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From: luisella (Original message) |
Sent: 04/12/2017 06:51 |
LA MIGLIORE VENDETTA.....
Era una fredda giornata d'inverno; il cielo era plumbeo ; la neve cadeva a fitti e larghi fiocchi, stendendo sulla terra un candido tappeto.... Nel loro salottino da studio, Carlo e Gino, seduti presso la scrivania, facevano i compiti di scuola. Godendosi il dolce tepore di un focherello che scoppiettava allegramente. Tutto era silenzio, non si udiva, che il leggero rumore prodotto dallo scricchiolamento della penna sulla carta. Ad un tratto, Carlo, nel prendere un libro urtò inavvedutamente il gomito di Gino e gli fece fare un piccolo sgorbio sul quaderno. Questi allora, tutto acceso dal dispetto si alzò, e, intingendo con forza la penna nel calamaio, la scaraventò sul libro del fratello, macchiandolo tutto d'inchiostro . . . . . Due grossi lagrimoni spuntarono dagli occhietti azzurri di Carlo.... - Cattivo! - disse con voce rotta dai singhiozzi - mi vendicherò ! In quel punto entrò la mamma e siccome i due ragazzi si erano rimessi tranquillamente allo studio, ella non sospettò neppure che pochi minuti prima si erano bisticciati, ed esclamò: - Oh! i miei cari e buoni figlioletti, come stanno attenti allo studio! Bravi! qua, un bacio tutti e due. E la madre amorosa abbracciò con affetto i due piccini. Poi prese un libro che si trovava sulla scrivania e disse a Carlo di leggere uno dei tanti raccontini che vi si trovavano. - Quale debbo leggere? - interrogò il fanciullo. - Oh! uno qualunque.... ecco, leggi questo, è intitolato " La migliore vendetta è il perdo .... Ma la signora non potè finire.... perchè singhiozzi simultanei troncarono le sue parole. Carlo e Gino si erano avvicinati e si erano gettati l'uno nelle braccia dell'altro, promettendosi di volersi sempre bene e di non bisticciarsi mai più. La mamma sorrideva felice! |
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MARIA E IL SUO PONY
Il vecchio nonno Tommaso abita in una villa, in mezzo ai suoi poderi, la sua nipotina Maria abita nella città vicina. Il buon vecchio ha saputo che Maria ha imparato a cavalcare. - Noi ne abbiamo tanti, - egli ha detto al suo figliuolo - se mandassimo a regalare a Maria uno dei nostri pony ?- Detto fatto il pony viene spedito. Figurarsi la contentezza della fanciulla: avere un pony, suo, proprio suo. Volle subito saltargli in sella. Conte si trottava bene su quel piccolo cavallo!... "Bisogna che ringrazi il buon nonno!" pensò, e gli scrisse una lunga lettera. "Ma vorrei fare anche di più" - disse al babbo, "vorrei fare un'improvvisata al buon vecchietto, ai miei zii e ai miei cuginetti. Vorrei andare da loro cavalcando il pony. - L' idea è buona, - rispose il babbo ma temo che ti faccia male.... Sulle strade c'è la neve, fa freddo... - Mi coprirò ben bene!... e poi quando si cavalca lo si sente meno il freddo... "Sì , babbo, permettimi , non sono che quattro chilometri.... Tu poi mi raggiungerai col tram, e oggi pranzeremo allegramente, in una gran tavolata.... E io mi siederò vicina al nonno. Il babbo non sapeva mai dir di no alla sua Maria. E in sella al suo pony eccola galoppare sulle strade di campagna coperte di neve, eccola attraversare il fitto bosco, a lei ben conosciuto, ed eccola sbucare in una piazza dove Rosetta, Teresa, Ernesto e Giorgio i suoi cuginetti stavano facendo la battaglia con le palle di neve. Al vederla tutti e quattro emisero un' esclamazione di sorpresa, e poi un " Evviva!" così forte, che lo intese il nonno, il quale uscì sulla porta della villa a vedere che cosa era successo. - Nonno, è arrivata Maria sul suo pony.... - gridò Ernesto. Il buon vecchio raggiante di gioia, le si fece incontro.... - Ma che hai fatto?... Ma, che hai fatto? Quale imprudenza, con questa neve!... Sei pazza?... E mentre la rimproverava così la baciava con effusione.
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IL LUME E LO SPECCHIO
L'altra sera, riflettendosi il lune della sala da pranzo nello specchio situato di fronte, nella camera da letto, Guido, il mio ultimo fratellino biondo, credette che fosse un altro lume acceso e corse per impossessarsene, traversando senza paura il corridoio oscuro che lo menava alla camera da letto, ma arrivato vicino allo specchio, si accorse del suo errore e rimastone deluso ritornò a noi correndo. Così è, pensai io, degli uomini. Corrono dietro a vane chimere e per giungere ad esse soffrono disagi e fatiche, ma quando vi sono vicini, si accorrono che quella agognata felicità è effimera e ritornano delusi ai beni ch'essi prima non avevano curati.
