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De: Iris-Blu (Mensaje original) |
Enviado: 26/01/2012 10:55 |
Nella conca di Prêz si possono rilevare le tracce di un antichissimo lago, la cui memoria si perde nel tempo. Neppure i più vecchi lo videro con i loro occhi; ma, per sentito dire, raccontavano che, nei tempi dei tempi, sulle rive ridenti d’erbe e fiori viveva in una grotta una fata. Con la gente non era né buona né cattiva; ma si prendeva cura del lago, così le acque, sempre limpide e pure, donavano piacevole frescura ai boschi circostanti e, defluendo, irrigavano i campi e i prati, che erano verdi e rigogliosi.
Della fata i montanari conoscevano soltanto la voce, perché, quando era felice, cantava, ed il suo canto dolcissimo si spandeva per tutta la vallata. Si diceva che fosse assai bella, ma nessuno l’aveva mai accertato coi suoi occhi, poiché la fata non voleva esser vista ed evitava la presenza umana, spesso trasformandosi in serpe, per nascondersi meglio.
Un giorno due pastorelli, che sedevano tranquilli al riparo di una roccia, udirono levarsi un canto a non molta distanza da loro. "È una donna che canta", disse il maggiore. "Ma non conosco nessuna donna che sappia cantare così" La voce s'avvicinava. I ragazzi rimasero immobili in ascolto, trattenendo persino il respiro. Quando la melodia si spense, nessuno dei due si azzardava a parlare, per timore d rompere l'incanto. Ed ecco che la fata sbucò da un cespuglio, avvolta come in manto dai lunghi capelli dorati. I pastorelli non avevano mai visto una creatura di tanta bellezza, né chioma così lucente, né occhi simili a quelli, del colore del cielo specchiato nell'acqua. "È la fata del lago!", bisbigliò il più piccino. "Ssssst!" lo zittì l'altro, timoroso di spaventarla.
Troppo tardi: la fata si era accorta della loro presenza. Si coprì anche il volto con i biondi capelli e fuggì verso il lago, così rapida e leggera che l'erba non si piegava neppure sotto i suoi passi. Seguendo il suo primo impulso, i pastorelli la inseguirono; ma la persero in breve di vista e, giunti sulla riva, si fermarono, per cercare una traccia che non poterono trovare. A un tratto, sull’altra sponda del lago, scorsero una grossa serpe dalle squame d'oro che brillavano al sole. Non sapevano che ci fossero serpenti così grandi: fuggirono spaventati, rinunciando a cercare la fata. Per giorni e giorni non si sentì più cantare in riva al lago. Ma spesso chi si trovava a passare di lì avvistava la serpe, che tosto si sottraeva agli sguardi con guizzo repentino.
Un giorno un cacciatore di Fontainemore la sorprese mentre si sporgeva da una pietra sull'acqua per contemplarvisi, come in uno specchio. Era lì, immobile, senza alcun sospetto, distesa sulla roccia, con le sue scaglie dai bagliori d'oro. L'uomo imbracciò il fucile e sparò un colpo. Colpita a morte, la serpe si lasciò scivolare nel lago. In breve le onde ribollirono di sangue. Poi, lentamente, il livello dell’acqua calò. I flutti presero a defluire nel torrente Pacolla, e di lì si riversarono nel Lys, tingendolo di rosso. Con la fata serpe morì anche il suo lago. Sorgenti fino allora abbondanti si inaridirono all'improvviso. La conca di Prêz si prosciugò e tutto, attorno, intristì poco a poco. Sulle rive scomparve ogni traccia di vegetazione; lungo il declivio, non più irrigato, il suolo si fece arido e brullo.
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De: Marika |
Enviado: 26/01/2012 16:11 |
Bella favola, anche se un po´ triste nel finale...
