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General: le pietre di Ica
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Respuesta  Mensaje 1 de 1 en el tema 
De: Piero Gotta  (Mensaje original) Enviado: 05/01/2011 09:15

Pietra di Ica raffigurante quello che sembra un Triceratopo.

Uomini a cavallo di dinosauri (?)

Queste raffigurazioni fanno pensare che, in passato, ci sia stato un periodo in cui uomini e dinosauri siano vissuti insieme e contemporaneamente. 
Tale ipotesi, oltre che dalle pietre di Ica, come appena visto, è stata “confermata” dal ritrovamento, presso Acambaro, nella Sierra Madre, in Messico, sono state rinvenute strane statuette che raffigurano uomini, in abiti di foggia orientale e provvisti di varie armi, in compagnia di animali preistorici. Nel 1945 Waldemar Julsrud, commerciante tedesco, durante un giro a cavallo nel suo ranch trovò una figurina di ceramica rossastra di questo tipo. Con l’aiuto del suo collaboratore indigeno, Julsrud riuscì a metterne insieme ben 33.000. Queste statuette raffiguravano dinosauri, brontosauri, serpenti, cammelli, con personaggi con volti, statura e vestiario ogni volta differenti tra loro; rappresentavano figure femminili che giocano con coccodrilli e stegosauri, in atteggiamenti che si assumono nei confronti degli animali domestici.

Nel 1972 queste statuette furono esaminate nei laboratori americani e datate al 2500 a.C.. Circa cinquemila anni fa, però, non esistevano i dinosauri e, cosa assai più misteriosa, nessuno sapeva che fossero esistiti. A confermare la convivenza di umani e dinosauri anche impronte umane fossilizzate insieme a quelle dei dinosauri, molti esempi delle quali si trovano nel libro di Michael Cremo e Richard Thompson intitolato Archeologia proibita: la storia segreta della razza umana. A Carson City, nel Kentuky sono state ritrovate impronte di piedi e di calzature in uno strato antico di 110 milioni di anni. A Laetoli in Tanzania, le tracce fossili umane sono mescolate a quelle dei dinosauri. A Macoupin nell’Illinois orme umane fossilizzate si trovano in uno strato del Carbonifero e risalenti quindi a 300 milioni di anni fa. Nel Canyon Havasupai si trovano le pitture murali di un T-Rex, nel Big Sandy River quelle di uno Stegosauro. Nel Turkmenistan unUna donna che gioca con un dinosauro?a impronta umana è accanto a quella di un animale preistorico. Dalla posizione delle impronte sembra che l’uomo stesse cacciando l’animale. Nel letto del fiume Paluxy, in Texas, paleontologi dell’Università della California hanno considerato autentiche le tracce di impronte di dinosauri e di piedi umani. Altre impronte umane fossili in Messico, Arizona, Texas, Illinois, New Messico, Kentucky e altri stati in rocce vecchie di 250 milioni di anni. Carl Baugh, della Pennsylvania State University, in Texas rinvenne, in uno strato di roccia databile 140 milioni di anni fa, le impronte dei piedi di un uomo accanto a quelle di un dinosauro. L’incredibile scoperta fu presto bollata come un clamoroso falso; ma nel 1984, a seguito di ulteriori scavi nella stessa zona condotti dall’archeologo Hilton Hinderliter, gli scettici furono costretti a ricredersi in virtù del ritrovamento delle impronte di due sauri e di un umano in uno stesso strato geologico risalente come minimo a 65 milioni di anni fa. Nella stessa Ocucaje, dal Dottor Jimenez del Oso sono stati scoperti scheletri umani vicino a quelli di dinosauri. 
Volendo fare un’ipotesi razionale, si potrebbe ipotizzare che la rappresentazione di uomini in compagnia di dinosauri sia frutto di una jungiana fantasia archetipica: gli antichi incisori hanno immaginato l’esistenza di esseri enormi e giganteschi e, per esorcizzarli e per “imbonirli”, li hanno rappresentati in loro compagnia, come a voler comunicare la disponibilità a convivere. Oppure, si può ipotizzare che già 12.000 anni fa siano esistiti uomini che, rinvenuti casualmente e studiati fossili di dinosauri, abbiano cercato di ricostruire l’aspetto di quegli antichi mastodonti. Insomma, si può ipotizzare che siano esistiti dei “paleo-paleontologi” i quali abbiano rappresentato, sulle pietre, le loro ricostruzioni, ipotizzando, loro, che uomini e dinosauri, in passato, siano vissuti insieme. A questo proposito, riportiamo un brano di una leggenda degli indiani Zuni (nativi del Nuovo Messico) che sembra descrivere, con terminologia semplice e mirata, il processo di fossilizzazione. 

