizio, subito dopo l’esplosione del “tappo” che oggi copre internamente ilcratere, il lancio nell’atmosfera di grandi quantità di “fallout piroclastico” (sostanzialmente, ceneri e lapilli) che, spinte dalla gravità e dal vento, ricadono in un’area più o meno vasta; le conseguenze di questa pioggia, se non si interviene in tempo, possono essere disastrose in quanto il fallout piroclastico può appiccare incendi e accumularsi sui tetti delle abitazioni provocandone il crollo. Non a caso, da sempre, l’atteggiamento di molte popolazioni abitanti le aree vulcaniche è stato quello di restare in zona (a cominciare dalla famosa eruzione del 79 dc, quella che distrusse l’antica Pompei), durante alcune fasi dell’eruzione, per proteggere le proprie abitazioni esponendosi, a loro volta, all’ulteriore rischio in quanto l’eruzione può evolversi, anche in breve tempo, in fenomeni immediatamente pericolosi per le persone, quali ad esempio, nubi ardenti (surge) o rovinose valanghe (lahar).
L’ultimo fenomeno, in rigoroso ordine temporale, sarebbe la colata lavica a valle. Secondo quando riportato in un’intervista all’ex direttore dell’Osservatorio vesuviano, il professore Giuseppe Luongo“Non c’è preparazione nell’area vesuviana, non hanno elaborato alcuna ipotesi di riorganizzazione del territorio a rischio, per cui oggi si stanno nascondendo dietro gli scienziati”. Luongo, già docente di Fisica del vulcanismoall’università di Napoli, ha presentato uno scenario a dir poco inquietante. “È come se vi fosse stato un salto di qualità nella dinamica del vulcano – afferma Luongo – e quanto questo nel futuro potrà pesare per una ripresa dell’attività eruttiva è tutto da studiare e interpretare”. Secondo Luongo molte notizie che riguardano l’attività del vulcano non sono state rese note all’opinione pubblica. “In primo luogo, per dare tranquillità alla gente. Secondo, perché non c’è preparazione nell’area vesuviana e questa è la denuncia che dobbiamo fare, perché abbiamo superato i quattro anni dalla predisposizione del Piano della Protezione Civile nazionale. È da dire tuttavia che il piano nazionale è largamente inadeguato alla realtà del Vesuvio, e inoltre i Comuni che non hanno elaborato alcuna ipotesi di riorganizzazione del territorio a rischio si stanno nascondendo dietro gli scienziati, spesso in disaccordo tra loro. Bisogna organizzare il territorio, pertanto la comunità locale dovrebbe evitare di costruire nuove strade, ma impegnarsi nel riorganizzare l’urbanistica “selvaggia” frutto di speculazione edilizia iniziata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dobbiamo fare l’operazione inversa, attrarre la gente verso altre aree, con opportuni piani economici, evitando di mandarla allo sbaraglio”. Alla domanda se poi in caso di eruzione esiste una possibilità di fuga per la popolazione, Luongo ha così replicato: “Innanzitutto l’ipotesi del piano prevede questo: l’eruzione sarà fortemente esplosiva, e verrà prevista quindici giorni prima[…] ma io posso assicurare che non ci sono elementi scientificamente validi per prevedere un’eruzione con così largo anticipo, perché l’eruzione, sull’esperienza acquisita a livello mondiale, viene prevista poche ore, fino a un massimo di due o tre giorni, prima. In secondo luogo, è previsto un piano d’evacuazione della durata di una settimana per lasciare la città. È una cosa allucinante, pensare alla tensione e al panico a cui viene sottoposto il cittadino in attesa del suo turno. Noi non prepariamo la gente ad uno spostamento rapido e civile, senza creare problemi agli altri”.
|
|
|
Primer
Anterior
2 a 3 de 3
Siguiente
Último
|
|
i vulcani mi hanno sempre fatto paura , anche se io purtroppo ci viso appena appena sotto
Abito infatti da tanti anni in un paese alle pendici dell' Etna e ti giuro che ad ogni eruzione
mi assale il panico e non capisco i turisti che vengono apposta per vedere la lava.Io non ho paura di morire, ma di sopravvivere alla perdita di tutto.
Tra poco, mi trasferirò nel mio paese d'origine e , sotto questo punto di vista, dovrei essere
più tranquilla.
luisa |
|
|
|
Non aver paura cara Luisa , l'Etna è molto, molto meno pericolosa del Vesuvio , in quanto non c'è rischio di esplosioni . Cosa dovrebbero dire gli abitanti di Los Angeles , situata proprio sulla faglia di sant'andrea ?
