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Resposta  Mensagem 1 de 10 no assunto 
De: Nando1  (Mensagem original) Enviado: 05/06/2011 10:18

 

La camicia dell'uomo contento

Un Re aveva un figlio unico e gli voleva bene come alla luce dei suoi occhi. Ma questo Principe era sempre scontento. Passava giornate intere affacciato al balcone, a guardare lontano. Ma cosa ti manca? - gli chiedeva il Re. - Che cos'hai? Non lo so, padre mio, non lo so neanch'io. Sei innamorato? Se vuoi una qualche ragazza dimmelo, e te la farò sposare, fosse la figlia del Re più potente della terra o la più povera contadina! No, padre, non sono innamorato.E il Re a riprovare tutti i modi per distrarlo! Teatri, balli, musiche, canti; ma nulla serviva, e dal viso del Principe di giorno in giorno scompariva il color di rosa.Il Re mise fuori un editto, e da tutte le parti del mondo venne la gente più istruita: filosofi, dottori e professori. Gli mostrò il Principe e domandò consiglio. Quelli si ritirarono a pensare, poi tornarono dal Re. Maestà, abbiamo pensato, abbiamo letto le stelle; ecco cosa dovete fare. Cercate un uomo che sia contento, ma contento in tutto e per tutto, e cambiate la camicia di vostro figlio con la sua.Quel giorno stesso, il Re mandò gli ambasciatori per tutto il mondo a cercare l'uomo contento.Gli fu condotto un prete: - Sei contento? - gli domandò il Re.- Io si, Maestà!- Bene. Ci avresti piacere a diventare il mio vescovo?- Oh, magari, Maestà! Va' via! Fuori di qua! Cerco un uomo felice e contento del suo stato; non uno che voglia star meglio di com'è. E il Re prese ad aspettare un altro. C'era un altro Re suo vicino, gli dissero, che era proprio felice e contento: aveva una moglie bella e buona, un mucchio di figli, aveva vinto tutti i nemici in guerra, e il paese stava in pace. Subito, il Re pieno di speranza mandò gli ambasciatori a chiedergli la camicia.Il Re vicino ricevette gli ambasciatori, e: - Si, si, non mi manca nulla, peccato però che quando si hanno tante cose, poi si debba morire e lasciare tutto! Con questo pensiero, soffro tanto che non dormo alla notte!- E gli ambasciatori pensarono bene di tornarsene indietro.Per sfogare la sua disperazione, il Re andò a caccia. Tirò a una lepre e credeva d'averla presa, ma la lepre, zoppicando, scappò via. Il Re le tenne dietro, e s'allontanò dal seguito. In mezzo ai campi, sentì una voce d'uomo che cantava la falulella . Il Re si fermò: " Chi canta cosi non può che essere contento! " e seguendo il canto s'infilò in una vigna, e tra i filari vide un giovane che cantava potando le viti. - Buon di, Maestà, - disse quel giovane. - Così di buon'ora già in campagna? - Benedetto te, vuoi che ti porti con me alla capitale? Sarai mio amico. - Ahi, ahi, Maestà, no, non ci penso nemmeno, grazie. Non mi cambierei neanche col Papa.- Ma perché, tu, un cosi bel giovane... - Ma no, vi dico. Sono contento così e basta. " Finalmente un uomo felice! ", pensò il Re. - Giovane, senti: devi farmi un piacere. - Se posso, con tutto il cuore, Maestà. - Aspetta un momento, - e il Re, che non stava più nella pelle dalla contentezza, corse a cercare il suo seguito: - Venite! Venite! Mio figlio è salvo! Mio figlio è salvo -. E li porta da quel giovane. - Benedetto giovane, - dice, - ti darò tutto quel che vuoi! Ma dammi, dammi... - Che cosa, Maestà? - Mio figlio sta per morire! Solo tu lo puoi salvare. Vieni qua, aspetta! - e lo afferra, comincia a sbottonargli la giacca. Tutt'a un tratto si ferma, gli cascano le braccia.L'uomo contento non aveva camicia.