«[...] vivevano sulla terra mostri enormi [...]. Poi gli abitanti del cielo dicono a questi animali: “Vi trasformeremo in pietra, così non potrete più fare male agli uomini, e recherete loro conoscenza e giovamento.” Dopo che ciò fu detto la crosta terrestre si indurì e gli animali diventarono di pietra [...].»

Si è osservato che molte specie di dinosauri rappresentati sulle pietre non erano presenti nella zona del ritrovamento, dunque le pietre sono sicuramente un falso successivo, e che la qualità delle incisioni e delle rappresentazioni migliora nelle pietre scoperte in tempi più recenti. Una risposta ad ogni obiezione. Neanche oggi, noi, possiamo sapere come fossero gli stadi evolutivi degli animali studiati da Darwin, eppure, utilizzando criteri biologici ed evoluzionistici, questa ricostruzione è stata possibile ed ora abbiamo immagini abbastanza precise. Considerando, poi, il clamore suscitato dalla “faccenda” è ovvio che molti falsari si siano impegnati a realizzare pietre che, per essere appetibili dai turisti di quelle zone, dovevano anche essere “belle” da vedere…

Per quello che riguarda la seconda categoria, cioè astronomia ed astronautica, alcune pietre di Ica rappresentano alcuni uomini intenti a scrutare il cielo notturno per mezzo di telescopi.

Antichi astronomi peruviani?

Come si sa, il telescopio fu inventato dai navigatori olandesi e perfezionato da Galileo Galilei nel XVII secolo. Sempre su queste pietre, è possibile osservare, in altro a sinistra, uno strano oggetto sferico seguito da quella che sembra una “scia”: secondo Cabrera è possibile che si tratti della raffigurazione stilizzata di una cometa. In questa stessa incisione sono rappresentati anche i pianeti di Giove e Venere e un’eclissi di Sole. Altre pietre rappresentano 13 diverse costellazioni, incluse le Pleiadi. Un’altra pietra, ancora, rappresenta un calendario astronomico di 13 mesi, probabilmente basato sui cicli lunari. Su altre pietre, ancora, possiamo osservare le figure tracciate sulla piana di Nazca, come detto, non troppo lontana da Ica: su questo torneremo tra poco.
Oltre al “volo su Pterodattilo”, che abbiamo visto prima, altro mezzo di locomozione aerea rappresentato sulle pietre è una sorta di uccello meccanico, a bordo del quale sono riconoscibili uomini che osservano o cacciano dinosauri o mentre scrutano il cielo, solcato da corpi celesti.
Passiamo dalle stelle alla nostra Terra e vediamo di analizzare alcune pietre le immagini delle quali rientrano nella terza categoria, quella degli antichi continenti. Secondo la teoria della Tettonica a zolle o a placche, illustrata da Hapgood, i continenti poggiano su zattere di materiale galleggiante su un mare di magma; i movimenti di questi continenti, oltre a determinare, ovviamente, il loro spostamento (la famosa teoria della “deriva dei continenti”, elaborata da Wegener), sono causa di terremoti, eruzioni vulcaniche e della formazione ed innalzamento di catene montuose, aperture di mari, di laghi e quant’altro. Secondo questa teoria, anticamente la posizione dei nostri continenti non era uguale a quella che questi hanno attualmente. Per esempio, il Sud America era unito all’Africa occidentale, come la forma delle coste del Brasile, perfettamente “incastrabile” con quella del Golfo di Guinea, dimostra. Ora, una carta degli antichi continenti terrestri è presente su una delle pietre di Ica.

Gli antichi continenti della Terra.

