Nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e da don Pietro Manzoni, figlio di
Alessandro Valeriano, pronipote di un ricchissimo mercante - imprenditore
lecchese, Giacomo Maria Manzoni, e di Margherita di
Fermo Porro.
I suoi primi due anni di vita li trascorre nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina
Panzeri. Questo fatto è attestato dalla targa tuttora affissa nella cascina. In
seguito alla separazione dei genitori (la madre dal 1793 convive con il colto e
ricco Carlo Imbonati,
prima in Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Alessandro Manzoni viene
educato in collegi religiosi; dal 1796 al 1798 presso il collegio Sant'Antonio
dei padri Somaschi a Merate e Lugano
(ebbe come insegnante Francesco Soave), poi presso i Barnabiti. Pur essendo
insofferente di tale pedantesca educazione, della quale denunciò i limiti anche
disciplinari, e pur venendo giudicato uno studente svogliato, da tali studi gli
deriva una buona formazione classica e il gusto per la letteratura. Nel 1799
sviluppa una sincera passione per la poesia e scrive due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegna a
trarre dall'osservazione del reale conclusioni rigorose e universali.
Il giovane Manzoni dal 1801 al 1805 vive con l'anziano padre, don Pietro,
dedica buona parte del suo tempo alle ragazze e al gioco d'azzardo e ha modo
anche di frequentare l'ambiente illuministico dell'aristocrazia e dell'alta
borghesia milanese. Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispira le prime
esperienze poetiche, modulate sull'opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento.
Ma, oltre questi, Manzoni si volge a Giuseppe Parini, portavoce degli ideali illuministici nonché
dell'esigenza di moralizzazione, e a Francesco Lomonaco, un esule napoletano. A
questo periodo si devono Il trionfo della libertà, Adda, I
quattro sermoni che recano l'impronta di Monti e di Parini, ma anche l'eco
di Virgilio e di Orazio. Il
metodo di scrittura e di poetare manzoniano di questo periodo è molto legato
alla tradizione classica.
Nel 1805 raggiunge la madre nel quartiere di Auteuil a Parigi, dove passa due anni, partecipando al circolo
letterario dei cosiddetti ideologi, filosofi di scuola ottocentesca, tra i quali si fa
molti amici, in particolare Claude Fauriel (il quale avrà una forte
influenza sulla formazione del Manzoni; infatti Fauriel inculca ad Alessandro un
grande interesse per la storia e gli fa capire che non deve scrivere seguendo
modelli rigidi e fissi nel tempo, ma deve riuscire a esprimere sentimenti che
gli permettano di scrivere in modo più "vero", in maniera da "colpire" il cuore
del lettore) e ha modo di apprendere le teorie volterriane. Alessandro si imbeve della cultura
francese classicheggiante in arte, scettica e sensista in filosofia (i sensi sono alla base della
conoscenza; l'illuminismo è la critica razionale della realtà; lotta al
pregiudizio e alla tradizione derivata dall'autorità; i problemi religiosi non
si basano sull'esperienza, ma sulla superstizione) e assiste all'evoluzione del
razionalismo verso posizioni romantiche.
Nel 1806-1807, mentre si trova ad Auteuil, appare per la prima volta in
pubblico come poeta, con due pezzi, uno intitolato Urania, in quello
stile neoclassico del quale poi lui stesso diventerà il più strenuo avversario;
l'altro, invece, un carme commemorativo in endecasillabi sciolti, sulla morte del conte Carlo Imbonati, dal
quale, attraverso la madre, erediterà un patrimonio considerevole, tra cui la
villa di Brusuglio, diventata da
allora sua principale residenza.
