Cibola, Antilia, Manoa, Eldorado, Ciudad de los Cesares: tutti nomi legati all'avventura, all'esplorazione, alla ricchezza. Posti inesistenti, costati la vita di migliaia di avidi Conquistadores e di innocenti Nativi. Posti con un comune denominatore, in cui un metallo, l'oro, era comune quanto il ferro, al punto da utilizzarlo come materiale da costruzione. Ci sono molte teorie in proposito queste favolose località, la più logica delle quali ci racconta come esse siano state per gli Spagnoli invasori del Nuovo Mondo uno specchietto per le allodole, in grado di allontanare da territori sacri e produttivi quella marmaglia ingorda e immorale. Tuttavia, un po' come accadde con il Regno di Prete Gianni, questi posti mitici che popolavano i sogni degli avventurieri potrebbero nascondere un fondo di verità. L'esempio di quanto affermiamo ci viene offerto da una celebre storia a fumetti della Disney, intitolata "Zio Paperone e le sette Città di Cibola", pubblicata nell'autunno del 1954 negli Stati Uniti ad opera del grande disegnatore Carl Barks. In questa avventura, con protagonisti Zio Paperone, Paperino e Qui, Quo e Qua, i paperi si imbattono nelle tracce della mitica Cibola nel deserto americano, non distante dal fiume Colorado. Guidati dal Manuale delle Giovani Marmotte e dal diario di viaggio del galeone di Francisco de Ulloa, comandante della flotta di Cortes, Paperone e nipoti scoprono in un canyon strettissimo, dalle pareti verticali, i sette villaggi di una popolazione evoluta e ricchissima, sterminata dal contatto con gli Spagnoli portatori di malattie a loro sconosciute. Nel fumetto, Barks mostra Cibola in modo assai simile ai villaggi Anasazi costruiti dentro enormi cavità naturali dentro le montagne, suggerendo che la loro virtuale invisibilità dall'alto sia la causa della mancata scoperta. |
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(Sopra) Una bellissima mappa del XVI Secolo che mostra le Sette Città di Cibola nei pressi della costa pacifica, in Messico. |
Alla fine della storia, raggiunti e catturati dalla Banda Bassotti, i paperi verranno travolti dal crollo delle città stesse innescato da un meccanismo di autodistruzione basato su un masso sferico del tutto simile a quello che insegue Indiana Jones nelle scene iniziali de "I Predatori dell'Arca Perduta". Il regista di questo film, Steven Spielberg, ha ammesso di essere stato da giovane un fan delle avventure di Paperone & C. e di essersi ispirato, per quella ripresa, proprio a questa storia di Barks. Alla fine comunque Paperone, Paperino e i nipotini, assieme alla Banda Bassotti, riusciranno a salvarsi dalle macerie di quello che appare come un normalissimo tratto di deserto…
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(Sopra) Due foto delle pagine della rivista "Zio Paperone" n. 83 dell'agosto 1996, in cui appare la storia di Carl Barks "Zio Paperone e le Sette Città di Cibola", pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti sul periodico "Uncle Scrooge" n. 7 del settembre/novembre 1954. Questo capolavoro a fumetti mostra la famiglia dei paperi alle prese con la scoperta delle mitiche città perdute. Notare l'idea del disegnatore di raffigurare le città dentro alle grotte di un canyon vicino al fiume Colorado e il bellissimo "meccanismo di autodistruzione" utilizzato poi da Steven Spielgerg ne "I Predatori dell'Arca Perduta". |
L'idea alla base del fumetto è che Cibola può essere ovunque e sfuggire anche ai satelliti e ai moderni metodi di ricerca: basta che si trovi anche solo parzialmente sottoterra, e possiamo dire addio alle possibilità di trovarla in modo "convenzionale". Quel che occorre fare quindi è affidarsi, un po' come i vecchi esploratori, a miti, leggende, racconti popolari.
Ad esempio, se pensiamo cosa mosse gli Spagnoli alla ricerca di queste città, c'è da rimanere sbigottiti. Infatti la "Cerca" di Cibola nacque intorno al 1150, quando gli Arabi conquistarono la città di Merida in Extremadura, in Spagna. La leggenda racconta piuttosto esplicitamente che i sette vescovi della città, per non cadere in mani infedeli, organizzarono una carovana trasportante oro e oggetti preziosi e da Merida raggiunsero il mare, probabilmente la costa atlantica del Portogallo. Da qui partirono verso Occidente, a bordo di alcune navi, portando con sé le ricchezze e i cittadini di Merida che non vollero arrendersi. Quando tre secoli e mezzo dopo Colombo aprì la via per le Americhe, il ricordo di quella fuga era ancora chiaro nella memoria collettiva spagnola e fin dall'arrivo nei Caraibi fu inviata una spedizione per trovare le sette colonie cristiane che si dice i vescovi fondarono: oltre alla celebre Cibola, anche Aira, Anhuib, Ansalli, Ansesseli, Ansodi, Ansolli e Con.