L’incisione rappresenterebbe la disposizione degli antichi continenti di Atlantide, Mu, Lemuria e del continente americano. I geologi, servendosi dell’aiuto del computer, hanno confermato che la forma dei continenti e delle terre emerse raffigurate nelle pietre riproducono con precisione la Terra come doveva apparire 13 milioni di anni fa. 
Le pietre di Ica non sono gli unici documenti che attestano l’esistenza di “continenti perduti”. Nello Yucatan, in Messico, per esempio, William Niven trovò un petroglifo che riportava inspiegabili masse di terra nell’Oceano Atlantico e nell’Oceano Pacifico; ancora, il ricercatore James Churchward ritrovò, in Tibet, una tavoletta raffigurante “due continenti sconosciuti”. Ma torniamo ad Ica. Questa precisione nel tracciare quella che possiamo tranquillamente definire “la prima carta geografica della storia dell’uomo” ha fatto supporre che coloro che la realizzarono, evidentemente, potevano vantare un punto di vista privilegiato dal quale rilevare l’esatta posizione dei continenti: insomma, tanta precisione fa supporre che i realizzatoriIncisione raffigurante un trapianto di cuore.dell’incisione fossero in grado di viaggiare nello spazio. Questa ipotesi troverebbe conferma nelle figure presenti su altre pietre: su queste, sono raffigurate navi volanti, sospese in aria. Alcuni hanno ipotizzato che la loro capacità di volare (sempre se di questo si tratta) sia dovuta ad un campo elettromagnetico o ad un propulsore antigravitazionale. La fantasia, in questi casi, scavalca la scienza. Comunque sia, dando per buona questa ipotesi, troverebbe conferma l’ipotesi di Cabrera secondo cui Nazca altro non sarebbe che un antico porto spaziale per navi volanti. Secondo Cabrera, i tracciati andini sarebbero stati ricoperti, in passato, da un materiale sconosciuto, superconduttore e resistente alle alte temperature, che permetteva alle navi spaziali di atterrare in caduta libera senza alcun danno. Conferma di queste teorie venne nel maggio del 1975, quando il geologo Klaus Dikudt dell’Università di Lima disse di avere rintracciato, lungo le linee, “frammenti di un materiale scuro, traslucido, infrangibile, leggero ma estremamente duro, tanto da rigare il quarzo. Il materiale analizzato aveva reagito in modo anomalo a tutti gli esami, ed era rimasto intatto perfino sottoposto ad una temperatura di 4000 gradi. Non si trattava di frammenti di meteoriti. La composizione e la provenienza di questo materiale resta ignota…”

La conferma della reale funzione di Nazca, per un circolo vizioso, confermerebbe la possibilità, per gli antichi geografi di Ica, di volare oltre i limiti dell’atmosfera e spiegherebbe, così, l’esattezza dei contorni degli antichi continenti terrestri tracciati sulle pietre. 
L’incredibile precisione delle carte è anche confermata da un “addetto ai lavori”. Alcune pietre sono tuttora esposte al Museo Nazionale dell’Aviazione Peruviana, a Lima, il cui ex direttore, il colonnello Omar Chioino, fece riportare su carta da esperti cartografi dell’aviazione i motivi incisi sulle sessanta pietre del museo. Alcuni disegni erano incredibilmente simili alle figure incise nel deserto di Nazca. “Solo chi è pratico di procedimenti di rilevamento topografico può comprendere che tipo di modello sia necessario per riportare in misure gigantesche un disegno originale in piccola scala, con assoluto rispetto delle proporzioni. I primi devono aver posseduto strumenti e sussidi di cui non sappiamo nulla […]. Inoltre escludo la possibilità di una contraffazione […]: il dottor Cabrera è stato sotto la sorveglianza del Servizio d’Informazione negli anni settanta e per un lungo periodo di tempo. Non è emerso nulla che lo potesse incastrare. La sua serietà è oggi al di sopra di ogni sospetto.”

