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IL SANTO DEL GIORNO: 16 marzo San Giovanni de Brebeuf
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De: lucy46  (Mensaje original) Enviado: 16/03/2025 10:16

16 marzo San Giovanni de Brebeuf


Gesuita, martire in Canada
Condé-sur-Vire (Bayeux), Francia, 25 marzo 1593 – Canada, 16 marzo 1649
Giovanni de Brébeuf nacque il 25 marzo 1593 nel castello feudale di Condé-sur-Vire, nella diocesi di Bayeux in Francia; discendente di una antica famiglia, nobile e cavalleresca. Aveva 20 anni quando l’8 novembre 1617, entrò nel Noviziato dei Gesuiti a Rouen e dove il 25 marzo 1622 a 29 anni esatti, fu ordinato sacerdote. Dopo tre anni, nell’aprile 1625 s’imbarcò con altri missionari gesuiti a Duppe, per il Canada, in quell’epoca colonia francese, raggiungendo Québec il 19 giugno. In questa immensa terra si fece notare per la sua anima eroica e generosa, tanto è vero che le Suore Orsoline di Québec, lo chiamavano “personificazione della grandezza e del coraggio”. Per cinque mesi accompagnò gli Indiani Algonchini, attraverso le foreste nevose di quell’inverno e anche se non convertì nessun Indiano, poté apprendere la loro lingua, componendo un dizionario e una grammatica e facendosi comunque amare ed ammirare da loro. Nel mese di marzo 1626, Giovanni de Brébeuf riuscì ad imbarcarsi su una canoa degli Uroni e con la loro flottiglia risalì il fiume San Lorenzo e da lì poi nel fiume Ottawa, raggiungendo dopo trenta giorni il territorio degli Uroni, dove risedette per tre anni in completa solitudine, sia di territorio, sia di approccio con questo popolo, a cui a stento riuscì a battezzare qualche bimbo in fin di vita. Riuscì comunque a scrivere nella loro lingua un catechismo, che diventò un saggio raro di quel linguaggio, scomparso con l’annientamento degli Uroni qualche decennio dopo. Per i noti motivi politici e coloniali, la città di Québec e la colonia francese, passarono agli inglesi e i missionari cattolici, a malincuore dovettero lasciare il Canada e ritornare in Francia. Dopo il Trattato di San Germano del 29 marzo 1632, con il quale la Francia riebbe il Canada, anche i Gesuiti ripresero le loro missioni; padre Giovanni de Brébeuf ritornò fra gli Uroni a condividere quella desolata esistenza. Alla fine del 1636 una malattia epidemica scoppiò nel villaggio, sembra proprio nella misera capanna dei missionari (i meno immunizzati naturalmente a tanta sporcizia e mancanza d’igiene), diffondendosi alle capanne vicine e poi all’intero villaggio e a quelli dei dintorni; estendendosi a macchia d’olio, seminando morti in quantità, specie bambini. I padri Gesuiti, ancora convalescenti, presero ad aiutare tutti, dando prova ed esempio di cristiana carità; nonostante l’avversità degli stregoni, che li ritenevano responsabili dell’epidemia. In particolare padre Giovanni de Brébeuf, anche quando rivestì la carica di Superiore della Missione, sopportava con ammirevole pazienza e con il sorriso sulle labbra, gli insulti, le offese, le lividure e le ferite, che gli Uroni gli infliggevano, sempre aizzati dagli stregoni; sempre primo a svolgere i compiti più gravosi, ad alzarsi la mattina e accendere il fuoco e l’ultimo a coricarsi. Dal 1637 i suoi coraggiosi e tenaci tentativi di evangelizzazione cominciarono a dare i primi frutti, al punto che nel 1649, anno in cui morì, gli Uroni battezzati erano settemila. Il 16 marzo 1649 la Missione fu invasa dalla tribù degli Irochesi, Indiani feroci armati dagli Inglesi, che uccisero una gran quantità di Uroni e facendo altri prigionieri per torturarli, compreso padre de Brébeuf, al quale strapparono le unghie, lo legarono ad un palo, con delle scuri incandescenti legate al collo, che gli bruciarono il dorso e il petto, mentre una cintura di corteccia con pece e resina incendiata, gli cingeva i fianchi. Era tale l’odio contro il missionario, che gli Irochesi presero a trafiggerlo con aste arroventate, strappandogli brandelli di carne bruciata e divorandola davanti ai suoi occhi. Ancora più infuriati perché il martire invece di gridare dal dolore, continuava a pregare lodando Dio, gli strapparono le labbra e la lingua, gli ruppero le mascelle, ficcandogli in gola tizzoni ardenti; poi finalmente sazi di tanta crudeltà, apersero il petto dell’agonizzante ed eroico martire, gli strapparono il cuore e ne bevvero il sangue, convinti secondo le loro credenze, di assimilare così il suo coraggio.
Autore: Antonio Borrelli

 



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