Mi ha fatto pensare a un'altra fiaba dallo stesso titolo:
LA FATA DEL LAGO
Una volta, ma tanto tempo fa, un pastore sorvegliava le sue pecore sulla costa di una montagna bella nebbiosa terra del Galles settentrionale. Quel giorno il cielo era oscuro e le nuvole sovrastavano le montagne, nascondendo la vetta dell’alto monte di Snowdon. Le acque del lago sottostante, di solito mosse e lucenti, immobili e fredde, erano color del piombo. Improvvisamente, mentre il pastore sollevava lo sguardo verso le colline più vicine che salivano dolcemente, gli parve che il sole fosse spuntato illuminando la prima parte della vallata, perché le nuvole grigie avevano assunto un aspetto rosa pallido sopra al lago. Ma quando rivolse lo sguardo verso l’acqua, si accorse che la luce veniva da un’isoletta prossima alla riva, non troppo lontana da dove si trovava egli stesso appoggiato al suo bastone. La luce non veniva proprio dall’isola, ma da una fanciulla che stava in piedi su di essa, pettinandosi i capelli dorati. Era la più bella fanciulla c’egli avesse mai visto o che si fosse mai sognato di vedere. Il cuore del pastore fu subito pieno d’amore, dal momento in cui i suoi occhi si posarono su di lei. A bocca aperta, senza osar neppure di respirare, si avvicinò lentamente alla riva, finché non li separò una stretta lingua d’acqua. La fanciulla allora lo scorse e, sorridendo dolcemente, gli si avvicinò e gli tese le mani. Senza nemmeno pensare a quel che faceva il pastore tolse dalla bisaccia il formaggio e il pane ben cotto che sua madre gli aveva dato per mangiare e glielo offrì. Scivolando sull’acqua come se camminasse sulla terraferma, la fanciulla gli venne accanto, ma quando vide quello che egli aveva in mano, cantò:
Un pan troppo crudo mi dai da mangiare! se non cambi offerta, amor mio non sperare
Poi, mentre egli le tendeva le braccia, scosse la testa e svanì nel lago. Quella sera, tornato a casa, il giovane pastore narrò a sua madre quanto gli era accaduto e alla fine del suo racconto disse: - Non posso vivere senza di lei. Non mi importa più nulla della vita se non riesco ad avere in moglie la fata del lago. Il giorno dopo, siccome alla fata non era piaciuto il pane biscottato, la madre del pastore gli dette, insieme al formaggio, un pane morbido e ben lievitato ed egli si affrettò a ritornare presso il lago. La bella fanciulla ritornò ancora una volta verso di lui scivolando sulle acque, mentre egli le porgeva il pane il pane ed il formaggio, e la chiamava dolcemente. Ma quando gli fu accanto e vide quel che aveva in mano, cantò:
Un pane mal cotto mi dai da mangiare se non cambi offerta, amor mio non sperare!
Poi nonostante ch’egli le tendesse le braccia, scosse la testa e svanì nel lago. Tornato a casa, il giovane pastore raccontò nuovamente a sua madre quanto gli era accaduto e terminò così: - Non posso vivere senza di lei. Non mi importa nulla della vita, se non riesco ad avere per moglie la fata del lago. A queste parole, sua madre si mise subito al lavoro e cosse per lui un pane speciale: questa volta non troppo cotto né troppo morbido, ma proprio al punto giusto: aveva una crosta croccante ed era ben lievitato, e all’interno era soffice e odoroso. La mattina dopo il giovane pastore si recò ancora una volta al lago e rimase alla riva tutto il giorno, appoggiandosi al bastone e guardando ansiosamente verso l’isoletta. Ma non apparve nessuna fata e le nuvole calarono sempre più oscure fino a quando il lago non divenne di nuovo grigio come il piombo . Mentre stava per andarsene tutto disperato, scorse due o tre mucche scure che sembravano camminare sull’acqua; dietro a loro veniva la bella fanciulla. Il pastore si affrettò di nuovo verso la riva ed entrò perfino nell’acqua gelida, chiamandola per porle il pane ed il formaggio. La fata si avvicinò al suo grido e, quando ebbe preso il pane ed il formaggio e l’ebbe assaggiato, cantò:
- Il pane è ben cotto e lo posso mangiare ! - Tu puoi questa volta l’amor mio sperare !
Il pastore le tese la mano e le disse quanto l’amava e che sarebbe morto se non l’avesse potuta sposare. La fata gli prese la mano e lasciò che la guidasse a riva. Con voce dolce, gli rispose così: - Anch’io ti amo e sarò tua moglie … una buona moglie, come può essere qualunque fanciulla umana, ma ad una condizione: mi perderai per sempre, se mi percuoterai tre volte. Al terzo colpo, infatti, dovrò tornare volente o nolente, al palazzo di mio padre che è posto sotto le acque del lago. Naturalmente il pastore promise di non colpirla mai ed essa lo seguì sulla terra ferma. Ma quando fu in cima alla collina, si volse e cantò così:
Giovenca brizzolata, di bianco picchiettata giovenca a grandi toppe e tutta maculata; e voi, mie quattro mucche, pomellate di rosso, tu che sei vecchia e bianca, e stronfi a più non posso, e tu giovenca grigia, e tu giovenca nera, insieme al toro bianco, seguitemi stasera