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BAMBOLE
- Oh povera Lily!- E l'elegante figurina bionda si precipitò ai piedi di un grande sedile di granito per raccogliere una bambola che aveva in quel momento visto cadere. Ma appena la padroncina l'ebbe rialzata, si avvide che il viso di porcellana della bella e sventurata damigella Lily, cadendo sulla ghiaia del giardino si era rotto in minutissimi pezzi. Una signora che stava leggendo seduta li presso, al grido ed al rumore alzò il capo e voltandosi a guardare il piccolo disastro esclamò : - L'hai già rotta? Ma brava, ogni giorno una bambola nuova!- - L'avevo posata sul sedile di pietra, ed é caduta.... - - guarda, zia.... la mia povera Lily... - mormorò la ragazzina avvicinandosi alla signora. - Zia! - disse più forte vedendo che quella s'era rimessa a leggere e non le dava retta, poi impazientita tirandola per la manica e scuotendola: - zia!- La signora alzò gli occhi dal libro, e severa: - Leda! te l'ho già detto che quando leggo non voglio essere disturbata ! - ma poi vedendo la nipotina con le lagrime agli occhi, chiese con voce addolcita: - Piangi per la bambola? non è poi gran male ! le faremo rimettere la testa nuova. - S'è rotto anche il braccio - - Ne compreremo un' altra, ma non piangere per così poco.- E vedendo che la bambina rimaneva mortificata. - Vuoi comprarla oggi ? - chiese accarezzandola , - va, a cambiarti il vestito allora che è sudicio d'erba e di mota.... fa presto che poi usciamo. Ma la bambina non si moveva, e la signora mettendole una mano sotto al mento e alzandole il viso lagrimoso: - Non pianger più, - disse con un sorriso, - vieni in casa con me, di Lily ne compreremo un'altra, ce ne sono tante! E la zia compiacente alzandosi chiuse il libro con un sospiro e con la nipotina per mano s'avviò verso la villa. - Come la vuoi ? - domandò per di vagarla mentre traversavano il viale. - Bella, zia, tanto bella - La piccola Leda, già consolata, saltando e trascinando quasi la signora per far più presto. - Voglio che abbia gli occhi neri e i capelli biondi come l'oro vero, voglio sia alta alta e tutta vestita di seta. In gentile contrasto della bimba ricca e felice che sapeva discernere una bambola bella da un'altra più bella ancora, potrei raccontare di una piccola contadina che non aveva mai posseduto nè visto una bambola. Quando gliene regalarono una, vedendola si mise a piangere dalla gioia, e appena l'ebbe tra le braccia la strinse forte sul cuore. Dopo la contemplò minuziosamente, e poi per paura di sciuparla la mise nel cassettone contentandosi di porre le labbra vicino al buco della chiave chiamandola con dolci nomi e mandandole dei baci, raggiante di felicità. Eppure quella bambola non era né bella, nè ben vestita. Aveva il viso di cartapesta appena ricoperta di cera e abbondantemente soffuso di rosso sulle goto, gli occhi che guardavano il naso, i capelli di stoppa fermati poco più in su della fronte da una strisciolina di carta dorata. Una povera e stretta camicia di lana rossa tutta sfilacciata copriva le braccia disuguali e le gambe ripiene di stoppa, ma il corpo non l'avevano trovato degno nemmeno di quella poichè era imbottito di Nono.... Ed ora, mia piccola amica, che diresti s'io volessi fare il confronto della superba bambola vestita di seta, con quella umilissima coperta dalla camiciuola di lana rossa? Sì, perchè io so una cosa sola: che la bambina ricca era molto.... molto capricciosa e anche se avesse avuto il giocattolo più bello e costoso di questo mondo non sarebbe stata contenta, mentre la piccola contadina non avvezza al lusso ed alla ricchezza era felice di qualunque regalo e sapeva conservarlo. E allora quale bambola avrà portato nei piccoli cuori delle due bambine una gioia più viva e durevole? Quella vestita di seta e coi capelli d'oro forse ? No: invero quella cogli occhi storti... coi poveri ricci di stoppa sostenuti dalla stria di carta...
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BISOGNA SAPER CONTENTARSI DEL PROPRIO STATO
- Quanto sono infelice !- esclamò un giorno una magra gallinella, guardando invidiosamente un cappone ben nutrito d'un vicino pollaio. - La mia padrona, - continuò, - una povera vecchietta che tira a stento la vita non mi dà da mangiare che poche briciole di pane, e per saziare appena la fame che mi tormenta, debbo raspare tutto il dì nelle immondezze della stalla, buscandomi magari un calcio dal somaro! Sono ridotta proprio pelle e ossa! E' dire, che vi sono dei miei simili, - e dava un altro sguardo d'invidia al cappone, - che non mangiano altro che granturco, sprezzando perfino la crusca che io mi stimerei felice d'ottenere per un solo giorno! Qanto sono infelice!- La gallina, seguitando a lamentarsi, non si accorse che un uomo era entrato nel pollaio vicino e ne aveva tolto il cappone. Solo il domani notò la sua scomparsa, e per curiosità domandò sue nuove ad una stia amica. Questa con voce piagnolosa esclamò: - Come! non sapete niente ? Brevemente raccontò che il cappone era stato ucciso barbaramente e cotto allo spiedo, per servire di cibo agli uomini che festeggiavano in quel giorno il Natale. Perciò appunto l'avevano trattato così bene, l'avevano fatto ingrassare. La gallina allora si convinse che non si deve invidiare nessuno e bisogna sempre contentarsi del proprio stato.