Per parlare delle incisioni raffiguranti “cataclismi planetari”, ossia la quarta categoria di Cabrera, dobbiamo fare nuovamente riferimento alla cosiddetta “pietra degli astronomi”, che abbiamo analizzato poco fa. In essa si possono notare, come già evidenziato prima, due persone intente ad osservare il cielo per mezzo di un telescopio: un oggetto volante sale verso il cielo mentre tre comete precipitano verso la Terra; le stelle sono ritratte con un insolito brillio, mentre un’immensa nuvola striata, che simboleggia la pioggia, segue la coda di una grossa cometa. I continenti appaiono semi sommersi mentre una stella precipita su quello che appare come un continente, oppure una grande isola. Per alcuni studiosi, questa incisione raffigurerebbe il grande cataclisma che fa da fil rouge a tutti i miti dei popoli della Terra (dall’Antico Testamento ai racconti mitologici dell’antica Mesopotamia, giusto per fare un paio di esempi) e che interessò la Terra migliaia di anni fa. Le prove concrete del suo verificarsi si troverebbero nello strato d’iridio presente nel suolo in notevole quantità, presenza che denota un incremento spiegabile unicamente con la caduta di meteoriti e non semplicemente con un incremento di attività vulcanica. La fascia del minerale è spessa ben cinquanta centimetri, il che fa ipotizzare che un grosso asteroide, o uno sciame di asteroidi, o la coda di una cometa, abbiano incrociato la traiettoria della terra.
Altri indizi di un eventuale cataclisma ci arriva dalla pietra raffigurante gli antichi continenti della Terra, che abbiamo analizzato poco fa. Sul perimetro esterno si possono notare gruppi di piramidi i vertici delle quali sono rivolti verso i continenti, e, tutt’intorno, una larga striscia di linee ondulate che sembra indicare un accumulo di vapore nell’atmosfera. Sapendo che le piramidi erano il simbolo di sistemi che servivano per captare, conservare e distribuire energia (come vedremo di seguito), è evidente che l’uso incongruo di tali sistemi doveva aver provocato una situazione di squilibrio. Il pianeta, ricevendo calore dal sole e non potendolo dissipare a causa di quell’enorme strato di vapore, era diventato un sistema termico chiuso. Giunto al punto di massimo accumulo, il vapore si deve essere convertito in acqua, precipitando sulla terra sotto forma di una pioggia interminabile, un vero diluvio, con conseguenze spaventose. Nello stesso tempo, l’eccesso di energia calorifica poteva avere intaccato anche lo scudo di Van Allen, l’involucro magnetico che circonda la terra e che la protegge dalle particelle ionizzate emesse dal sole. Quest’insieme di fattori doveva aver provocato un aumento di intensità nel campo gravitazionale della terra, con la conseguente cattura di corpi celesti che, penetrando attraverso le falle aperte nelle fasce di Van Allen, colpirono la terra con effetti catastrofici. Cataclismi di questo tipo, è stato confermato da geologi ed astronomi, sono una cosa avvenuta con buona certezza, nel passato del nostro pianeta.
Riportiamo un fatto curioso. Tanto per non lasciare intatta nessuna via di indagine, si decise di far eseguire ad una sensitiva in stato di trance un esame psicoscopico su una pietra incisa, di cui ella non conosceva né la provenienza né la storia. Questo il risultato:

Vedo due individui. Un occhio vigile che guarda; un pungolo nella mano dell’altro. Com’è veloce il disegno! Quasi nemmeno pensato ed è già finito. E’ l’occhio di chi guarda, però, che sta guidando. La pietra mi dice: pazienza e osservazione. La vedo in mezzo ad altre. Non a caso i disegni sono ripetuti in tutta una serie. La soluzione è nella serie: non c’è il tre senza il due, non c’è il quattro senza il tre. Io vado dentro la terra… vado a segnare. Io segno, tu mi guardi. Tu con gli occhi mi dici quello che devo segnare e io segno quello che tu dici, perché tu sei che sai. Io non so. Io eseguo con la mano quello che tu mi dici con gli occhi, perché tu sai. Tu sai la vita: tu sai il prima e il dopo; tu sai dirmi come sarà, tu sai dirmi quello che è stato. Io solo segno. Altri ancora segnano: altri già prima hanno segnato”. Improvvisamente la sensitiva comincia ad agitarsi e a respirare affannosamente. “Acqua… vedo acqua. Acqua che bagna e liscia… acqua che lava… lava anche il ricordo! Lava tutto. Quanta acqua! Quanta acqua al passaggio di chi è stato! Basta! Non posso più tenere questa pietra! Non la voglio più! Toglietemela!… Ah, la mia testa! Che strano… la mia testa è una pietra nera come quella che avevo in mano…