ITALO CALVINO




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Resposta  Mensagem 2 de 10 no assunto 
De: daniela71 Enviado: 06/06/2011 04:31
.

 

 


Grazie!

 

 


 

 

 

Le fiabe si leggono con il cuore

Resposta  Mensagem 3 de 10 no assunto 
De: Nando1 Enviado: 06/06/2011 05:51
Daniela sei veramente cara e sensibile...
mi fa piacere sapere che ti piacciono le fiabe, che a dire il vero, piacciono molto anche a me, hanno sempre una morale e spesso fanno riflettere oltre a riportarti nell'atmosfera  fanciullesca...
 
 
Un abbraccio amico
Nando

Resposta  Mensagem 4 de 10 no assunto 
De: Nando1 Enviado: 06/06/2011 05:59

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La farfalla e il cavolfiore

 Era una bella mattina di primavera e il sole scaldava il prato verde, trapuntato di fiori.
Su uno di essi aveva dormito una bella farfalla che, stiracchiandosi, distese le ali variopinte per asciugarle ai tiepidi raggi del sole e poi si librò nell’aria, cominciando a curiosare qua e là.
Giunta sulla riva d’uno stagno, si rimirò nell’acqua ferma che le faceva da specchio.
"Quanto sono bella!", pensò la farfalla e, felice, si mise a volare in giro per farsi vedere ed ammirare da tutti.
Ad un certo punto, però, cominciò a sentire un po’ d’appetito. Istintivamente volò verso un orto dove c’era una distesa di cavoli freschi e turgidi.
Si fermò sul più grosso e bello, provò ad assaggiarlo, succhiò un po', ma subito si ritrasse disgustata.
- Puah! Che cattivo odore e che saporaccio! Ho fatto male a venire qui nell’orto, dovevo andarmene in qualche bel giardino ricco di rose e garofani, di dalie e giunchiglie profumate. Il cibo dell’orto non fa per me, io ho bisogno di cose più delicate.-
- Hai cambiato gusto a quel che sembra! - Osservò ironicamente il cavolfiore offeso – Ti ho conosciuto in ben altre condizioni, bella mia, quando eri meno elegante e colorata. Ricordo bene quando eri un bruco nudo e crudo, per niente bello da vedere, e fui proprio io a darti cibo e alloggio.-
- Il cibo dell’orto non fa per me, io ho bisogno di cose più delicate! – Rispose risentito l’insetto.
- Allora il sapore delle mie foglie ti sembrava buono e appetitoso. Ora che sei cresciuta, cambiata, rivestita di seta e di splendidi colori, frequenti giardini profumati e disdegni i buoni amici d’un tempo… Hai poca memoria e troppa boria! Sei bella, sì…ma non sei buona se disprezzi chi ti ha cresciuta senza chiederti niente.-
La farfalla, tutta rossa per la vergogna, se ne volò via.


Lucio Apuleio



Resposta  Mensagem 5 de 10 no assunto 
De: sempreverde Enviado: 06/06/2011 08:15

Il treno del Paradiso

 

La bambina alla vista del treno sgranò i grandi occhi azzurri. Rimase col fiato sospeso per lo stupore. Mai visto nulla di simile. Ma cosa ci faceva quel treno tutto colorato alla stazione? Bello! Sembrava un treno magico. Un enorme giocattolo. Il treno dei desideri. Ogni carrozza aveva un colore diverso: giallo, azzurro, viola, arancione. Era straordinario! Semplicemente straordinario!!!. E poi lucido, nuovo di zecca, con rivestimenti finissimi. Dava un senso di sicurezza. La piccola Vanessa si asciugò le lacrime e finalmente sorrise, nonostante il dolore che provava dentro il petto. C'era molta nebbia quel giorno e la stazione era deserta. Provò l'irrefrenabile impulso di salire sul treno. Si chiese come c' era arrivata da sola alla stazione. E dove erano la mamma e il papà?

