Poi passa. Passa. Me lo dico sempre:
“se aspetti un pochino, poi passa”.
Come da bambina,
quando cadevo dalla bici e mi sbucciavo il ginocchio
e all’inizio mi sembrava di non sentire nulla.
Spolveravo via la terra dall’abrasione e iniziava a bruciare un po’.
E poi ogni minuto
che passava bruciava sempre di più
e mi spezzava il respiro.
E cercavo di non piangere per non farmi accorgere che ero caduta,
ché sicuramente era stata colpa mia
- per non essere stata abbastanza attenta,
abbastanza previdente, abbastanza brava,
e lo sapevo che andando avanti così sarei caduta
e mi sarei fatta male -
e correvo in bagno a mettere l’acqua ossigenata.
E ogni volta che piegavo il ginocchio era un dolore più forte,
che mi faceva venire voglia di fermarmi lì dov’ero e non muovere più
nemmeno un passo.
E di dire “lasciatemi qui, dimenticatevi di me”.
Bruciava da morire e mi ficcavo le unghie nei palmi per non gridare.
Ricacciavo le lacrime in gola e mi dicevo:
“Poi passa. Aspetta un po’ e vedrai che passa”.
Le sbucciature del cuore non passano.