Mentre cantava così, una mandria di giovenche uscì dal lago e la seguì. seguitò a cantare e la seguirono anche quattro buoi grigi, pronti a tirare l’aratro ed un gregge di pecore dal mantello folto e lucente. Il pastore si portò a casa la fata del lago con la sua dote, si sposarono, vissero felicemente ed ebbero tre figli. Ma dopo la nascita del terzo, nel giorno fissato per il battesimo, accadde che il pastore dicesse alla moglie fata: - La chiesa è troppo lontana per arrivarci a piedi coi bambini, vai a prendere i cavalli così arriveremo più in fretta e senza fatica. – La moglie rispose: - Si certo; nel frattempo, per favore, vai a casa a prendermi i guanti. Il pastore assentì e quando ritornò vide che la moglie non era ancora andata a prendere i cavalli. Allora le batté leggermente i guanti sulla spalla e le disse: - Disobbediente ! Vai presto a prendere i cavalli come ti ho detto ! – La donna lo guardò in modo strano e mormorò: - … questa è la prima volta ! – Poi andò a prendere i cavalli. Gli anni passavano ed il pastore e sua moglie vivevano felicemente. Nel Galles del Nord nessuno, prima di allora, aveva gustato latte e burro così buono come quello delle mucche fatate; nessun campo era coltivato così bene come quello arato dai buoi fatati ed in nessun altro posto si poteva trovare una lana fine come quella che cresceva addosso alle pecore fatate. Ma un giorno, si celebrarono le nozze della figlia di un gran signore, padrone di un castello situato nel bordo del lago, con il vecchio proprietario di un castello posto sulle montagne. La moglie del pastore, che era presente alla cerimonia, scoppiò improvvisamente a piangere, nonostante la gioia e l’allegria che regnavano intorno a lei. Il marito la batté aspramente sulla spalla, sussurrandole: - Attenta a non offendere i nostri ospiti ! Perché mai piangi ad un matrimonio ? – Essa rispose: - Perché a quella coppia di sposi si sta preparando un triste futuro … ed anche per noi si prepara una disgrazia, perché questa è la seconda volta che mi batti senza ragione. Sta’ attento, sta’ molto attento, perché il prossimo colpo sarà l’ultimo. Gli anni passarono ed il pastore cominciò a farsi vecchio, mentre i tre figli erano ormai adulti e studiavano la scienza medica. Avvenne allora che morisse il gran signore proprietario di tutte le terre di quei paraggi e il pastore e sua moglie andarono al suo funerale. Mentre tutti piangevano, ad un tratto la fata si mise a ridere e le sue risate risuonarono fresche ed argentine. Essa non era invecchiata, ma era rimasta sempre la fanciulla bella e allegra che, un giorno lontano, era arrivata scivolando sulle acque del lago. Stupito e vergognoso, il pastore la scosse per le spalle e le chiuse la bocca con la mano esclamando: - Ti pare questo il modo di ridere ? – Essa rispose: - Ridevo, perché quest’uomo che è morto si è lasciato alle spalle tutti i suoi guai. Ma ahimè, i tuoi guai devono ancora cominciare ! Mi hai colpito per la terza ed ultima volta e devo lasciarti. Dal Lago mi chiamano ed io Devo Andare. Così dicendo uscì dalla chiesa ed attraversò la campagna diretta verso il lago. Mentre se ne andava, cantava così:
Giovenca brizzolata, di bianco picchiettata giovenca a grandi toppe e tutta maculata; e voi, mie quattro mucche, pomellate di rosso, tu che sei vecchia e bianca, e stronfi a più non posso, e tu giovenca grigia, e tu giovenca nera, insieme al toro bianco, seguitemi stasera
Le mucche che erano nella stalla si precipitarono fuori, anche se molte di esse, ch erano strettamente legate, dovettero tirarsi dietro la mangiatoia. Mentre la fata seguitava a cantare la seguirono anche i buoi, ancora aggiogati all’aratro e le pecore che si trascinavano dietro gli agnellini belanti. Tutte le bestie seguirono la fata oltre la collina fin dentro le acque del lago, e nessuno la vide mai più, ma ancor oggi resta sulla collina il segno dell’aratro tirato dai buoi fatati che avevano lasciato il lago per seguire la fata sulla terra. Il vecchio pastore pianse amaramente la perdita della sposa, ma i figli lo consolarono dicendo: - Non essere triste, padre caro. Essa veglia certamente su di noi e forse un giorno ritornerà. Così, ogni notte, anche quando il padre fu morto, i tre figli solevano andarsene presso le acque scure del lago per chiamare la madre. Una notte di luna piena esse venne da loro, sempre giovane e bella come il pastore l’aveva vista. Salutandoli teneramente, disse loro che li amava ancora come prima e che li avrebbe aiutati se si fossero trovati nei guai; poi aggiunse sorridendo: - Vi ho portato queste erbe magiche, con le quali diverrete i più grandi dottori di tutto il Galles. Eccovi un’erba per curare le malattie degli occhi, eccone una per curare le febbri ed eccone una terza per far rimarginare le ferite. Piantatele e coltivatele con cura; grazie ad esse la vostra fama si diffonderà ovunque e sarete onorati e rispettati. Poi li salutò, ritornò nel lago e tutto avvenne come ella aveva predetto. Le piante crebbero e vennero usate dai figli, dai nipoti e dai pronipoti, e tutti gli abitanti di quel territorio benedissero con ragione il nome della Fata del lago. Dal web
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De: Marika |
Enviado: 26/01/2012 16:16 |
Non smettere mai di sognare,
perché in un sogno spesso
si nascondono i veri valori della vita...
Buon Pomeriggio
a tutti
Marika
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De: Romano |
Enviado: 27/01/2012 11:46 |
romy |
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De: Ver@ |
Enviado: 28/01/2012 06:15 |
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