Si guardò intorno sconsolata. Le ritornò la voglia di piangere. E quel dolore al petto che non smetteva di tormentarla. Vagò ancora con lo sguardo. Cominciava a sentire freddo. I suoi occhi si fissarono sul treno e si rese conto che la stava aspettando. Sì, era lì per lei. Non c'era un motivo preciso che glielo facesse credere. Lo sentì e basta, come una premonizione. Quel treno meraviglioso, che sembrava un serpentone mansueto, era un regalo. Un regalo destinato a lei.

Doveva fare il biglietto e salire, senza alcuna esitazione.

Controllò nella tasca, aveva solo pochi spiccioli, i soldi della merenda che la mamma quella mattina le aveva dato per andare a scuola. Già, ma perché non c'era andata, quella mattina, a scuola? E come mai si trovava invece alla stazione? Non riusciva a ricordare.

Si avviò verso l'ufficio del capo stazione, determinata a fare il biglietto. Dovette alzarsi in punta di piedi per guardarlo negli occhi: era un uomo particolare con una gran barba bianca che gli arrivava sul pancione prominente, e i capelli lunghi e lanosi gli scendevano fino alle spalle. "Sei tu il capo stazione?" chiese Vanessa, trattenendo una risata. L'uomo sollevò la testa dalle sue scartoffie, la osservò con una grande tristezza, una tristezza secolare, accumulata giorno dopo giorno, pena dopo pena. "Sì, sono io. E tu sei la piccola Vanessa. Perché ridi di nascosto?".

"Perché sei tutto bianco! Sembri un orso. Sembri babbo Natale. Ma come fai a conoscere il mio nome? Mi stavi aspettando?".

"Sì, ti stavo aspettando".

"Voglio comprare il biglietto e salire sul treno. Ecco, ti do tutti i miei soldi". Frugò nella tasca.

"Non occorrono soldi per salire sul treno. Vai pure, manchi solo tu per partire". E si tastò i lunghi peli della barba. Provava una grande amarezza, per la bambina, per se stesso e il lavoro ingrato cui lo avevano destinato. "Vai pure Vanessa, troverai altri bambini sul treno. Andrete in un posto bellissimo ".

"Ma la mia mamma, il papà?"

"Stai tranquilla, loro sanno già".

La bambina si avviò felice.

L'uomo ritornò con la mente a quanto era successo quella mattina:il boato, la nuvola di polvere, le macerie, i corpi martoriati, e provò un brivido di orrore.

Scosse la testa, sospirò e infine chiamò due inservienti: "Accompagnatela fino alla carrozza rosa, e nascondete le ali, non vorrei si spaventasse".

 

Salvo Zappulla



Resposta  Mensagem 6 de 10 no assunto 
De: Elisetta Enviado: 06/06/2011 08:29
Che belle le fiabe
sono ricche di insegnamenti
e di commozioni...
Lette con vero piacere
Grazie per condividerle!
 
Elisa

Resposta  Mensagem 7 de 10 no assunto 
De: Elisetta Enviado: 06/06/2011 08:43
 
IL BRUTTO ANATROCCOLO
 
C'era una volta una nidiata di piccoli anatroccoli, ma uno di loro purtroppo era nero, grande e goffo. La madre, sebbene percepisce la sua diversità e cerca di farlo accettare agli altri piccoli, a tutti è palesemente evidente che quella strana creatura è completamente fuori luogo. Tant'è vero che dopo vani tentativi alla fine il "brutto anatroccolo" decide di fuggire. Egli vaga senza meta e non trova nessuno che abbia voglia dli accoglierlo ed aiutarlo, finchè con l'arrivo dell'inverno rischia seriamente di morire congelato.