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BISOGNA PROPRIO STUDIAR L'ARITMETICA
In una piccola camera, seduto ad un tavolino Enrichetto contando sulle dita, studia la sua lezione. - Tre più tre fa sei, più tre fa nove, più tre fa dodici.... Ah, comè è difficile l'aritmetica! Eppure bisogna proprio ch' io la studi, se no, mi fa de' brutti tiri.... Ve la devo raccontare la disgrazia che m'è successa stamane ? Ecco, ero qui seduto e facevo il mio compito da presentare domani, quando a un tratto giù nella via sento gridare: - Uva, uva, oh che bell' uva! Io alzo la testa dal mio quaderno e guardo la mamma. Si sa, la mamma indovina sempre i miei desideri quando io la guardo, ed è per questo che io l'ho guardata bene, proprio bene.... Questa volta però sembrava ella non indovinasse niente, poichè s'era rimessa a lavorare con lestezza, ma finalmente mi ha detto : - Tu vorresti un po' d' uva, nevvero ? - Oh, sì, mamma, - ho gridato alzandomi di scatto e correndo alla finestra. - E com'è bella! - ho soggiunto dopo aver dato uno sguardo nella via. - Ma, sai? non ho spiccioli. - Non importa, mamma. - Non ho che una moneta da due lire. - Dammi quella. Compro due soldi d'uva e ti riporto il resto. - Ma se il venditore si sbaglia tu non te ne accorgi. - Sì , sì mamma, me ne accorgo! Presto presto che quell'uomo se ne va ! - Sta attento , Enrichetto , se no ci rimetti del tuo! - Sì, sì, rispondo io, - dissi correndo giù per le scale. Giunto in istrada scelgo due bei grappoli d' uva; com'era bella ! proprio color dell'oro ! E doveva essere buonissima; però io non l'ho gustata per nulla. Pensando al vuoto del mio borsellino mi pareva quasi che non avesse sapore. Il fatto sta che ci avevo rimesso trenta, centesimi. Sicuro! sei soldi nuovi che la mamma aveva levati bravamente dal mio salvadanaio, e tutto in grazia di questa birbona d'aritmetica! Ecco come era andata: Io diedi al venditore la moneta da due lire e quello mi restituì una quantità di soldi. Quanti! avevo detto fra me; certo ci sono tutti! Però mi ero messo a contarli, ma ben presto dovetti convincermi che la cosa era troppo difficile per me. Insomma, per farla breve, ho portato alla mamma trenta centesimi di meno ed essa per mantenere la parola, li ha levati dal mio borsellino (Enrichetto si, passa il, fazzoletto sugli occhi). Ecco, vedete? Mi vien da piangere al solo pensarci.... Ed è per questo che son qui a studiare l'aritmetica così di buona voglia... anzi vi consiglio di studiarla anche voi se no ve ne pentirete e piangerete anche voi !... Ed ora che ho finito il mio racconto, permettete che vi saluti e mi rimetta a studiare. (Fa un inchino, riprende l'abaco e incomincia): Quattro più quattro otto; otto più otto sedici .,.....
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LA LEGGENDA DELLA VIOLA MAMMOLA
Violetta era una buona e bella fanciulla dai capelli neri, ondulati, gli occhi grandi azzurri come il cielo, le carni delicate come petali di rosa; le labbra, di corallo leggermente schiuse, lasciavano scorgere i dentini bianchi come perle. L'anima sua squisitamente gentile e delicata, ed un'adorabile modestia davano maggior prestigio alla sua bellezza. Viveva con la madre in una capanna in mezzo al bosco, povera, a tutti sconosciuta. Una mattina, mentre coglieva i ciclamini nella foresta le apparve un angelo splendente, vestito di azzurro e oro, con le ali tempestate di fiori; le sorrise, la prese per mano e la portò con lui in alto nel cielo seireno. Volava, volava, mentre il sole li avvolgeva di raggi d' oro, e gli uccelli cinguettavano le loro belle canzoni. Violetta domandò: - Dove mi conduci? - Nel paese dei fiori. - rispose il cherubino biondo. Dinanzi allo sguardo attonito di Violetta tutto si faceva più piccolo, poi non scorgeva più nulla, avvolta da immense nuvole bianche dai riflessi d'oro, chiuse gli occhi quando li riaperse era giunta nel paese dei fiori. Com'era splendido ! Un immenso giardino in cui nel mezzo di ogni aiuola gremita di fiori s'ergeva un fiore più grande, e su esso un angiolino dalle ali d' oro. Limpidi ruscelli intersecavano il terreno come nastri d'argento dalle verdi rive occhieggiavano le bianche margherite e gli azzurri miosotidi; qua e là freschi zampilli gettavano una pioggia d'argento. Nel mezzo del giardino in un trono formato di petali di rosa, stava il bel cherubino. Egli condusse Violetta in mezzo ad un'aiuola: ad un tratto le spuntarono le ali, il suo logoro vestito si mutò in un superbo abito di seta viola, e Violetta si trovò fra i vellutati petali di un fiore delicato e gentile che portava il suo nome. La sua felicità saccrebbe quando tutta l'aiuola si riempì di violette, che nascoste sotto le verdi foglioline diffondevano un profumo soave. Il cherubino biondo la presentò agli altri fiori, e disse loro che la nuova venuta doveva essere simbolo della modestia. Da quel giorno le belle violette spuntarono sui prati e sulle rive al cominciar della primavera e vengono raccolte con gioia da manine gentili di bimbi.
