LA LEGGENDA DEGLI EDELWEISS
(leggenda austriaca)
ran festa quella notte di plenilunio sulla vetta della montagna! Era nato un principino degli Edelweiss, e da ogni parte gli Elfi, ossia i folletti degli Edelweiss, creaturine gentili dalle alucce brillanti, accorrevano per porgere ai felici genitori le loro congratulazioni e per ammirare il graziosissimo neonato. La notte passò tutta tra danze e suoni, e quando spuntò l’alba, gli spiritelli a volo tornarono nelle loro dimore, ognuno dentro la corolla del proprio fiore. Chi avrebbe potuto pensare che nel bianco cuore di velluto delle belle stelle alpine si celassero così delicate creature?
Passarono i giorni, e il principino cresceva vigoroso e bello nel suo fiore, i cui petali splendevano appunto come i raggi di una stella e in mezzo aprivano lucenti occhi d’oro. Ma un giorno gli Edelweiss udirono uno strano rombo, un rovinio come di pietre che franassero:poveri fiori, che spavento provarono! Ed ecco sull’orlo del dirupo, all’ombra del quale gli Edelweiss crescevano, apparvero due enormi mani pelose che si aggrappavano tenacemente alla roccia; e furono subito dopo seguite da una testa gigantesca, mostruosa, e finalmente uno smisurato corpo si spenzolò in fuori e si lasciò cadere sulle balze. Un vecchio Edelweiss sussurrò all’orecchio del Re degli Elfi:
— E’ un uomo. Sono certo che è un uomo. Così infatti me lo aveva descritto mio nonno, che era riuscito a vederne uno. E so che gli uomini sono cattivi e fanno molto male ai fiori. Poveretti noi!
Il povero Re aveva una gran pena al cuore, mentre guardava con ansia il principino che, ignaro del pericolo, contemplava la straordinaria apparizione dell’uomo con lo stupore giocondo dei fanciulli. L’uomo intanto aveva già adocchiato il candido fiore.
— Oh, il bell’Edelweiss! — esclamò.
E, coltolo, lo infilò per lo stelo nel cappello. Il principino inesperto era felice di quella novità: non sapeva, il disgraziato, che prima di sera la sua piccola animuccia di fiore sarebbe morta! L’uomo si avviò cantando verso la valle, lasciando il regno degli Edelweiss nella più angosciata desolazione. La natura sorrideva come prima; ma ogni petalo di Edelweiss racchiudeva adesso una lagrima. La Regina rimase per lungo tempo priva di sensi, e il Re non pronunziò parola, poichè il dolore l’aveva schiantato. Passarono così giorni tristissimi su quella vetta di monte.
E venne il giorno che la Fata della Montagna uscì dalla sua caverna sotterranea di diamanti per visitare il regno degli Edelweiss: una visita che la Fata faceva ogni anno.
— Come mai cosi tristi quest’anno? — domandò, meravigliata.
Il Re degli Edelweiss le raccontò allora quel che era successo: e gli tremava la voce, al povero Re, nel rievocare il doloroso ricordo del figlioletto colto dalla mano crudele dell’uomo.
La buona Fata s’impietosì tutta per i poveri Edelweiss: capiva lo strazio per quel che era accaduto e la preoccupazione per l’avvenire, per quel che poteva accadere ancora. Cercò di consolare quelle semplici creature.
— Io punirò — concluse — questa razza insaziabile degli uomini che fanno strage di ogni cosa gentile; vendicherò la morte del principino. Consolatevi: altri figli vi nasceranno belli e prosperosi; ma da questo momento, ve lo prometto e potete credere alla mia parola, nessun uomo potrà mai più cogliere un fiore di Edelweiss senza incontrare la morte.
E così fu. Gli Edelweiss si moltiplicano sulle rocce delle montagne; ma tutti quegli uomini che, attratti dal bianco splendore dei petali, si inerpicano sui picchi dirupati per raccogliere le stelle alpine, cadono sotto la vendetta della Fata: la roccia improvvisamente si stacca, precipita sotto i piedi degli incauti, ed essi finiscono miseramente nell’abisso.
Il più bel fiore delle Alpi, oh, no, non fiorisce per essere colto da mano umana!