Il giovane Atahualpa,azzurro stame,
albero insigne, udì che il vento
portava rumori d’acciaio.
Veniva un confuso
sfolgorio e tremore dalla costa,
un galoppo incredibile
-impennate e potenza-
di ferro e ferro tra le erbe.
Arrivarono i dignitari.
L’Inca uscì dalla fanfara
circondato dai signori.
Gli ospiti
dell’altro pianeta, sudati e barbuti,
facevano la riverenza.
Il cappellano
Valverde, cuore infido e, lurido sciacallo,
presenta uno strano oggetto, un pezzo
di canestro, forse un frutto di quel pianeta
di dove vengono i cavalli.
Atahualpa lo prende. Non sa
di che si tratti:non brilla,non suona,
e lo lascia cadere sorridendo.
“Morte,
vendetta, ammazzate, che io vi assolvo”
grida lo sciacallo dalla croce assassina.
Il tuono viene in aiuto ai banditi.
Il nostro sangue nella sua culla è versato.
I principi circondano come un coro
l’Inca, al momento dell’agonia.
Diecimila peruviani cadono
sotto le croci e le spade, il sangue
bagna i vestimenti di Atahualpa.
Pizarro, il crudele porco
d’ Estremadura, fa incatenare le delicate braccia
dell’Inca. E la notte è discesa
sopra il Perù come una nera brace.
Più tardi sollevò la stanca
mano il monarca, e al di sopra
delle teste dei banditi,
toccò le pareti.
E là tracciarono
la linea rossa.
Tre stanze
bisognava riempire d’oro e d’argento,
fino a quella linea del suo sangue.
Notti e notti girò la ruota dell’oro.
Giorno e notte la ruota del martirio.
Rasparono la terra, staccarono
le gemme fatte con amore e spuma,
strapparono il braccialetto alla sposa,
disertarono i loro dei.
Il villano diede la sua medaglia,
il pescatore la sua goccia d’oro,
e i vomeri tremavano nell’eco
dei messaggi e delle voci su monti
mentre la ruota dell’oro girava.
Allora tigre e tigre si riunirono
e si spartirono il sangue ed il pianto
Atahualpa attendeva, lievemente
triste nello scosceso giorno andino.
Non si dischiusero le porte. Fino all’ultima
gemma si spartirono gli avvoltoi:
i turchesi rituali, il vestito
laminato in argento: le unghie brigantesche
facevano i calcoli, e la risata
del frate, tra i carnefici,
era udita dal Re con gran tristezza.
Maturo si sentiva dentro, e la sua pace
disperata era tristezza. Pensò a Huascar.
Erano forse chiamati da lui gli stranieri?
Tutto era enigma, tutto era coltello,
tutto era deserto, solo la linea rossa
vivente palpitava
e ingoiava le viscere gialle
del regno ammutolito che periva.
Entrò allora Valverde con la Morte.
“Ti chiamerai Juan” gli disse,
mentre prepararono il rogo.
E grave gli rispose “Juan,
Juan mi chiamo, per morire”
senza capire ormai neppur la morte.
Lo legarono per il collo, e un uncino
si conficcò nell’anima del Perù.
Pablo Neruda