Qualcosa di diverso in effetti succede, poichè alla fine dell'inverno il piccolo disperato sopravvive miracolosamente e cerca a questo punto di raggiungere lo stagno dove abitualmente si trovavano gli altri anatroccoli a nuotare. Lungo il cammino incontra invece un gruppo di splendidi cigni, che secondo lui rappresentavano uno spettacolo naturale per la loro bellezza. Figuriamoci per lui che era abituato a sentirsi brutto e goffo. Decide quindi di avvicinarsi a quelle splendide creature, rimanendo piacevolmente sorpreso dal fatto che  gli danno il benvenuto e lo accettano teneramente. E' proprio in quel momento che, specchiandosi nell'acqua, vede il proprio riflesso e si accorge di essere lui stesso un cigno.


Resposta  Mensagem 8 de 10 no assunto 
De: daniela71 Enviado: 07/06/2011 04:30
.Attachment
Un forte abbraccio a tutti
e grazie per le belle favole
Daniela

Resposta  Mensagem 9 de 10 no assunto 
De: Ver@ Enviado: 10/06/2011 09:19

QUELLO CHE RACCONTANO I FIORI

 
Quando ero una bambina avrei tanto voluto sapere quel che si dicevano i fiori. Il mio professore di Botanica sosteneva che i fiori non parlano. Forse era sordo o forse non mi voleva dire la verità...Ma io sapevo che non era vero: sentivo il loro bisbigliare confuso la sera.
Erano sopratutto le rose a parlare moltissimo, ma quando io mi avvicinavo per sentire meglio, si trasmettevano un messaggio: "Attenzione, arriva la bambina curiosa che viene a spiarci!" e subito dopo regnava il silenzio.
Io ero ostinata: camminavo quasi senza toccare l'erba e chinandomi nascondevo la mia ombra in quella degli alberi.
Finalmente sentìi delle chiare parole, ma non capivo in che lingua fossero. Avevano piccole voci che il minimo rumore copriva facilmente. Non parlavano francese e neppure latino che avevo cominciato a studiare da poco. Ma io capivo benissimo quel che dicevano, meglio di tutto quello che avevo sentito prima di allora.
Una sera finalmente riuscìi a sdraiarmi vicino ad un cespuglio di papaveri e seguire il loro discorso. Non era facile poiché tutti parlavano e facevano una gran confusione... Stava parlando un grosso papavero:
“Signore e Signori è venuto il tempo di finirla. Tutti i fiori sono uguali e la nostra famiglia non è da meno delle altre. Se volete considerare le rose come una famiglia nobile siete liberi di farlo”.
“ Noi non ci stiamo e ci consideriamo alla pari con tutti gli altri fiori..." Le margherite risposero tutte in coro:“ Il papavero ha ragione non abbiamo mai capito le arie che si danno le rose...”
Una margherita chiese : “Vi sembra forse che una rosa sia fatta meglio di me? Noi siamo più ricche, visto che una rosa non ha più di cento petali, mentre noi ne abbiamo cinquecento....”
Allora tutti cominciarono a vantare le proprie bellezze superiori a quelle delle rose. Paragonavano il fiore della rosa ad un cavolo e criticavano il loro profumo: un fiore educato non fa odori per farsi notare!
Cominciarono a litigare ma il dispetto che nutrivano contro le rose bloccò la rissa che stava per nascere...
Ero stanca di sentire i loro discorsi sciocchi e dando un calcio al pergolato gridai:
“ Zitti! state dicendo un mucchio di fandonie! Niente di quello che dite merita di essere ascoltato! Io pensavo di sentire qui bellissime poesie, sono profondamente delusa dalle vostre rivalità!” Si fece un profondo silenzio.
Vediamo se le piante rustiche sono più sagge di quelle coltivate che hanno ricevuto dall'uomo la loro bellezza artificiale. Sentiamo la rosa selvatica cosa dice della rosa a cento petali.
Bisogna dire che ai tempi della mia infanzia i giardinieri non avevano ancora creato tutte le nuove specie di rose. I nostri giardini erano pieni di roseti campagnoli. Poi sono venute le rose a cento petali. Io non ero per niente persuasa di quel che diceva il mio professore: che erano fiori mostruosi creati dai giardinieri. Per me la rosa centifoglia era il massimo della bellezza nel campo della floricoltura. Anche il suo profumo inebriante mi sembrava magico. Il mio professore che annusava il tabacco non l'avrebbe mai sentito.
Ascoltavo cosa dicevano le rose rampicanti sopra la mia testa:
