Se la capacità di riconoscere correttamente le sillabe che compongono una parola è importante in grammatica, essa è ancora più importante nella metrica, perché i versi italiani fondano la loro identità di base proprio sul numero di sillabe che li compongono. Da questo fatto deriva il concetto di sillabismo valido in poesia, e che Beltrami esemplifica così: due serie sono composte dallo stesso numero di sillabe se l’ultima tonica è nella stessa posizione (“Gli strumenti della poesia”, Pietro G. Beltrami, Ed. Il Mulino, pag.32).
Quindi, due versi saranno dello stesso tipo se porteranno l’ultima accento sulla sillaba che occupa la stessa posizione. In italiano, i casi normali sono tre:
1- all’ultima sillaba tonica segue una sillaba atona. In questo caso il verso ha uscita piana ed è detto verso piano.
2- la serie (il verso) termina con l’ultima sillaba tonica. In questo caso il verso ha uscita tronca ed è detto verso tronco.
3- all’ultima sillaba tonica seguono due sillabe atone. In questo caso il verso ha uscita ed è detto verso sdrucciolo.
Rarissimo il caso di tre sillabe atone dopo l’ultima sillaba tonica (verso bisdrucciolo).
Nella metrica italiana, essendo la lingua stessa più ricca di parole con uscita piana, si è deciso di dare il nome al verso sulla base dell’uscita piana.
Perciò se, ad esempio, un verso è scomponibile in una serie dove l’ultimo accento cade sulla decima sillaba, allora il verso sarà un endecasillabo. L’endecasillabo potrà essere tronco, quindi essere scomposto in una serie di dieci sillabe; potrà sdrucciolo, quindi essere scomposto in una serie di dodici sillabe; potrà essere bisdrucciolo, quindi essere composto in una serie di tredici sillabe; ma se l’ultima sillaba accentata occupa la decima posizione, sarà sempre e comunque un endecasillabo. E lo stesso discorso vale per tutti gli altri versi tradizionali.
Dall’applicazione del concetto di sillabismo deriva che la nostra tradizione poetica è isosillabica, cioè possiede tipi di versi basati sullo stesso numero di sillabe. Ma la poesia italiana possiede anche un’esperienza anisosillabica, cioè ha prodotto forme di versificazione che, partendo da un verso base, ammettevano una certa oscillazione del numero di sillabe (una o due in genere), senza perdere l’impressione di avere a che fare sempre con lo stesso tipo di verso base. Questo avvenne soprattutto nella poesia delle origini, dove l’attenzione era più spostata sulla rima che sul numero di sillabe. Nell’ambito della versificazione libera moderna l’anisosillabismo può esistere anche senza doversi poggiare sulla maggiore importanza della rima.
Le regole grammaticali che ho esposto per dividere correttamente una parola in sillabe, però, di solito non sono mai sufficienti per determinare il numero di sillabe che compongono i versi in una
poesia.
Se per esempio, sappiamo che la Divina Commedia di Dante è scritta con la forma metrica della terzina che consiste di endecasillabi, ci aspettiamo che ogni verso sia di undici sillabe. E, seguendo solamente le regole suddette, se il conto delle sillabe ci ridà con il primo verso:
Nel – mez- zo – del – cam – min – di – no – stra – vi – ta (undici sillabe)
già con il secondo verso non ci tornano le undici sillabe che ci aspettiamo. Infatti:
mi – ri – tro – vai – per – u – na – sel – va – o – scu – ra (dodici sillabe).
Il fatto è che quando tutte le vocali in un verso sono separate almeno da una consonante la scansione metrica corrisponde con quella grammaticale.
Di me medesmo meco mi vergogno (Rvf. 1, 11)
Quando ciò non avviene, le regole grammaticali non sono più sufficienti a spiegare la scansione metrica. Alle regole esposte bisogna aggiungere l’influenza di alcuni fenomeni che comportano una variazione del numero di sillabe rispetto alla norma. I fenomeni contemplati dalla metrica (o istituti metrici) più importanti sotto questo aspetto sono quattro: la sinalèfe, la dialèfe, la sinèresi e la dièresi.