Come detto all’inizio, molte delle pietre di Ica rappresentano anche operazioni chirurgiche. E le operazioni erano veramente di qualunque genere: trasfusioni, agopuntura con funzione anestetica, parti cesarei, rimozione di tumori, operazioni a cuore aperto (ricordiamo che siamo in anni antecedenti alle prime operazioni di Christian Barnard), a polmoni e reni, addirittura al cervello. Altre figure mostrano come i pazienti, prima di essere operati, fossero intubati e collegati a macchinari di alimentazione cardiaca; altre ancora mostrano strumenti chirurgici di estrema precisione; in altre ancora i corpi sono stati raffigurati in trasparenza, in modo che possano essere visibili gli organi interni, a testimonianza dell’avanzata conoscenza e a sottolineare che la struttura fisica degli individui era uguale alla nostra. Si tratta di raffigurazioni tali, è pleonastico dirlo, da far supporre un’estrema conoscenza medica da parte degli autori delle incisioni. Per far capire come questa conoscenza fosse stupefacente, faremo soltanto un paio di esempi. Come detto, molte incisioni rappresentano operazioni di trapianti d’organo. Una costante di ogni rappresentazione è la presenza, nella scena di una donna incinta: in ogni scena, la donna è collegata, tramite una sorta di cannula inserita nell’arteria radiale, sia al cuore rimosso dal donatore, sia al paziente ricevente. E’ evidente che la donna sta trasfondendo il proprio sangue sia al donatore che al ricevente. Riflettendo su questo punto Cabrera ipotizzò che nel sangue delle donne in gravidanza vi fosse una sostanza (un ormone, un enzima) capace di bloccare o limitare il problema principale dei trapianti, cioè il rigetto. Nel 1980 due medici, Ronald Finn e Charles St. Hill di Liverpool, condussero una serie di esperimenti legati alle intuizioni di Cabrera. Operarono trapianti di fegato, di reni e di cuore in animali trasfusi con plasma prelevato da femmine gravide e notarono un sensibile regresso dei fenomeni legati al rigetto. I due dottori non riuscirono ad identificare la sostanza che bloccava il rigetto, ma ipotizzarono che si trattasse di un ormone immuno-depressorio, cioè un ormone diverso dal progesterone (un ormone femminile fondamentale durante la gestazione e la gravidanza) conosciuto ed utilizzato già dal 1934 e non sempre rivelatosi efficace per prevenire l’aborto, che altro non è che un rigetto. Questo processo, come detto, ci è noto soltanto dal 1980; gli autori delle incisioni, invece, lo conoscevano già. Altro esempio: su una delle pietre è rappresentato, in tutte le sue fasi, un trapianto di cervello. Per noi si tratta di un’operazione impossibile da eseguirsi: al nostro livello di tecnologia, siamo in grado di mantenere le funzioni vitali cerebrali, ma non di unire il cervello trapiantato al bulbo rachideo, al midollo spinale, ai numerosi nervi presenti. Gli autori delle incisioni, però, pare fossero in grado di farlo.
La conclusione di Cabrera fu che gli autori di quelle pietre avevano raggiunto una vasta e profonda conoscenza della scienza medica. Le cinquanta pagine del V capitolo del suo libro sono dedicate alla spiegazione di come venivano eseguite operazioni chirurgiche molto complesse, soprattutto quelle di trapianto di vari organi. Quanto alle terapie mediche, unendo le conoscenze desunte dalle incisioni con quelle acquisite dalla moderna medicina occidentale, Cabrera ha proposto un nuovo ordinamento molecolare che ha descritto in una tesi dal titolo Teoria Biomicrofisica di Immunologia del Cancro, a cui ha collaborato il suo assistente, il dottor Luíz Cáhua Acuña.

Per quello che riguarda la “flora e fauna”, su alcune pietre si possono osservare, oltre ai dinosauri, molte specie animali comparse molti anni dopo i grandi sauri e non tutti appartenenti alla fauna delle Americhe, quali struzzi, canguri, pinguini, cammelli e altri. Tra gli “altri”, vi è la rappresentazione di cammelli e lama con zampe di cinque dita. Esaminando le incisioni ano cavalli e lama con cinque dita, Cabrera si ricordò che un archeologo peruviano, Julio C. Tello, aveva pubblicato uno studio sui queros (stoffe con figure intessute) di stile Tiahuanaco in cui erano rappresentati lama con cinque dita, come nei lama preistorici e a differenza di quelli attuali, che hanno zoccoli bipartiti. Alcuni studiosi avevano giudicato quei disegni come il prodotto della fantasia di artisti pre-colombiani che avevano voluto umanizzare i lama. Ma, a distanza di pochi anni, lo stesso Julio Tello aveva scoperto scheletri di lama con cinque dita. Questo ritrovamento, che avrebbe dovuto interessare archeologi e paleontologi, passò del tutto inosservato, così come era stata ignorata la scoperta di antropologi indiani, comunicata alla Accademia delle Scienze dell’U.R.S.S. nel 1973, di fossili umani estratti da rocce mesozoiche (fra i 230 e i 63 milioni di anni fa). Cabrera ebbe questa notizia dal dottor A. Zoubov, antropologo russo e membro dell’Accademia delle Scienze, in occasione di una sua visita per una serie di conferenze nei paesi latino americani. 

Parlando, invece, delle razze della Terra, su alcune pietre si possono distinguere esseri all’apparenza simili agli uomini, ma dotati di cosa. Secondo un importante ricercatore, Charroux, che incontreremo anche in seguito, si tratterebbe di una civiltà a metà fra uomini e sauri. Un’ipotesi che trova conferma in molti racconti mitologici antichi, i quali narrano e riportano di “uomini simili a lucertole”. 