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Queste sette città si dice furono edificate con l'oro ad Antilia, isola delle ricchezze e della beatitudine da molti confusa con Cuba. Fu qui che iniziarono le ricerche, almeno fino a quando l'imperatore Carlo V inviò Pánfilo de Narváez alla volta della Florida. Era il 1527, Narváez era un conquistador inviato già nl 1520 in Messico per osservare le vere intenzioni di Cortes su mandato imperiale, uscendone però "con le ossa rotte". Sconfitto in battaglia dagli stessi soldati spagnoli, a Narváez fu data dal viceré spagnolo Antonio de Mendoza una seconda opportunità, e non di poco conto: trovare Cibola e riprendersi l'onore perduto. Per questo fu nominato Governatore della Florida, ma si trattava di una nomina solo di facciata, in quanto la Florida ai tempi era una terra paludosa e popolata da Nativi ostili. Narváez non era un uomo fortunato e infatti anche questa spedizione fallì miseramente: delle cinque navi iniziali due naufragarono causando la morte di tutto l'equipaggio e dei settecento uomini rimanenti del contingente, metà disertarono appena dopo lo sbarco. I superstiti, accertato che non vi era tracca di città d'oro in Florida, puntarono verso il Golfo del Messico attraverso zattere improvvisate che naufragarono anch'esse. Stupidamente, invece di puntare verso la vicina Cuba, decisero di percorrere le paludi dell'Alabama e i deserti del Texas... Alla fine di una marcia delirante quasi decennale, degna solo della follia dei Conquistadores, si salvarono in quattro: Álvar Núñez Cabeza de Vaca, Alonso del Castillo Maldonado, Andrés Dorantes de Carranza e uno schiavo berbero di nome Estebanico, conosciuto in Italia come Stefano il Nero. |
(Sopra) Antilia appare all'estrema sinistra della Mappa Portolanica realizzata da Bartolomeo Pareto nel 1455. |
Quest'ultimo è la figura più incredibile di questa vicenda, un personaggio degno di un romanzo: si trattava infatti di uno schiavo berbero originario del Marocco comprato dal un nobile spagnolo Andrés Dorantes de Carranza e divenutone poi amico, al punto da portarlo in America come collaboratore e guardaspalla. Carranza infatti era un uomo colto e amante dell'arte e accanto alla brama di ricchezza aveva il desiderio di scoprire nuove terre e civiltà. Perciò insegnò tutto quello che poteva al fido Estebanico, che ricambiò il favore salvando la vita all'amico-padrone in più di una circostanza. Fu grazie all'arte della sopravvivenza del quasi ex-schiavo berbero se i quattro di cui sopra poterono raggiungere, in otto assurdi anni, la regione della Nuova Spagna in Messico. Alvaro Cabeza de Vaca, che di professione era medico e naturalista, descrisse il tremendo viaggio attraverso il sud dei futuri Stati Uniti in un libro intitolato "Naufragio", che fece molto scalpore sia in Europa che nel Nuovo Mondo. I quattro uomini infatti, non potendo saccheggiare o depredare, furono obbligati a instaurare relazioni amichevoli con i Nativi: e da queste relazioni diplomatiche appresero che effettivamente, a ovest del Colorado, esisteva un luogo lastricato d'oro e costruito da una popolazione indigena strana e non affine agli indigeni.
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(Sopra, a sinistra) I primi cercatori sulla via di Cibola fecero quasi tutti una orribile fine. Una moderna statua di Estebanico, figura eccezionale di esploratore ex-schiavo dotato di grande spirito di sopravvivenza: è a lui e a Cabeza de Vaca (al centro), medico e naturalista, se il gruppo di Narvaez, pur decimato all'inverosimile, poté raccontare le sue avventure e le sue scoperte (a destra). |
La notizia di questo resoconto giunse alle orecchie della corte imperiale e il Governatore della Nuova Galizia messicana, Francisco Vázquez de Coronado, fu incaricato nel 1539 di inviare una spedizione alla ricerca di queste fantomatiche città di Cibola. Preliminarmente Coronado, che aveva fama di essere un duro, freddo e spietato, inviò proprio l'uomo che più di tutti era stato il protagonista della fallita spedizione di dieci anni prima, Estebanico; assieme a lui mandò un frate francescano apprezzato e seguito, Marcos de Niza (Marco di Nizza), che aveva partecipato alla conquista del Perù con Francisco Pizarro e che dopo il libro di Cabeza de Vaca era stato mandato dal vicerè Mendoza alla ricerca solitaria di Cibola dalle parti dell'attuale Arizona, nei territori dei villaggi popolati dai Nativi Zuni e Hopi. Marcos de Niza aveva trovato anch'egli tracce di Cibola nei racconti, perciò non ci fu coppia migliore per svelare questo mistero. Tuttavia fu il frate a tornare, un anno più tardi, solo. Raccontò di essere stato effettivamente a Cibola con Estebanico, ma che questo era stato ucciso dai Nativi ostili: non aveva potuto entrare in città, ma l'aveva osservata dall'alto, in quanto anche la sua vita era stata messa in pericolo. Disse che Cibola si trovava a cinque leghe dal mare e dalla collina su cui si era appostato era possibile vedere, verso ovest, l'Oceano Pacifico. Si trattava di una città reale, una città in cui tutto era coperto d'oro: i tetti, le scale dei palazzi, fino alla pavimentazione delle strade. Ovunque c'era ricchezza e opulenza.