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IL SOGNO
C'era una volta una donna che viveva felice col marito ed un suo bambino. Una notte venne la morte e le portò via il marito. Essa pianse, si disperò, poi corse alla culla del suo bambino e disse: - Mi rimani ancora tu; io mi manterrò fedele alla memoria di tuo padre, non mi mariterò più. Tu solo occuperai tutta la mia vita, su te solo io concentrerò tutto il mio amore e tu crescerai bello e buono e mi rallegrerai l'esistenza. Così disse e si strinse convulsa al cuore la sua creatura. Il piccino a tre anni era bello, robusto, buono, e la madre ogni sera, quando già si era addormentato, stava lungamente a contemplarlo, facendo mille sogni lieti per l'avvenire e finiva sempre col ringraziare Iddio di gran cuore che gliel'aveva dato. Ma un giorno si ammalò gravemente, e dopo qualche tempo una notte se ne volo in Cielo, mentre la madre che lo vegliava, s'era assopita un istante. Erano entrati nella camera degli angioli belli che l'avevano invitato ad andar con loro ed egli li aveva seguiti. Quando la madre si svegliò e trovò morto il suo piccino, poco mancò che non impazzisse. - che ho mai fatto, - gridò - perchè Dio m'abbia a punire in tal modo terribile ? Se è vero che Dio esiste, che Dio è giusto, io voglio il mio bambino, voglio me lo renda! E si buttò forsennata sul corpo della sua creatura chiamandola per nome accarezzandola, baciandola e non voleva che alcuno si avvicinasse per tema che gliela portassero via. Dovettero strappargliela per forza e la seppellirono nella terra fredda ed umidiccia, in un lieto mattino di maggio, mentre le rose sbocciavano, per l'aria era un fremito di vita e nell'azzurro del cielo spiccavano, simili a fiori turbinanti per l'aria, mille vaghe farfalle bianche.... La portarono via e la povera madre rimase come inebetita presso la culla vuota chiamando il suo bambino inutilmente. Passarono alcuni giorni, ma la madre non poteva darsi pace, non mangiava non piangeva, ma girava per la casa imprecando contro Dio e gridando: - Voglio il mio bambino! Rendetemi il mio bambino !- Una sera, con queste ultime parole, cadde estenuata e si addormentò. Era da poco addormentata, quando le parve che una gran luce si facesse nella stanza. Essa cessò un istante di lamentarsi e rialzò il capo per vedere ciò che avveniva: Iddio le stava innanzi divinamente bello e maestoso tenendo tra le braccia la sua creatura. La madre a quella vista rimane paralizzata dall' emozione, ma Iddio le sorride misericordioso e le dice: - Vuoi che ti renda il tuo bambino per essere certa che io esisto? Eccolo. La donna allora si slancia verso la sua creatura, l' afferra e se la serra al cuore fremente d'amore, trasfigurata da una gioia, sovrumana. Poi tutt' a un tratto le parve che fossero trascorsi molti anni ed il bambino fosse divenuto un giovane sui vent'anni ed essa si sentiva vecchia e triste. Il figlio s'era dato ad una cattiva vita, e a nulla valevano le sue preghiere e le sue lagrime per renderlo migliore. Non aveva voluto studiare, non amava altro che il giuoco. Giocava e perdeva e chiedeva continuamente denari. Essa era appunto triste, quando il giovane sopraggiunse. - Mi abbisognano mille lire, - disse. La madre non le aveva e gliele rifiutò. - Se non me le dai sono perduto ! - grida il figlio - Ho falsato delle carte e mi abbisogna del denaro per fuggire lontano, per salvarmi.... La madre si sente a mancare ; suo figlio un falsario! Pure si fa forza, vuole salvarlo. Corre per la casa, cerca, fruga ne' suoi scrigni, raduna i pochi denari e tutti i suoi gioielli, impaziente di far presto, tremando di non giungere in tempo. - Fuggi, - gli dice, - fuggi, - e lo bacia ancora. Egli esce, essa lo segue con lo sguardo, lo vede per la via andare frettoloso; egli parte disonorato, vizioso. Suo figlio! ha macchiato il nome incontaminato del padre, ha avvelenato la sua esistenza, ha distrutto ogni avvenire proprio.... suo figlio, un falsario! Essa soffre momenti d'angoscia indescrivibili, singhiozza disperatamente nel veder infranto quanto aveva di più caro.... Iddio nuovamente allora le appare. - Donna, - le dice, - fosti tu la rovina di tuo figlio, io te l'aveva tolto per farne un angiolo; tu con le tue querele volesti che ti fosse reso ed ora non gli appartiene più il regno de'Cieli. - Oh Dio! - esclama la madre e le pare in quel punto che tutto il suo essere si dissolva per l'estremo dolore.... Si sveglia di soprassalto, si volge intorno e deve pensare un poco per rendersi giusta ragione del vero. Ah! suo figlio non è un falsario! E’ morto innocente, sta sotterra e l' anima sua è salita in cielo. Quasi la madre prova sollievo al pensiero che il suo bambino è morto e che non proverà più alcun dolore. Dopo quel sogno orribile, la povera madre sopporta rassegnata il suo dolore ed attende, senza imprecare che venga finalmente l’ora in cui essa pure possa salire presso i suoi due cari che l'aspettano in Paradiso.