Non solo l'Italia è alle prese con un territorio dalle caratteristiche geologiche instabili. Il nostro paese, l'unico in Europa ad avere ancora vulcani attivi come l'Etna, lo Stromboli e il Vesuvio, è da sempre vittima dei capricci della terra. Ma in altre zone del mondo il problema è uguale se non più serio. E' il caso della California, che ospita la più famosa faglia del mondo, quella denominata di San Adreas. La faglia fu individuata e inizialmente studiata nel 1895 da Andrew Lawson, un professore di geologia dell'Università di Berkeley, che le diede il nome di un piccolo lago situato proprio nella valle creata dalla faglia , La laguna de San Andreas. La faglia, ben visibile anche dall'esterno, attraversa le due più grandi megalopoli dello stato di California, Los Angeles e San Francisco, e per questo da sempre gli abitanti della zona guardano con terrore al risvegliarsi dell'attività sismica. Già nel 1956, con il famoso terremoto che distrusse San Francisco, il settore nord della faglia sprigionò la sua devastante potenza portandosi via circa 3000 persone, e un'altro importante terremoto si ebbe ancora più in la nel tempo, nel 1857, quando a risvegliarsi fu il tratto centrale. Ma il vero problema, studiato e monitorato da molti importanti scienziati, è rappresentato dal segmento sud che è inattivo da circa 250 anni. Ed è proprio questa lunga inattività, e il relativo accumulo di energia dato dallo sfregamento tra i vari tratti della faglia, che fa temere un terremoto di intensità mai vista, il Big One, il sisma che cancellerà tutto. La faglia di San Andreas è composta da vari segmenti e attraversa, da nord a sud, quasi tutta la California occidentale, passando attraverso Los Angeles e San Francisco per intersecarsi con un'altra importante paraclasi, quella di San Jacinto. La parte di crosta che si trova a ovest della faglia si muove verso nord, mentre quella situata a est si muove verso sud. Questo particolare tipo di movimento della crosta terrestre ha dato vita alla faglia che è, proprio per questo, di tipo trascorrente.L'accumulo di energia prodotta dallo sfregamento delle due enormi porzioni di roccia produce, quando viene rilasciata, dei violenti terremoti. L'enorme energia accumulata nei due secoli e mezzo di inattività potrebbe, dunque, provocare uno dei terremoti più potenti e catastrofici di tutti i tempi. E' la tesi di uno studio compiuto dal geofisico Yuri Fialko dello Scripps Institution of Oceanography di La Jolla (Usa), e pubblicato dall'autorevole rivista scientifica Nature. Dunque non un allarme privo di basi scientifiche. Secondo Fialko "la faglia sta accumulando un'energia estremamente elevata che potrebbe essere rilasciata attraverso un violentissimo terremoto" e il ricercatore si spinge ancora più in la e avverte che "l'appuntamento con il sisma non dovrebbe essere poi così lontano". Per le sue ricerche Fialko si è avvalso, oltre che dei normali sensori posti direttamente sulla faglia, anche di dati raccolti dal 1985 a oggi da due satelliti dell'agenzia spaziale europea. I satelliti hanno permesso al ricercatore di avere un quadro preciso della scansione temporale in riguardo al movimento della terra intorno alla faglia. In questo modo è stato possibile vedere gli spostamenti, e dunque gli sfregamenti della crosta, e relazionarli all'accumulo di energia. L'ultimo importante terremoto prodotto dalla faglia di San Andreas si è avuto nel 2004 a Parkfield, ed è stato di 6,6 gradi Richter. I sismologi l'avevano predetto, sbagliando, per il 1993, basandosi sull'intervallo temporale dei sismi passati (1857, 1881, 1901, 1922, 1934, 1966), che vedeva prodursi nella zona un terremoto ogni 22 anni. La previsione fu errata ma l'intensità e la zona dove sarebbe dovuto avvenire fu giusta. Comunque aspettando il Big One gli americani si preparano a riceverlo intensificando le misure di sicurezza, costruendo edifici solo con metodi antisismici e pianificando ogni dettaglio di un possibile post-sisma. Quando si vive in un luogo come la faglia di San Andreas non ci si può affidare solo alla benevolenza di Dio.
|
|
|
|
|