“ Resta qui caro Zephiro, non andartene, i nostri fiori si stanno per schiudere e grazie a te il nostro profumo si sentirà in tutto il giardino. Raccontaci delle nostre origini.” - E’ anche la mia storia: Al tempo che tutte le cose del creato parlavano la lingua degli dei, io ero il figlio del re delle tempeste. Le mie ali nere toccavano gli orizzonti, i miei capelli si mischiavano con le nuvole....ero spaventoso. Avevo il potere di spostare le nuvole a mio piacimento....Insieme a mio padre ed ai miei fratelli abbiamo regnato per un lunghissimo tempo sul nostro pianeta deserto. Il nostro compito era distruggere e frantumare tutto quello che incontravamo sulla nostra strada. Sembrava impossibile la nascita di una qualsiasi forma di vita.
Io ero il più forte e arrabbiato di tutti. Quando mio padre era stanco e riposava toccava a me di continuare la sua opera di distruzione.
Nelle profondità del pianeta viveva uno spirito che si agitava per uscire all’aperto. Era una divinità potentissima: lo spirito della vita che voleva esistere e rompendo le montagne riempiva i mari di polvere. Poi un giorno l’abbiamo visto spuntare da ogni dove…I nostri sforzi raddoppiarono ma i nuovi esseri aumentarono di numero e si salvavano proprio per la loro piccolezza. Invano cercavamo a distruggerla, la vita risorgeva sotto nuove forme, in nuovi luoghi….
Incominciavamo ad essere stanchi e ci siamo dati appuntamento sopra le nuvole con il re delle tempeste, nostro padre. Mentre noi eravamo via, la Terra si ricoprì di un numero infinito di piante ed animali.
Il padre ci disse: “Ecco la Terra che ha indossato il vestito di nozze col Sole. Andate a mettervi fra di loro, radunate le nuvole più nere, rovesciate le foreste e scatenate i mari. Non tornate finché ci sarà ancora un essere vivente.”
Ci siamo sparpagliati come uno sciame mortale sui due emisferi. Come un fulmine io calai sull’ Estremo Oriente seminando morte e distruzione. Soddisfatto dei risultati raggiunti mi fermai a riposare.
E fu allora che sentì un profumo sconosciuto poi notai un essere nato da non molto sulla Terra: la rosa…Stavo per schiacciarla quando ella mi disse: “Abbi pietà di me, sono così bella e dolce, respira il mio profumo e mi lascerai vivere.” Il suo profumo inebriante mi fecce addormentare vicino a lei sul prato.
Al mio risveglio ella mi disse “Siamo amici…sei bello quando pieghi le ali e ti amo. Resta qui o portami con te.”
Misi il fiore sul mio petto e presi il volo…
Entrai nel palazzo fra le nuvole dove mi aspettava mio padre. “Che vuoi e perchè hai lasciato in piedi quella foresta?”
Allora gli mostrai la rosa dicendo: “Ecco un tesoro che voglio salvare”.
Rosso di rabbia mi portò via il fiore che ridusse in polvere, poi mi fecce girare e strappò via le mie ali.
“Miserabile bambino! Non sei più mio figlio. Vai sulla Terra a raggiungere lo spirito della vita! Vediamo se saprà fare di te qualcosa visto che per me sei niente e nessuno.”
Caddi nel vuoto poi rotolai da dove ero partito e mi ritrovai vicino alla rosa sempre bella e profumata.
“Miracolo, ti credevo morta! Sei forse risorta?”
“Si, nel mondo dello spirito della vita tutto risorge…..Vedi questi boccioli? Sono le rose del futuro! Resta con noi, sarai nostro compagno e amico…”
Ero tanto triste e umiliato. Ero ormai legato a questa Terra che le mie lacrime bagnavano.
Lo Spirito della Vita senti il mio pianto e si fece vedere con le sembianze di un angelo radioso.
“Hai conosciuto la pietà, hai avuto pietà per la rosa e io ho compassione per te. Tuo padre è potente, ma io sono più potente di lui. Lui distrugge, io creo!”
Mi toccò e io mi trasformai in un bel bambino con il colorito delle rose, poi ricevetti delle ali come quelle delle farfalle.
“ Resta con i fiori” mi disse. “Sarai al riparo nella foresta. Poi quando avrò placato la furia degli elementi potrai percorrere la Terra e sarai benedetto dagli uomini e cantato dai poeti. E tu dolce rosa che per prima hai saputo disarmare la furia con la bellezza, sarai il simbolo della riconciliazione fra le forze contrapposte della natura.”
Da allora vivo in pace e armonia e sono benvoluto da tutti….
Zephiro si mise a ballare con le roselline al suono di una musica celestiale.
Quando raccontai al professore quello che avevo sentito, disse che ero malata e che dovevo prendere una purga.
Meno male che la nonna non la pensava così e disse al professore che era da compatire visto che non aveva mai sentito parlare le rose. Sentire il parlare dei fiori e una qualità dell’infanzia.

