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De: Lelina (Mensaje original) |
Enviado: 02/02/2010 09:48 |
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2 FEBBRAIO
LA CANDELORA
LA CANDELORA E LA QUARESIMA
La Cannelòra e la Quarajésema sono due ricorrenze legate specificamente all'anno liturgico cattolico, che nella cultura contadina sono state inserite nel ciclo dell'anno meteorologico. La prima cade il ventunesimo giorno dopo l'inizio del Carnevale, cioè il 2 febbraio, mentre l'altra il giorno seguente il martedì grasso, quaranta giorni prima di Pasqua.
E' credenza popolare che se il giorno della Candelora è cattivo tempo, lo sarà anche per i quaranta giorni successivi, come viene cantato in queste strofette che divengono anche occasione per l'usuale ironia verso le vecchie e i preti:
Quanno è `a Cannelòra O néveca o chiòve Chiòve o ména viénto Quaranta juorni re maletiémpo Respónne `a vecchia into a lu furno Rura fino a lu mese re giugno Quann'è `a Cannelòra Ogni prèvate se ròle Cu nu muzzóne re cannéla Tutta `a chiérica se péla.
La Quaresima, nella cultura popolare, viene personificata e, come maschera, fa parte del corteo carnescialesco. Essa è la vedova di Carnevale di cui piange la morte; è magrissima, acciaccata, vecchia, vestita di nero, regge con la destra il fuso e con la sinistra la cunócchia (rocca) in atto di filare della lana.
Essendo una maschera funebre, connessa alla morte dell'anno vecchio (Carnevale), potrebbe rappresentare il residuo del mito delle Parche della mitologia greca, delle quali conserva il filare, come simbolo dell'inesauribile crescere e scorrere della vita destinata alla morte, che segue sempre i capricci del Destino...
Resiste ancora in alcuni paesi la simpatica usanza di fa' la Quarajésema, cioè di costruire una bambola di stoffa dalle sembianze di vecchia ed appenderla ad una finestra, subito dopo che si è sciolto il corteo di Carnevale. Ha le stesse caratteristiche della maschera e in più le viene attaccata sul posteriore un'arancia, sulla quale sono infilzate sette penne di gallina scacàta, cioè che non fa più uova. Queste vengono poi tolte una per ogni venerdì e bruciate. Infine il Venerdì Santo viene bruciata la Quarajésema con l'ultima penna e l'arancia.
Tutti i riferimenti mitologici di questo rito sono connessi con i simboli della Morte che sembra aver preso momentaneamente il sopravvento sulla Vita. Lo stesso pupazzo della Quarajésema è una pupa re pèzza, cioè una bambola di stoffa, ma che ha i caratteri della non prolificità e della non-festa (è a lutto, è vecchia, reca le penne di una gallina che non fa uova); mentre la bambola è sempre nei giochi delle bambine il simbolo della maternità.
Ecco come la Quaresima è cantata in queste strofe, nelle quali emergono i caratteri che la fantasia popolare attribuisce alla maschera:
Quarajésema cuossi-stòrta
Ja girànno pe into l'òrta
Se jettào pe nu muro
E se ruppètte l'uósso ru culo
Quarajésema cuossi-stòrta
Ja arrubbànno menèstra a l'òrta
La `nguntrào Carnulevàro
E `a pigliào cu nu palo
Quarajésema cuossi-stòrta
A lu spitàle se ne jètte
E ncapo re quaranta juórni
Accussì dda' fernètte.
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Un saluto a tutti
Lely
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De: Lelina |
Enviado: 21/02/2010 15:41 |
La Quaresima
è il periodo che precede la celebrazione della Pasqua, dura quaranta giorni, sono pratiche tipiche della quaresima il digiuno e altre forme di penitenza, la preghiera più intensa e la pratica della carità. è un cammino di preparazione a celebrare la Pasqua che è il culmine delle festività cristiane.
Ricorda i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto dopo il suo battesimo nel Giordano e prima del suo ministero pubblico.
Il significato della Quaresima
In realtà la Quaresima dura 44 giorni e va dal Mercoledì delle Ceneri al momento della Messa Vespertina (In Cena Domini) del Giovedì Santo. Nelle zone in cui è in vigore il Rito Ambrosiano, invece, il periodo di Quaresima dura esattamente 40 giorni e va dalla domenica successiva al Martedì Grasso (con il protrarsi del Carnevale fino al Sabato della stessa settimana) al Giovedì Santo. Il significato della Quaresima, della quale non si hanno testimonianze sulla sua celebrazione prima del Concilio di Nicea del 325, vuole rafforzare la preghiera e il sentimento dei fedeli e ricordare le sofferenze e il sacrificio di Gesù verso l'uomo.
