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De: Butterfy (Mensaje original) |
Enviado: 21/04/2012 15:55 |
Una notte ho fatto un sogno splendido. Vidi una strada lunga, una strada che si snodava dalla terra e saliva su nell'aria, fino a perdersi tra le nuvole, diretta in cielo. Ma non era una strada comoda, anzi era una strada piena di ostacoli, cosparsa di chiodi arrugginiti, pietre taglienti e appuntite, pezzi di vetro. La gente camminava su quella strada a piedi scalzi. I chiodi si conficcavano nella carne, molti avevano i piedi sanguinanti. Le persone però non desistevano: volevano arrivare in cielo. Ma ogni passo costava sofferenza e il cammino era lento e penoso. Ma poi, nel mio sogno, vidi Gesù ché avanzava. Era anche lui a piedi scalzi. Camminava lentamente, ma in modo risoluto. E neppure una volta si ferì i piedi. Gesù saliva e saliva. Finalmente giunse al cielo e là si sedette su un grande trono dorato. Guardava in giù, verso quelli che si sforzavano di salire. Con lo sguardo e i gesti li incoraggiava. Subito dopo di lui, avanzava Maria, la sua mamma. Maria camminava ancora più veloce di Gesù. Sapete perché? Metteva i suoi piedi nelle impronte lasciate da Gesù. Così arrivò presto accanto a suo Figlio, che la fece sedere su una grande poltrona alla sua destra. Anche Maria si mise ad incoraggiare quelli che stavano salendo e invitava anche loro a camminare nelle orme lasciate da Gesù, come aveva fatto lei. Gli uomini più saggi facevano proprio così e procedevano spediti verso il cielo. Gli altri si lamentavano per le ferite, si fermavano spesso, qualche volta desistevano del tutto e si accasciavano sul bordo della strada sopraffatti dalla tristezza.
Una mattina un professore di cardiologia condusse gli alunni al laboratorio di anatomia umana dell'Università. Stavano osservando alcuni organi, quando notarono un cuore smisuratamente grande. Il professore chiese ai ragazzi se sapevano dire a chi fosse appartenuto, intendendo quale malattia avesse causato la morte di quella persona. "Io lo so" disse un ragazzo, in tono molto serio.
"Era il cuore di una madre"
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Sogno Fantasia e Utopia
Quando la mano dei Sogni, intingerà la penna della Fantasia nell’inchiostro dell’Utopia,
sulla carta ingiallita della vita,
avrai tracciato i confini della tua prigione per renderne cosciente la ragione.
Il tuo occhio addormentato, quel confine avrà varcato, e ritrovandosi cullato in un prato ricorderà e dirà tutto di un fiato:
E’ qui che sono nato!!!
La Fantasia non è malattia, il Sogno non è disperato bisogno, l’Utopia non è follia, è l’Anima che si traveste per risvegliar le Teste.
La Ragione non riconosce la sua Prigione per questo del suo mal è cagione.
Il Sogno, la Fantasia e l’Utopia vogliono solo mostrarle la via.
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"I have a dream"
(di
Martin Luter King)
Sono felice di unirmi a voi in questa
che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella
storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci
leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto
venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano
stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a
porre termine alla lunga notte della cattività.
Ma cento anni dopo, il
negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo
paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione;
cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un
vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai
margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa
terra.
Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra
condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese
per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le
sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono
un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò"
permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero
goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento
della felicità.
E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo
"pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare
questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo;
un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci
rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle
opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo
assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e
della garanzia di giustizia.
Siamo anche venuti in questo santuario per
ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il
momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si
trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le
promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata
valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il
momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia
razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera
la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non
valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della
legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto
un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.
Il 1963 non è una fine,
ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un
poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio,
se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.
Non ci
sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno
concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a
scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il
giorno luminoso della giustizia.
Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia
gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della
giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo
macchiarci di azioni ingiuste.
Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete
di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre
condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non
dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica.
Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza
fisica con la forza dell’anima.
Questa meravigliosa nuova militanza che
ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in
tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova
la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col
nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente
legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta
tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un
esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.
E mentre
avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo
tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti
civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il
negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla
polizia.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi,
stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle
strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli
spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un
ghetto più grande.
Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri
figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai
bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non
potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui
votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia
non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.
Non ha
dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni.
Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere.
Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato
percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della
brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa.
Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è
redentrice.
Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate
nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai
vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo
questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella
valle della disperazione.
E perciò, amici miei, vi dico che, anche se
dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me
un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un
giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle
sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono
creati uguali.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle
rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i
figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al
tavolo della fratellanza.
Io ho davanti a me un sogno, che un
giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza
dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in
un’oasi di libertà e giustizia.
Io ho davanti a me un sogno, che i
miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non
saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro
carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.
Io ho davanti a me
un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni
montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi
tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere
viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede
con la quale io mi avvio verso il Sud.
Con questa fede saremo in grado di
strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa
fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione
in una bellissima sinfonia di fratellanza.
Con questa fede saremo in
grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare
insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno
saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno
cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te
io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da
ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una
grande nazione possa questo accadere.
Risuoni quindi la libertà dalle
poderose montagne dello stato di New York.
Risuoni la libertà negli alti
Allegheny della Pennsylvania.
Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose
del Colorado, imbiancate di neve.
Risuoni la libertà dai dolci pendii
della California.
Ma non soltanto.
Risuoni la libertà dalla Stone
Mountain della Georgia.
Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del
Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi.
Da ogni pendice risuoni la libertà.
E quando lasciamo risuonare la
libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo,
da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i
figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno
unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi
finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi
finalmente".
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