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BIMBO PIETOSO
E'domenica. Seduto per terra accanto ad una panchina dei bastioni, un vecchio cieco mormora una preghiera; ogni tanto alza il capo e dice ad alta voce, a quelli che passano : " Signori abbiate pietà d'un poveretto nato senza vista!" E porge il cappello lacero e bisunto, dentro al quale cade ogni tanto qualche centesimo. Ad un tratto il cielo, dapprima sereno, si rannuvola, e incomincia a soffiare un vento fresco, foriero di pioggia la quale poco dopo incomincia a cadere fitta fitta. In un attimio i bastioni si spopolano, ed il cieco si alza a stento, e va a tastoni sotto ad un albero per ripararsi dalla pioggia ; ma l'albero non ha fronde, e non può proteggere dall'acqua il vecchio che trema dal freddo. Gli passa accanto frettolosamente un bimbo che lo guarda con compassione; egli ha un ombrello rotto sì, ma che ripara abbastanza. Il bimbo si ferma, riflette un poco, poi s'avvicina al cieco, e gli dice : " Vieni, buon vecchio, vieni che ti conduco sotto ad un portico, in città." Il cieco lo ringrazia, e mette la sua ruvida e callosa mano in quella del bimbo il quale ha dato il sua ombrello al povero cieco che lo ha accettato. Il fanciullo pietoso si bagna tutto, trema dal freddo, ma nel suo sguardo si legge e una profonda soddisfazione, quella d'aver compiuto un' opera buona.
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Message 19 of 25 on the subject |
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LA LEGGENDA DELLA ROSA MUSCOSA
L'angelo che è incaricato di proteggere i fiori e che nella notte lascia cadere su di essi la rugiada benefica, sonnecchiava un giorno di primavera all' ombra di un cespuglio di rose. Egli si destò sorridendo e disse: - O fiore gentile, il più vago fra i miei figli, ti ringrazio del tuo grato profumo e della tua ombra piacevole. Se tu brami qualche cosa, dimmelo, che io sarò ben contento di esaudire la tua domanda. - Dammi un nuovo vezzo! - rispose il genio del cespuglio. E l'angelo adornò la regina dei fiori di una semplice, ma pur bella, corona di musco. Ed ella, felice di questo nuovo ornamento, chinò con grazia e modestia la sua profumata corolla. Così nacque la rosa muscosa, la più bella fra tutte le rose.
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PACE, PACE, PACE
Non ricordo il perchè della lite scoppiata quel giorno tra me e mio fratello Giulio, ricordo bensì che fu una lite grave e violenta, con relativi pianti, proteste e.... insolenze da ambo le parti. Sicchè il rancore non poteva sbollire se non sfogandosi lentamente in un broncio prolungato. Di fatto avvenne che, per molti giorni, io e Giulio non ci si guardò mai in faccia; non più compiti insieme, non più letture in comune, nè giochi, nè passeggiate soltanto per una specie di tacito accordo, non si voleva far capire nulla alla mamma, e con pretesti d'ogni specie si cercava di giustificare lo studio che ponevamo nello star lontani l'uno dall'altro. Quando Giulio leggeva, io mi mettevo ad agucciare con insolita alacrità, come se la salvezza dell'anima mia, dipendesse da quel lavoro; se invece mi mettevo a qualche giochetto di pazienza od a spiegare rebus e sciarade, Giulio ripassava le sue lezioni con una specie di frenesia. Ignoro se mamma si accorgesse di nulla. Certo con noi non proferì parola, ma io più di una volta sorpresi i suoi sguardi fissi su noi con dolorosa espressione. A dir vero la cosa, cominciava a seccarmi. Mi pareva un'ipocrisia uggiosa, senza contare che nè giochi, nè studii, avevano per me alcuna attrattiva. Non so come Giulio la pensassecerto anch' egli si faceva ogni dì più triste e svogliato. E tuttavia nessuno di noi cedeva. Arrossisco nel dirlo: io non volevo cedere per non avvilirmi, non volevo, per prima, far delle scuse. Sciocca creatura ch'io ero! Come se le poche e vere gioie della vita non siano quelle procurateci dal perdono e dalla pace! Ma che volete in certi momenti pare proprio che il lume della ragione si offuschi: e soltanto quando la calma ritorna nel nostro spirito, ci si accorge del male che facciamo agli altri e a noi stessi, con dar retta a sentimenti irosi a idee ridicole di falsa dignità. Povera dignità! Com'è mal conosciuta! Contesto è sciocco orgoglio: è villania, cattiveria, non dignità. Basta; oramai è inutile che mi rammarichi. Se tornassi indietro, farei ben diverso. Ma è un se pur esso inutile come in molti altri casi. Ahimè! sapete invece che cosa riuscì utile allora? Un avvenimento doloroso. S'era a pranzo tutti e tre: mamma, Giulio ed io. Ho dimenticato di dirvi che purtroppo, di noi tre soltanto era composta la, nostra famiglia. Il povero babbo ci aveva lasciati da un pezzo, e una così grande sciagura doveva senza dubbio accrescere il dolore, che in certi momenti io leggevo negli occhi della mia cara mamma per la scissura tra me e mio fratello. Alla frutta, la cameriera entrò portando la posta, che di solito giungeva a quell'ora. Tra le lettere ce n'era una listala di nero. - Ahimè! qualche disgrazia! - sospirò mamma aprendola con trepidazione. Vi gettò gli occhi, e tosto esclamò con voce angosciata : - Ah povera Tilde! povera Tilde! - Che c' è ? Che c'è mamma ? - domandammo io e Giulio ad una voce. La, mamma ci passò il foglio , senza poter parlare. Era l'annuncio funebre di un giovinetto nostro amico, morto quasi improvvisamente, a soli quattordici anni, l'età di Giulio, lasciando nella desolazione i genitori e l'unica sua sorella, coetanea ed amica mia. Rimanemmo tutti e tre come sbalorditi, atterriti. In me all' angoscia s' aggiungeva un rimorso acutissimo. - Dio mio! se anche Giulio... - pensai. I nostri sguardi s' incontrarono, e capii che anche i nostri pensieri dovevano essersi incontrati. Ci gettammo nelle braccia un dell'altra, e per un pezzo piangemmo insieme.