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(Sopra, a sinistra) Francisco Vazquez de Coronado, uomo senza scrupoli e di grandi ambizioni, fu incaricato dal viceré Mendoza di trovare le Sette Città di Cibola. Organizzò una spedizione militare in piena regola (al centro), che finì la sua missione dopo due anni di inutili peregrinazioni senza aver trovato nulla. La causa di questo fallimento è forse da imputare alle frottole inventate dal frate francescano Marcos de Niza (a destra), l'unico testimone vivente dell'esistenza delle mitiche città? Il frate comunque fu quasi ucciso dai soldati spagnoli, al punto che Coronado lo rimandò in Messico con infamia. |
Consapevole dell'importanza di questi resoconti, pur lacunosi, il Vicerè convinse Coronado a partire egli stesso per una spedizione di conquista. Il Governatore organizzò una missione militare in piena regola: 335 soldati spagnoli, 1300 nativi, quattro frati francescani tra cui Marcos de Niza e un imprecisato numero di schiavi di colore lasciò il Messico per dirigersi verso il Deserto di Sonora. Questo esercito entrò nel territorio degli attuali Stati Uniti nella zona sotto il controllo dei Nativi Apache, in Arizona. Raggiunta l'area popolata dagli Hopi, nei pressi del fiume Colorado, e vedendone i poveri villaggi fatti di fango e paglia, i soldati ebbero un moto di rivolta. La sensazione che le cose non stessero come le aveva raccontate il frate Marco de Niza era generalizzata e si tentò persino di ucciderlo, minacciando la diserzione se de Niza non fosse stato punito per la sua incompetenza. Coronado non poteva certo far giustiziare un uomo tanto importante e lo rimandò in Messico, sia pure con infamia. Tuttavia per quanto bugiardo e forse assassino, Marcos de Niza aveva descritto Cibola come a poca distanza dall'Oceano Pacifico: non si comprende perché un capitano in teoria determinato ed esperto come Coronado sia andato a Est e non a Ovest come invece suggeritogli dal racconto del frate. Fatto sta che la spedizione incrociò a Oriente verso il Rio Grande, cioè verso gli attuali stati di Nuovo Messico, Texas, Oklahoma e Kansas e che alla fine Coronado si sia impantanato in una guerra di conquista di territori poveri e desolati, ricchi solo di erba e bisonti. Non servirono a nulla la violenza, i massacri, le torture che i suoi soldati inflissero alle popolazioni indigene: se una cosa non esiste, non può essere confessata.
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(Sopra, a sinistra) Un villaggio Zuni a Taos ci mostra quello che probabilmente vide Coronado: solo villaggi di fango e paglia, ben lontani dalla ricchezza e dall'opulenza di Cibola. (Al centro) L'incontro con gli sciamani Hopi scioccò non poco i conquistadores di Coronado, che li ritenettero fantasmi. Tuttavia nemmeno gli Hopi possedevano oro o altri preziosi. (A destra) La mappa mostra chiaramente l'assurdo viaggio di Coronado. Da notare che, stando alle descrizioni, Cibola dovrebbe essere situata a venti km dall'Oceano Pacifico! |
Nel 1542 Coronado fu richiamato in Messico. Il suo esercito si era frammentato in una miriade di guarniglioni, decimato tra fame, malattie, imboscate e una guerriglia continua, perché era impensabile mantenere in quei territori desertici un manipolo di soldati tanto grande da non poter essere sfamato dalle risorse naturali. Il mancato ritrovamento di Cibola lo fece andare su un'altra città miticamente ricca, Quivera, nei territori degli indiani Pueblo: ma anche in questo caso le leggende non ebbero riscontri. Così Coronado, in totale miseria, tornò alla sua poltrona di Governatore in Messico, ma era un uomo distrutto nel morale e nella reputazione. Con lui e con il fallimento della spedizione si spensero per un po' le luci su Cibola e le altre sei favolose città, mentre la "nuova" Quivera fu cercata a lungo fino agli albori del XVII Secolo.
Che pensare oggi di queste mitiche città d'oro? Sinceramente, il racconto del frate Marco de Niza appare lacunoso e senza la controtestimonianza di Estebanico risulta non attendibile. Del resto, a quanto pare nessuno ha cercato per davvero Cibola fino a tempi recenti, ma certo la sua vicinanza all'oceano (cinque leghe spagnole erano corrispondenti a 21 km) avrebbe attirato l'attenzione di qualcuno, se fosse stata ricoperta d'oro… Se mai Estebanico e Marcos de Niza sono andati a Cibola, questa deve essere forzatamente nell'area a ovest della Baja California, in un territorio messicano poco urbanizzato e cartografato. Chissà, un canyon come quello scoperto da Zio Paperone potrebbe ancor oggi nascondere il segreto delle città dai tetti d'oro.
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