Viste più da vicino “le pietre dello scandalo”, torniamo ora a tracciarne per sommi capi la storia. 
In effetti, parlando delle pietre di Ica, si è soliti far cominciare la loro “storia” dallo studio condotto da Cabrera. Le cose, però, non stanno proprio così. Le pietre e le incisioni su di esse, infatti, erano conosciute dagli abitanti della zona dell’Ocucaje fin dal ‘500, come ci testimonia il cronista indio Juan de Santa Cruz Pachacuti Llamqui: nella sua opera, Juan descrive le piedras manco, ossia “pietre di potere” con estrema precisione, scrivendo anche come, durante il regno del re inca Pachacutec, in base ad un’antica tradizione, esse facessero parte del corredo funerario dei nobili. Un altro riferimento compare anche nel Noticias Historiales, opera dello spagnolo Pedro Simon conservata presso la Biblioteca Nazionale di Parigi e risalente al 1626. 
In tempi più vicini ma sempre antecedenti a Cabrera, poi, furono Pablo e Carlos Soldi ad interessarsi alle pietre ed ai loro misteriosi disegni. Proprietari di grandi haciendas vicine a Ocucaje, incuriositi dai disegni, che giudicarono opera di fantasia di artisti sconosciuti, cominciarono a raccogliere quante più pietre possibile, tanto che nel giro di pochi anni collezionarono migliaia di pezzi. Altri seguirono il loro esempio e, tutti convinti di trovarsi di fronte a qualcosa di eccezionale, chiesero alle autorità di avviare delle indagini per scoprire il luogo del ritrovamento, luogo che gli huaqueros mantenevano ben segreto, e di iniziare uno studio scientifico delle pietre. Ma inspiegabilmente, fin dall’inizio, ci fu un atteggiamento ostile da parte degli organi competenti, che poi diede origine a due opposti gruppi in lotta accanita: quello dei sostenitori dell’autenticità delle pietre, e quello degli oppositori. 
Dopo i Soldi, venne Cabrera. Mentre il dottore organizzava la propria collezione presso la Casa della Cultura di Ica, Cabrera lesse un articolo di Santiago Agurto Calvo, rettore del Politecnico di Lima, e Alejandro Pezzia, archeologo peruviano, comparso sul supplemento scientifico del quotidiano di Lima El Commercio: nell’articolo, i due studiosi affermavano di aver trovato, nell’agosto di quell’anno, pietre simili a quelle di Cabrera in tombe databili ad un periodo antecedente a quello della civiltà Inca, tombe nelle quali le pietre erano probabilmente utilizzate come portafortuna o come rappresentazioni di divinità, come già indicato da Juan de Santa Cruz Pachacuti Llamqui nella sua cronaca. 
La scoperta di Calvo e Pezzia fu ripetuta dallo stesso Calvo a Max Uhle Hugel, una zona archeologica protetta. Lì, in una tomba risalente al I secolo a.C., Calvo raccolse oltre cento pietre e le fece analizzare dall’Istituto di Mineralogia del Politecnico del Perù, ottenendo il primo risultato di un certo rilievo: le pietre, in base allo stato di ossidazione che ricopriva la superficie, erano databili ad almeno 12.000 anni prima. Una ulteriore conferma giunse dal vecchio collega di Calvo, Pezzia, il quale rinvenne, in un’altra tomba pre-incaica, una pietra incisa simile alle Pietre di Ica. 
L’articolo pubblicato da Calvo e Pezzia attirò presso Ica numerosi scienziati ed eminenti studiosi. Molti di loro, anche senza aver esaminato le pietre, sentenziarono che si trattava sicuramente di falsificazioni, e neanche troppo ben elaborate, preparate dallo stesso Cabrera. Il sostenitore principale di questa linea fu Roger Ravinez, archeologo e membro dell’Istituto Nazionale di Cultura del Perù, il quale ammise che solo le due pietre estratte dalle tombe da Calvo e Pezzia erano autentiche, mentre le altre, in tutto simili, erano soltanto falsi. 
Che non tutte e settantamila (tante si stima siano state vendute, fino al 1980, dai contadini di Ocucaje) siano certamente autentiche, è cosa sicuramente plausibile: dopo il clamore destato dal caso, il valore commerciale delle pietre era cresciuto vertiginosamente, dunque la loro vendita, per i contadini, era ottima fonte di ricchezza. 
Tra i più importanti “falsificatori” (in spagnolo campesinos, abili incisori pronti a vendere finti reperti archeologici per raggranellare qualche soldo con i turisti) di Ica, stando a quanto da loro stesso affermato, ci sono due contadini, Basilio Uchuya e Irma Gutierrez, che, in un’intervista rilasciata a A. Rossel Castro per una rivista archeologica peruviana nel 1977, si dichiararono autori delle incisioni. I soggetti, dichiaravano i due, arrivavano dalle fonti più varie (fumetti, illustrazioni, libri scolastici e giornali); a lavoro finito, bastava mettere le pietre nel pollaio e le galline provvedevano a depositarci sopra una patina d’antico. Un’ipotesi plausibile, ma impossibile per vari motivi. Tanto per cominciare, come detto prima, le pietre erano conosciute fin dal ‘500; in secondo luogo, per realizzare settantamila incisioni, i due contadini avrebbero dovuto lavorare giorno e notte per almeno trent’anni, ad un ritmo di una pietra al giorno! Se si considera poi la durezza relativa delle pietre, vicina a quella del diamante, il loro presunto lavoro di incisori va incontro ad una difficoltà maggiore. Considerando, ancora, le analisi geologiche ed il fatto che i due contadini erano praticamente analfabeti e, di fatto, sprovvisti di conoscenze scientifiche anche elementari (fondamentali per la realizzazione della maggior parte delle incisioni e certo non rinvenibili solamente dalle fonti da loro citate), le affermazioni di Uchuya e Gutierrez sono definitivamente smentite. 
Non tutti, naturalmente, sostenevano la falsità delle pietre. Robert Charroux, per esempio, nel 1977 condusse un’indagine all’insaputa di Cabrera, andando a intervistare i due contadini presunti autori delle incisioni. Dopo essersi convinto che questi mentivano, nel suo libro L’Enigme des Andes, confermò l’eccezionalità della scoperta di Cabrera: “Accettando l’autenticità delle pietre la storia del mondo dovrebbe essere riscritta da capo, ma gli uomini di scienza non accetteranno mai di fare una simile rivoluzione”. 
Dalla parte di Cabrera, anche il ricercatore francese Francis Mazière, famoso per il pionieristico lavoro svolto sulla cultura polinesiana dell’isola di Pasqua: dopo un accurato lavoro di reperimento e studio, nel 1974 Mazière ha definito le pietre come “l’enigma archeologico più sconcertante del sud-America”, escludendo la possibilità di falsificazioni.
Incurante della campagna denigratoria che gli veniva mossa da ogni parte, Cabrera trasformò il proprio studio medico in museo e continuò lo studio e la classificazione delle pietre. Come avevano fatto Calvo e Pezzia prima di lui, anche Cabrera richiese a due enti competenti, la Compagnia di Ingegneria Mineraria Mauricio Hochshild e l’Istituto di Mineralogia e Petrografia dell’Università di Bonn, analisi sui suoi reperti; le analisi dell’Università di Bonn furono condotte dal dottor Eric Wolf, il quale fornì un risultato identico a quello della Compagnia di Ingegneria Mineraria Mauricio Hochshild e a quello di Calvo e Pezzia: le incisioni sulle pietre risalivano a 12.000 anni fa.
Va detto, per inciso, che, recentemente, il ricercatore spagnolo, Vicente Paris, ha ottenuto una pietra dal professor Cabrera facendola analizzare a Barcellona da José Antonio Lamich del gruppo di ricerca Hipergea. Le analisi purtroppo hanno dato esito negativo, rilevando segni di carta abrasiva e lavorazione recente. Cabrera ha ammesso che parte della sua collezione viene dal campesino Basilio Uchuya, uno dei principali falsificatori delle pietre, dunque è possibile che la pietra analizzata da Paris sia un falso. 