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L' ORIGINE DEI FIORI
Quando fu creata la terra, le piante e gli uomini, Iddio guardò soddisfatto il frutto delle sue fatiche. Il suo occhio cadde su di un giardino, e lo trovò monotono assai. Da per tutto vi era della verdura: verdi le aiuole, verdi gli alberi, verdi le siepi.... e ciò non gli piacque. Per caso un cherubino biondo dormiva accanto ad un'aiuola, ed il candore di esso faceva un dolce contrasto col verde cupo dell'erba. Questo contrasto piacque tanto al Signore, che cangió il cherubino biondo in un candido fiore profumato. Questa volta guardò più soddisfatto il giardino e siccome un fiore non bastava a renderlo più vivace mandò fanti cherubini sulla terra, e li cangiò in fiori bianchi, rosei, azzurri, gialli, rossi, di tutti i colori. I fiori si andarono a posare parte sui campi, sugli alberi, nei boschi, fra le roccie, nelle siepi e nei giardini. Ogni sera Iddio mandava, e manda anche adesso, sulla terra un angelo che con un calice ripieno di rugiada disseta i fiorellini.
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Message 22 of 25 on the subject |
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FRUFRU' NARRA LA SUA STORIA
Nacqui in Calabria in un bel palazzo, da una canina di razza maltese, molto bella e graziosa, ed io (modestia a parte) sono il suo ritratto, solamente un po' più piccina, e perciò più pregiata. Mi misero nome Frufrù perchè la sera che venni al mondo al teatro si rappresentava il dramma così intitolato. Il nome Frufrù dà l'idea di un vispo frugolino tutto vita e movimento, che saltella e corre sempre, ma invece, neanche a, farlo apposta, mi piace dormire placidamente sulle ginocchia della mia padroncina, e son così poco svelta, che se debbo scendere una scala, ci penso prima un anno, poi uno scalino dopo l'altro, piano piano, supero la grande difficoltà, ma all'ultimo il più delle volte fo un bel capitombolo. Però sono felice, tanto felice, che poche canine lo sono come me. Accarezzata e baciata da tutti, a me danno i bocconcini prelibati, nell' inverno mi tengono sulle ginocchia tutta rinvoltata, nell'estate la mia padroncina, in quei caldi pomeriggi, mi sventola con un ventaglio. E' una gran bella vita, non c'è che dire; ma (i ma non mancano mai) anch'io, come tutti, ho le mie crocelline: per esempio, quando siamo a Napoli, viene due volte la settimana un brutto uomo a lavarmi e a pettinarmi, ed allora, poveri pelini miei! quante stiracchiature e quante strappate hanno ! E' Vero che quando esco dalle sue mani sembro un manicottino bianco, così dice la mia padrona, ma è pur vero che quei momenti sono terribili! Quell'omaccio si chiama Andrea: brrr... solamente a nominarlo mi vengono i bordoni alla pelle! Ma c'è di peggio. Dicono che non posso mangiar carne, perché mi fa male, a me che piace tanto! Me ne danno pochina pochina, e per di più mescolata col pane. Certe volte sento degli odori così stuzzicanti, che mi vengono proprio le lacrime agli occhi. Mi contenterei anche degli ossi, e certe volte mi riesce d'acchiapparne qualcheduno in cucina. Però guai se la padroncina mi vede! Allora monta su tutte le furie e con tutto il bene che mi vuole, mi sgrida e mni dà pure qualche scappellotto. Si sa, non vi è rosa senza spine, e qualche cosa bisogna ben che la soffra anch'io! Vi sono tanti poveri cani che non hanno un osso da rosicchiare, e per di più sono maltrattati e bastonati! Ed io, pensando a questi infelici, non posso far altro che ringraziare Iddio. Ed ora finisco la mia storia, augurandomi di vivere ancora per molti anni, non tanto per me, quanto per la mia padroncina che non si potrebbe dar pace di aver perduto la sua cara Frufrù. |
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IL PIU' BEL GIORNO DELLA SETTIMANA
Ersilia, Norina, Dora e Augusto, quattro fratellini di mia conoscenza, discorrevano l'altro giorno attorno ad una tavola. Ad un tratto, Ersilia, la simpatica fanciulla dal viso pallido e dagli occhi neri, che amava molto la lettura, con la sua voce dolce e buona che tante volte aveva calmato la soverchia irrequietezza dei fratelli, esclamò: - Sapreste dirmi qual è il giorno più bello della settimana? Tre voci irruppero insieme, ognuno voleva dir la sua, ne successe un chiasso assordante, e non si potè capire niente. Ersilia allora disse che dovevano parlare uno alla volta, dopo di tutti avrebbe parlato lei. Norina, una vispa ed allegra fanciulla, per la prima incominciò: - A me piace il lunedì, perché a scuola c'è lezione di ballo e siccome amo molto ballare, son contenta di molto quando arriva quel