Per mezzo del Fauriel, Manzoni entra in contatto con l'estetica romantica
tedesca prima ancora che Madame de Staël la diffonda in Italia. Nel
1809, dopo la pubblicazione del suo poemetto Urania, Manzoni dichiara che
non scriverà più versi simili, aderendo alla poetica romantica, secondo la quale
la poesia non deve essere destinata a una élite colta e raffinata, bensì deve
essere di interesse generale e interpretare le aspirazioni e le idee dei
lettori. Manzoni è ormai sulla via del realismo romantico; tuttavia non
accetterà mai la convinzione propria sia del romanticismo sia dell'amico Fauriel, che la poesia
debba essere espressione ingenua dell'anima e quindi non rinuncerà mai al
dominio intellettuale del sentimento e a una controllata espressione formale,
caratteristica del romanticismo italiano.
Monumento ad Alessandro Manzoni a Lecco. Sullo sfondo il monte Resegone.
Nel 1811, già anticlericale per reazione
all'educazione ricevuta e indifferente, più che agnostico o ateo, riguardo al
problema religioso, Manzoni si riavvicina alla Chiesa. Nel 1808, a Milano, lo
scrittore aveva sposato la calvinista Enrichetta Blondel (1791-1833), figlia di un
banchiere ginevrino; il matrimonio si rivelò felice, coronato dalla nascita di
10 figli. Tornato a Parigi la frequentazione con il sacerdote Eustachio Degola,
genovese, giansenista (che da
Sant'Agostino deriva
l'interpretazione assolutistica del problema della predestinazione, della grazia
e del libero arbitrio), porta i due coniugi l'una all'abiura del calvinismo e
l'altro a un riavvicinamento alla pratica religiosa cattolica (1810)[1].
Tale riconciliazione con il cattolicesimo è per lo scrittore il risultato di
lunghe meditazioni; il suo atteggiamento, pur nella sua stretta ortodossia (cioè
nell'esigenza di attenersi rigorosamente ai dettami della Chiesa), ha coloriture
gianseniste che lo portano alla severa interpretazione della religione e della
morale cattoliche. La riscoperta della fede fu per Manzoni la conseguenza logica
e diretta del dissolversi, nei primi anni dell'800, del mito della ragione,
concepita come perennemente valida e certa fonte di giudizio, donde la necessità
di individuare un nuovo sicuro fondamento della moralità. Persa, quindi, la
speranza di raggiungere la serenità per mezzo della ragione, la vita e la storia
gli parvero romanticamente immerse in un vano, doloroso, inspiegabile disordine:
per non abbandonarsi alla disperazione bisognava trovare un fine ultraterreno.
Nel Manzoni, quindi, l'irrequietezza esistenziale si compone nella fede fervente
conciliandola con la fermezza intellettuale.
La sua energia intellettuale nel tempo immediatamente successivo alla
conversione fu impegnata nella composizione di cinque Inni Sacri: La Resurrezione, Il nome di
Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste, ovvero
una serie di liriche sulle principali festività liturgiche. Si dedicò inoltre a
un trattato, Osservazioni sulla morale cattolica, intrapreso sotto la
guida religiosa di monsignor Luigi
Tosi (cui il Degola aveva affidato la guida spirituale della famiglia
Manzoni al loro ritorno in Italia) in riparazione alla sua iniziale lontananza
dalla fede.
Importante nella evoluzione spirituale di Manzoni fu anche Antonio Rosmini, con
cui strinse una profonda amicizia. Rosmini, sul letto di morte, avrà proprio il
conforto di Manzoni, a cui lascerà questo testamento spirituale: Adorare, Tacere
e Godere.
Nel 1818 mise in vendita tutti i suoi possedimenti lecchesi, tra cui la villa
di famiglia del Caleotto dove aveva
trascorso tutta l'infanzia e l'adolescenza. Intendeva trasferirsi
definitivamente in Francia e aveva messo in vendita anche la casa di via Morone
a Milano, ma dovette aspettare un anno poiché le autorità austriache gli
negarono il passaporto.