NON BISOGNA CONFONDERE CERTE QUALITA’ CON LE MALATTIE!



Resposta  Mensagem 10 de 10 no assunto 
De: Nando1 Enviado: 11/06/2011 06:34
Una montagna di rose
 
Il trionfo del colore - S.Giacomo Po - Mantova

C'era una volta un re che abitava su una montagna dove migliaia di rose di tutti i colori crescevano rigogliose per tutto l'anno.
 In quel Regno uomini, donne e bambini vivevano in pace tra loro e con i paesi confinanti.
 Un giorno arrivarono nel Regno delle rose dei messaggeri che portavano cattive notizie: il re di un paese lontano aveva cominciato un lungo e terribile viaggio con i suoi eserciti, alla conquista di tutti i regni che incontrava sul suo cammnino.
Gli uomini del re conquistatore proposero al re delle rose di arrendersi. "Mai, rispose lui, il mio regno dovrà restare libero da ogni schiavitù o imperialismo". Purtroppo pochi giorni dopo arrivarono i cavalieri stranieri che iniziarono a distruggere i roseti e le case che incontravano sulla via per la fortezza.
Il re che voleva difendere il suo regno, fu fatto prigioniero e portato in un paese lontano, ma riuscito a fuggire, tornò al suo regno.
Sulla strada del ritorno, da lontano, riusciva a vedere la montagna, ma niente altro, infatti il re conquistatore aveva distrutto tutte le piante delle rose.
 Ci fu una grande battaglia e il re del regno delle rose sconfisse l'usurpatore e decise che avrebbe ricostruito tutto come era prima.
Ora che aveva sconfitto il potente re nemico e aveva scatenato contro di lui i popoli conquistati, non rimaneva che ricominciare.
Il re ripenso' allo splendore del suo giardino di rose sotto il sole e comprese che cosa aveva attirato gli stranieri nel suo regno: erano state la serenita' e la gioia di un paese bello e semplice come un fiore.
Così invece di arrendersi al grigio di una natura nascosta, il re volle accrescere l'abbondanza di colori e di vita del suo giardino.
 All'arrivo della bella stagione, la montagna era tornata la patria della felicita'. Ormai i roseti arrivavano fino ai piedi dell'altura, non si fermavano come prima della guerra, intorno al castello.
E da allora in poi, quella montagna, venne chiamata la "Montagna di rose" da tutti i popoli confinanti.



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