giorno. - Io, - interruppe Dora, bambina di otto o nove anni, bruna e grassoccia, - preferisco il giorno del sabato, quando ritornata dalla scuola e fatti i compiti, penso, prendendo la mia cara bambolina, che avrò tutto il dì seguente per giocare con lei. - Oh ! la mia risposta rassomiglia alla tua, - esclamò Augusto, il bel ragazzo dai capelli biondi, un vero frugolino, - perchè mi piace la domenica, giorno che non vado a scuola; ma non l'amo per poi starmene, come fai tu, a cullare tutto il santo giorno quella stupida pupattola.... - Bada come parli, sai, - gridò Dora, stendendo i suoi due pugnetti grassi, minacciosi verso il fratello; - io sono la madre (risate generali dei fratelli) e non voglio che si parli male di mia figlia.... - Basta, basta, - disse Ersilia, - non c'è bisogno di bisticciarsi. Augusto non aveva certamente l'idea di offenderla.... Non è vero ? - soggiunse poi rivolta al fratellino. - No, no; volevo solo dire che mi piace di più giocare col cavalluccio. - E tu, Ersilia, quale giorno preferisci ? - domandò Norina con curiosità. - Il venerdì !.... - Uhm ! - esclamò di malumore la fanciulla, - è, per me il più antipatico! - Perchè ? - Per la ragione che c'è lezione di aritmetica e geografia, le due più noiose materie che esistano al mondo! L' una coi suoi numerosi calcoli e misure, e l'altra coi suoi strani e difficilissimi nomi, mi fanno venire il mal di capo! - Amo il venerdì, - conchiuse sorridendo Ersilia,- perchè mi arriva il mio caro Giornalino, sospirato per una intera settimana, lunga quanto un secolo, e non puoi credere la gioia, l'immensa gioia che provo quando il postino me lo consegna, e poi quando leggo tranquillamente presso la mamma i suoi belli, istruttivi e commoventi racconti, sono davvero entusiasta ! Quando anche tu apprezzerai, come me, la lettura, e ti farò leggere il Giornalino, allora dirai insieme alla tua sorella maggiore che preferisci il venerdì ! |
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SOTTO LA QUERCIA
Il bosco sembra incantato, un'arietta dolce dolce smuove leggermente le fronde degli alberi, il silenzio misterioso è rotto appena da un triste cucuuu.... cucuuu, o dal cadere delle foglie secche e delle ghiande. Oh beato colui che potrà ritrarre al vero la pace, la tranquillità di un bosco al levarsi del sole! La grande e vecchia quercia ha tutte le foglie in moto per la brezza mattutina che passa correndo fra mezzo ad esse facendole fremere. Un timido cuculo si arrischia a lasciar sfuggire dalla gola il suo lento canto. Tutti gli alberi sono svegliati dal caldo e paterno tocco solare. Ma che cosa è questo fruscìo sul secco fogliame del terreno? Oh! qualche cosa di bianco si intravede fra i cespugli di more e lamponi. La vecchia quercia però non si meraviglia di ciò, essa conosce bene quella veste bianca che si avanza lentamente, è l'abito candido di una giovinetta graziosa dai capelli e gli occhi neri; ella viene a fare la sua solita passeggiata mattutina nel bosco, ed ora si viene a riposare sotto la bella ed ospitale quercia. Questa l'accoglie sotto il suo tronco al quale essa si appoggia. Oh adesso è bellina la fanciulletta ! Ma il primo giorno che si andò a riposare sotto l'annoso albero, era magra e pallida: poverina era ammalata e camminava appoggiata al babbo e alla mamma, e la quercia da quel giorno l'aveva sempre riparata dal sole stendendo i propri rami quasi con amorosa sollecitudine. Ma ecco la fanciulla si è riposata abbastanza, ed ora si alza per continuare la sua passeggiata. - Addio ! - sussurrano le fronde mosse dallo zefiro primaverile. - Addio! - cantano gli uccelli. E la maestosa quercia si inchina e la saluta con le lunghe braccia fronzute. Ed ella saluta tutti sorridendo e fuggendo.... Ecco è sparita. Ma la quercia vede giungere un vecchio pittore con la sua cassetta dei colori e il pliant: rompe gli sterpi ed i rami che gli intralciano la strada, guarda in giro cercando un punto da ritrarre, e, giunto sotto la nostra vecchia amica sceglie quel posto ombreggiato da cui si vede una bella roccia, tutta contornata da alberi, e coperta di edera e di piante di more in fiore. E la buona quercia distende la sua ombra sul pittore. Quando l'artista è stanco di dipingere, posa per un poco i pennelli, tirando indietro la testa per vedere l'effetto del quadro, la sua protettrice pure ammira l'opera sua chinandosi lievemente su di lui. Da lontano si sente il suono di più campane; il pittore guarda l'orologio, e meravigliato esclama: - Già mezzogiorno ? ! Sì, già mezzogiorno; in quella quiete, lavorando senza sentire il caldo sole, riparato dalla vecchia pianta, il