"Sei
bella!"
Quando lui le diceva che era
bella, Nunzia ci credeva e sorrideva. Quando la teneva teneramente per mano,
sorrideva ancora, guardando il cielo, forse grata a Dio desser comunque viva. E
se lui le accarezzava il volto, la felicità si stampava nei grandi occhi color
castagna. Balbettava una frase gentile, si lasciava sfuggire un gemito stridulo
e, a modo suo, gioioso. Da quando aveva perso la ragione, Nunzia non aveva più
il senso del tempo e dello spazio. Viveva sospesa su una nuvola, lontano da ogni
contaminazione. L´infelicità ed il dolore avevano perduto la strada del suo
cuore. Non contava più le ore nelle notti insonni straziate dagli abbandoni. Era
una donna-bambina, immacolata vittima degli egoismi altrui. Tutto della Nunzia
di un tempo aveva ceduto il passo alla Nunzia di oggi. Quei lunghi capelli
nerolucidi avevano lasciato il posto a strani boccoli distanziati e screziati di
biancolatte. Il profumo di fresco a un intruglio di cipria e farina, di stantio
e di frizzante, di antico e di impreciso. Le pallide mani, solcate da vene
evidenti, mostravano unghie non più curate, tagli frequenti, screpolature. La
bocca salzava da un lato, aprendosi al passaggio di un sospiro continuo. Nunzia
non aveva più la sveltezza d´un tempo: tutto, in lei, era estremamente lento e
difficoltoso: parlare, capire, camminare, mangiare, starnutire. Restava
indietro, annaspava, si sforzava. Perfino a piangere, perfino a sorridere. La
pelle vellutata del viso era ora un susseguirsi di rughe e sudore; il seno, un
tempo florido e invidiato, era lemblema della devastazione. Le gambe la
sorreggevano a stento e non consentivano quasi più lautonomia. Ma gli occhi!
Quelli erano ancora i suoi gioielli, due olive, due sfere di cristallo. Vi si
leggeva la vita intrecciata alla paura, la morte aggrappata alla speranza. Con
la sola forza di quello sguardo, interrogava e implorava, ringraziava e gioiva.
E si donava. A quell´unica persona che l´accarezzava, che non si ritraeva al
contatto della sua mano. Un giovane medico che frequentava la clinica, un amico
sincero, consolatore, angelo custode. Quando entrava nella sua cameretta era
come se arrivasse il sole. Nunzia si sentiva quel fiore che non poteva più
essere e socchiudeva gli occhi per ricordare com´era. Poi li riapriva e li
fissava su di lui, aspettando la sua mano forte sulla spalla. "Come andiamo,
principessa? - diceva sempre lui con voce calda - Ti sei decisa a dare ascolto
alle infermiere?". Nunzia mugugnava incomprensibili parole e lui,
immancabilmente le diceva: "Dai sorridi che sei bella!". E lei rideva, sguaiata
e serena, liberando gioiosa tanta saliva. Poi, rovesciando leggermente la testa
all´indietro, s´immergeva nel ricordo d´altri occhi, d´altre mani, d´altri
abbracci. E sentiva un´altra voce, persa nel tempo, bisbigliarle all´orecchio un
desiderio. "Sei solo mia - diceva - sei tanto bella!", e Nunzia, ridendo forte,
ci credeva. Quanto tempo era passato, quanti dottori aveva conosciuto? I suoi
occhi erano sempre gli stessi, aperti al passato, al sogno finito. "Dai, sorridi
che sei bella!". E l´eco ripeteva "Sei bella! Sei Bella!"......
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