Confortato da questo risultato, Cabrera continuò lo studio delle sue pietre. Analizzandole, abbiamo già visto quali furono le sue incredibili scoperte. Non abbiamo ancora parlato, però, della teoria di Cabrera circa gli uomini rappresentati nelle pietre, probabili autori delle incisioni. Per introdurre queste teoria, e per completare l’analisi degli studi di Cabrera, dovremo osservare ancora una volta le pietre da vicino.
Studiando sistematicamente un gruppo di circa 500 pietre, Cabrera si accorse che certi segni (spirali, triangoli, rombi, reticoli, foglie, frecce, linee) si ripetevano in posizioni diverse, a seconda delle diverse situazioni. Ne dedusse che si doveva trattare di una qualche forma di crittografia. Alla fine, con una buona dose di intuizione e di fortuna, riuscì a interpretare il significato di un buon numero di segni e arrivò a decodificare quella specie di linguaggio simbolico: la foglia era il simbolo della vita e indicava la trasformazione dell’energia solare in energia elettronica; le linee parallele erano il simbolo della vita vegetale, di un’energia organica e biologica di grado inferiore; le quadrettature oblique e le losanghe indicavano la vita animale; le linee verticali e orizzontali, la vita umana; le piramidi, complessi energetici di assorbimento, accumulo e distribuzione di energia. 
L’elemento di questo oscuro linguaggio fu individuato da Cabrera nella foglia. In molte pietre, gli individui impegnati in attività importanti portavano dei copricapo apparentemente formati da piume (ma un più attento esame rivelò trattarsi di foglie), mentre altri individui, nelle stesse scene, ne erano sprovvisti, quasi a suggerire la presenza di vari tipi con caratteristiche diverse. Cabrera contò più di cento posizioni in cui la foglia era collocata all’interno delle composizioni, evidentemente per suggerire differenti interpretazioni a seconda di come era accostata ai vari elementi. Cabrera si chiese se la costante presenza di foglie non indicasse una funzione particolare. In molte incisioni, i raggi di sole si insinuavano fra le foglie dei copricapo dei personaggi importanti e terminavano alla base delle loro teste, proprio nella zona della ghiandola pineale, o epifisi, presente alla base del cervello, in prossimità della nuca. Oggi sappiamo che l’epifisi è responsabile della produzione della 
melatonina, un ormone legato al sistema delle endorfine, che presiede ai ritmi del sonno e della veglia, e quindi all’alternanza energetica senza la quale un organismo non può reggere. Benché si trovi all’interno della scatola cranica, riceve la luce del sole attraverso un circuito nervoso che trasmette la luce dalla retina fino alla ghiandola. Più di venti anni fa, quando l’epifisi veniva ancora definita inutile, Javier Cabrera rilasciò queste dichiarazioni alla rivista argentina El Insolito:

Si sa che le foglie si sviluppano per mezzo della fotosintesi, e perché la fotosintesi avvenga è necessaria la luce del sole, fonte primaria di energia. Allo stesso modo la ghiandola pineale cattura l’energia solare cosmica e la trasforma in un altro tipo sconosciuto di energia, che io chiamo energia conoscitiva. Le foglie che compaiono sulle teste di alcuni individui sono una rappresentazione simbolica di un mezzo che permetteva loro di stimolare il cervello, per sviluppare le loro funzioni conoscitive, così come di convertire l’energia solare e cosmica in un tipo di energia conoscitiva. Sfruttando l’attività della loro ghiandola pineale, quegli esseri erano in grado di trasformare il corpo organico in corpo puramente energetico. Mi chiedo se la nostra umanità sarebbe in grado di gestire una simile fonte di energia. Guardando a quanto accade oggi con il nucleare, direi di no.

Un altro dettaglio a conferma del ruolo che l’epifisi doveva avere nel fornire non solo energia conoscitiva ma anche organica appare nelle medesime incisioni con gli individui trafitti dai raggi di sole. Le teste, disegnate di profilo, hanno una bocca piccolissima, chiusa dietro da una specie di graffa, chiara allusione al fatto che quegli esseri non si alimentavano per via orale. Stupefatto dall’enorme sapere di quegli strani esseri, come testimoniato dalla varietà di conoscenze rappresentate sulle pietre, Cabrera decise di chiamare quegli antichi esseri “Antenati Superiori” e definì la loro civiltà “Glittolitica”. E riguardo il loro aspetto inconsueto (corpi piccoli e tondi da bimbi e teste grandi con profili adunchi da vecchi): 

Per quanto riguarda le figure umane rappresentate nelle incisioni, anche se è probabile che non vi sia una estrema fedeltà ai modelli, dato che si tratta di disegni simbolici, penso tuttavia che per certi aspetti non fossero diversi da come appaiono. E’ evidente la sproporzione fra la testa, il corpo e gli arti. La testa è voluminosa, e ancor più il ventre; gli arti superiori sono lunghi, le mani hanno dita sottili e il pollice non è in posizione opposta. Gli arti inferiori sono robusti e corti. Dato che la finalità dell’umanità glittolitica era l’aumento delle qualità intellettive per incrementare e conservare le conoscenze acquisite, la conformazioni fisica degli individui dovette adattarsi al costante esercizio delle funzioni conoscitive. Pertanto il cervello doveva avere dimensioni notevoli; le braccia potevano non essere robuste e le mani, non dovendo assolvere a funzioni meccaniche, non avevano bisogno di un pollice in posizione opposta. Le gambe corte e forti e il ventre pesante, spostato in basso, bilanciavano il peso della testa, sproporzionatamente grossa.

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