tempo è passato veloce, e già metà del giorno è passata. Il pittore s'alza in fretta, chiude il pliant dando un'ultima occhiata al suo lavoro, e poi chiude anche la scatola dai colori per gettarsi di nuovo in mezzo alle piante. Passano pochi minuti mentre il bosco si ricompone alla quiete ed al silenzio, ma questo e quella sono subito rotti da risate di bimbi. Eccoli, si odono, sono due ragazzi ed una sorellina avanti; indietro, un giovane babbo ed una giovane mamma. - Sono felici! - pensa la quercia. - Iddio li mantenga sempre così ! La famigliuola si ferma all'ombra del folto fogliame. I bambini corrono dentro la grotta, ma l'appetito li chiama, ed essi tornano presso i genitori e mangiano allegramente. - Oh, come è bello il mondo in questo momento ! - esclama la quercia agitandosi. Ed i bambini non sanno di avere sopra di essi un essere che li ama e pare faccia ogni anno più fitte le sue fronde per meglio riparare gli uomini. Ma l'albero non ama solamente quei bambini, essa ama tutti quelli che le chiedono ombra ed ella la dà a tutti indistintamente, e li culla col mormorio delle sue fronde verdi. La famiglia ha finito di mangiare e va a passeggiare nel bosco. La quercia più non ripara alcuno, ma ecco una mesta signora vestita di nero viene lentamente e dal velo nero che le pende dal cappello si capisce che è vedova, il suo volto è sfiduciato; si getta a sedere sul muschio presso l'annosa amica. - Povera donna! - pensa questa. E dice agli uccelli di cantare allegramente, al vento di sussurrare più forte fra le fronde e di tenerle discoste le une dalle altre perchè il sole passando fra esse rallegri la signora. E infatti il canto degli uccelli, il dolce sussurro del vento, il sole allegro, sollevava la vedova che alzatasi ripigliava il suo cammino più consolata da quella bella natura. Un triste canto lontano annunziava l'arrivo di un taglialegna. Il canto si avvicina e con esso si avvicina un uomo con un fascio di legna sulle spalle: è tutto sudato e stanco, giunto sotto la quercia si appoggia con le spalle al tronco dell'albero, si asciuga il sudore sospirando: - Che vitaccia da bestie!- E la nostra amica pensa. - Oggi io lo accolgo sotto di me, lascio che si appoggi al mio tronco, e forse domani mi sradicherà, taglierà tutti i miei rami in piccoli pezzi, mi legherà stretta in tanti fasci e mi porterà a vendere, per farmi bruciare dentro ad un caminetto. Intorno a questo staranno vecchi e giovani, tutti si riscalderanno alla mia fiamma, ma nessuno di essi penserà al bene che ho fatto e che farò in quel momento, e rideranno vedendomi bruciare! - E la quercia si scuote in un fremito di orrore; ma subito la sua solita bontà prende il sopravvento, ed essa rimproverandosi ciò che ha detto torna calma e serena. Il taglialegna se ne è andato senza che essa se ne sia accorta. Il sole tramonta tingendo il bosco di un color rosso infuocato, poi cala.... cala.... e scompare. Passano le ore, ed il bosco è triste e silenzioso; gli uccelli dormono, e tutto va coprendosi del velo nero della notte. Il bosco è triste, ma presto la luna verrà a rallegrarlo. Eccola infatti, e con essa le stelle brillanti. Oh, come è bello il bosco rischiarato dalla pallida falciuola che sta in mezzo al cielo!... E con la luna e le stelle, ecco il poeta, col volto fisso al firmamento. Pensa e guarda la quercia che illuminata dalla luna getta un'ombra scura e fantastica. Il poeta pensa e compone dei versi che si ispirano alla nostra vecchia amica. Il bosco è silenzioso ed addormentato insieme agli uccelli ed al vento; ma la quercia non dorme e guarda il bosco. Il poeta torna alla sua casa.... la luna tramonta, le stelle si spengono. Tutto è pace e quiete, solo la quercia non dorme; essa pensa che forse quella è l'ultima sua notte e gode in silenzio la bellezza del tramonto della luna, e dello spegnersi delle stelle, e la compagnia degli alberi e degli uccelli che la circondano, e nel susurro delle sue fronde ripete la canzone del poeta. Che cosa diceva quel canto? Io non saprei dirlo precisamente; ma so che presso a poco suonava così. " Come in terra la quercia protegge ed ama quelli che passano sotto di lei, e non serba rancore per l'ingratitudine degli uomini, che non pensano al bene che ella ha fatto, la abbatteranno e brucieranno, così in cielo v'è un Dio grande e buono che ci protegge, ci ama teneramente, anche quando noi non lo contraccambiamo e siamo cattivi ed ingrati verso di lui che ci creò, ci fece crescere e ci farà morire per darci, se lo meritiamo, il premio immenso ed eterno del cielo. |
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