La Messa Vespertina del Giovedì Santo apre il periodo detto Triduo Pasquale che durerà dal Venerdì Santo al giorno di Pasqua.
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De: Lelina |
Enviado: 21/02/2010 15:44 |
Siamo entrati nel tempo di Quaresima, tempo di penitenza, di purificazione, di conversione. Non è un compito facile. Il cristianesimo non è un cammino comodo: non basta "stare" nella Chiesa e far passare gli anni. Nella nostra vita, vita di cristiani, la prima conversione - quel momento irripetibile, indimenticabile, in cui si vede con tanta chiarezza tutto ciò che il Signore ci chiede - è importante; però ancora più importanti e difficili sono le conversioni successive. Per agevolare l'opera della grazia divina che si manifesta in esse, occorre conservare un animo giovane, invocare il Signore, ascoltarlo, scoprire ciò che in noi non va, chiedere perdono. E’ Gesù che passa, 57
Quale miglior modo di cominciare la Quaresima? Il rinnovamento della fede, della speranza e della carità è la fonte dello spirito di penitenza, che è desiderio di purificazione. La Quaresima non è solo un'occasione per intensificare le nostre pratiche esteriori di mortificazione: se pensassimo che è solo questo, ci sfuggirebbe il suo significato più profondo per la vita cristiana, perché quegli atti esterni - vi ripeto - sono frutto della fede, della speranza, dell'amore. E’ Gesù che passa, 57
La Quaresima ci pone davanti a degli interrogativi fondamentali: cresce la mia fedeltà a Cristo, il mio desiderio di santità? Cresce la generosità apostolica nella mia vita di ogni giorno, nel mio lavoro ordinario, fra i miei colleghi? E’ Gesù che passa, 58
Non possiamo considerare la Quaresima come un periodo qualsiasi, una ripetizione ciclica dell'anno liturgico. è un momento unico; è un aiuto divino che bisogna accogliere. Gesù passa accanto a noi e attende da noi - oggi, ora - un rinnovamento profondo. E’ Gesù che passa, 59
L'appello del Buon Pastore giunge sino a noi: "Ego vocavi te nomine tuo", ho chiamato te, per nome. Bisogna rispondere - amore con amor si paga - dicendo: "Ecce ego, quia vocasti me" (I Reg III, 5), mi hai chiamato, eccomi: sono deciso a non fare che il tempo di Quaresima passi come l'acqua sui sassi, senza lasciare traccia; mi lascerò penetrare, trasformare; mi convertirò, mi rivolgerò di nuovo al Signore, amandolo come Egli vuole essere amato. E’ Gesù che passa, 59
Ricordiamo ancora una volta, in questa Quaresima, che il cristiano non può essere superficiale. Pienamente inserito nel suo lavoro ordinario, in mezzo agli altri uomini — a cui è uguale in tutto — attivo, impegnato, in tensione, il cristiano deve, nello stesso tempo, essere pienamente in Dio, perché ne è figlio.