Nel settembre del 1819 Manzoni partì per Parigi, dove fu ospite per più d'un
mese di Sophie de Condorcet. Insieme a lui undici persone: i genitori, cinque
figli, nonna Giulia e tre domestici. Nella capitale francese il Manzoni
frequenta lo storico Augustin Thierry (1795-1856) e il filosofo Victor Cousin (1792-1867),
che tornerà con lui in Italia e sarà ospite a Brusuglio e a Milano.
Nel 1819 Manzoni pubblicò la sua prima tragedia, Il Conte di
Carmagnola, che generò una viva controversia perché violava
coraggiosamente tutte le convenzioni classiche. Un articolo pubblicato su
un'importante rivista letteraria lo criticò severamente; dall'altro lato fu
addirittura Goethe a replicare in sua difesa,
insieme al meno famoso critico ligure Trincheri da Pieve.
La morte di Napoleone nel 1821 ispirò a Manzoni il noto componimento lirico Il cinque maggio.
Gli eventi politici di quell'anno, uniti alla carcerazione di molti suoi amici,
pesarono molto sulla mente di Manzoni e il suo lavoro di quel periodo fu
ispirato soprattutto dagli studi storici, nei quali cercò distrazione dopo
essersi ritirato a Brusuglio.
Intanto, con l'episodio dell'Innominato, storicamente identificabile come Francesco Bernardino Visconti (ma
di recente critici come Enzo Raimondi[2] vedono nel Manzoni stesso la fonte letteraria
del personaggio), iniziò a prendere forma il romanzo Fermo e Lucia, la
versione originale de I promessi sposi, ambientato nei luoghi
lecchesi della sua infanzia, che fu completato nel settembre 1822. Dopo la revisione da parte di amici tra il 1823 e il 1827, esso fu pubblicato, un volume per anno, portando a
un tratto grande fama letteraria all'autore.
Sempre nel 1822, Manzoni pubblicò la sua
seconda tragedia, Adelchi, che
tratta del rovesciamento da parte di Carlo Magno della dominazione longobarda in Italia
e che contiene molte velate allusioni all'occupazione austriaca; in particolare la figura di Ermengarda
ricorda quella dell'amica d'infanzia Teresa Casati in Confalonieri, per la quale nel
1830 comporrà l'epitaffio tombale presso lo
storico Mausoleo Casati Stampa di
Soncino in Muggiò (Milano).
In seguito Manzoni, per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello
formale e stilistico, si trasferì a Firenze nel 1827,
in modo da entrare in contatto e "vivere" la lingua fiorentina delle persone
colte, che rappresentava per l'autore l'unica lingua dell'Italia unita. L'11 dicembre 1827 fu eletto socio dell'Accademia
della Crusca[3]. Rielaborò I promessi sposi dopo la "risciacquatura
in Arno"[4] facendo uso dell'italiano nella forma
fiorentina colta e nel 1840 pubblicò questa
riscrittura. Con ciò assumeva che quella era la prima vera opera frutto totale
della lingua
italiana. Dette alle stampe anche la Storia della colonna infame, un
saggio che riprende e sviluppa il tema degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo, del
quale inizialmente costituiva un excursus storico.
Sul piano privato, la perdita della moglie nel 1833 fu seguita da quella di molti dei figli,
tra cui la primogenita Giulia, già moglie di Massimo
D'Azeglio, della madre (1841) e dell'amico Fauriel (1844). Il 2 gennaio 1837 sposò Teresa Borri (11 novembre 1799 - 23 agosto 1861),
vedova del conte Decio Stampa. Egli sopravvisse anche a quest'ultima. Dei dieci
figli nati dal primo matrimonio solo due morirono successivamente al padre.
Nel 1860 fu nominato senatore del
Regno: con questo incarico votò nel 1864
a favore dello spostamento della capitale da Torino a Firenze fintanto che Roma non fosse stata liberata. Come presidente della
commissione parlamentare sulla lingua scrisse, nel 1868, una breve relazione sulla lingua italiana: Dell'unità
della lingua e dei mezzi di diffonderla.