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De: Lelina |
Enviado: 21/02/2010 15:50 |
04 / 02 / 2010
Messaggio del Papa per la Quaresima: non c'è vera giustizia senza l'amore di Dio. Testo integrale
L’uomo non può attuare da solo la giustizia, deve uscire dall’illusione dell’autosufficienza ed entrare nella giustizia “più grande” che è quella dell’amore, la giustizia operata da Cristo. E’ quanto scrive Benedetto XVI nel Messaggio per la Quaresima che svolge la sua riflessione a partire dall’affermazione paolina: La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo (cfr Rm 3,21-22). Ecco il testo integrale del Messaggio: Cari fratelli e sorelle, ogni anno, in occasione della Quaresima, la Chiesa ci invita a una sincera revisione della nostra vita alla luce degli insegnamenti evangelici. Quest’anno vorrei proporvi alcune riflessioni sul vasto tema della giustizia, partendo dall’affermazione paolina: La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo (cfr Rm 3,21-22). Giustizia: “dare cuique suum” Mi soffermo in primo luogo sul significato del termine “giustizia”, che nel linguaggio comune implica “dare a ciascuno il suo - dare cuique suum”, secondo la nota espressione di Ulpiano, giurista romano del III secolo. In realtà, però, tale classica definizione non precisa in che cosa consista quel “suo” da assicurare a ciascuno. Ciò di cui l’uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge. Per godere di un’esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: potremmo dire che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza. Sono certamente utili e necessari i beni materiali – del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna l’indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di essere umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine -, ma la giustizia “distributiva” non rende all’essere umano tutto il “suo” che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio. Nota sant’Agostino: se “la giustizia è la virtù che distribuisce a ciascuno il suo... non è giustizia dell’uomo quella che sottrae l’uomo al vero Dio” (De civitate Dei, XIX, 21). Da dove viene l’ingiustizia? L’evangelista Marco riporta le seguenti parole di Gesù, che si inseriscono nel dibattito di allora circa ciò che è puro e ciò che è impuro: “Non c'è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro... Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male” (Mc 7,14-15.20-21). Al di là della questione immediata relativa al cibo, possiamo scorgere nella reazione dei farisei una tentazione permanente dell’uomo: quella di individuare l’origine del male in una causa esteriore. Molte delle moderne ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché l’ingiustizia viene “da fuori”, affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l’attuazione. Questo modo di pensare - ammonisce Gesù - è ingenuo e miope. L’ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne; ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male. Lo riconosce amaramente il Salmista: “Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre” (Sal 51,7). Sì, l’uomo è reso fragile da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare in comunione con l’altro. Aperto per natura al libero flusso della condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsi sopra e contro gli altri: è l’egoismo, conseguenza della colpa originale. Adamo ed Eva, sedotti dalla menzogna di Satana, afferrando il misterioso frutto contro il comando divino, hanno sostituito alla logica del confidare nell’Amore quella del sospetto e della competizione; alla logica del ricevere, dell’attendere fiducioso dall’Altro, quella ansiosa dell’afferrare e del fare da sé (cfr Gen 3,1-6), sperimentando come risultato un senso di inquietudine e di incertezza. Come può l’uomo liberarsi da questa spinta egoistica e aprirsi all’amore? Giustizia e Sedaqah Nel cuore della saggezza di Israele troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che “solleva dalla polvere il debole” (Sal 113,7) e giustizia verso il prossimo. La parola stessa con cui in ebraico si indica la virtù della giustizia, sedaqah, ben lo esprime. Sedaqah infatti significa, da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall’altra, equità nei confronti del prossimo (cfr Es 20,12-17), in modo speciale del povero, del forestiero, dell’orfano e della vedova (cfr Dt 10,18-19). Ma i due significati sono legati, perché il dare al povero, per l’israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo. Non a caso il dono delle tavole della Legge a Mosè, sul monte Sinai, avviene dopo il passaggio del Mar Rosso. L’ascolto della Legge, cioè, presuppone la fede nel Dio che per primo ha ‘ascoltato il lamento’ del suo popolo ed è “sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto” (cfr Es 3,8). Dio è attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede giustizia verso il povero (cfr Sir 4,4-5.8-9), il forestiero (cfr Es 22,20), lo schiavo (cfr Dt 15,12-18). Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia. Occorre, in altre parole, un “esodo” più profondo di quello che Dio ha operato con Mosè, una liberazione del cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare. C’è dunque per l’uomo speranza di giustizia? Cristo, giustizia di Dio L’annuncio cristiano risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, come afferma l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio... per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue” (3,21-25). Quale è dunque la giustizia di Cristo? E’ anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che l’“espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio (cfr Gal 3,13-14). Ma ciò solleva subito un’obiezione: quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del “suo”? In realtà, qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana. Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia. Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare. Proprio forte di questa esperienza, il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall’amore. Cari fratelli e sorelle, la Quaresima culmina nel Triduo Pasquale, nel quale anche quest’anno celebreremo la giustizia divina, che è pienezza di carità, di dono, di salvezza. Che questo tempo penitenziale sia per ogni cristiano tempo di autentica conversione e d’intensa conoscenza del mistero di Cristo, venuto a compiere ogni giustizia. Con tali sentimenti, imparto di cuore a tutti l’Apostolica Benedizione.
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De: Lelina |
Enviado: 21/02/2010 15:52 |
Sua Santità Papa Benedetto XVI |
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