Bisogna combattere il vittimismo a tutti i costi
Tutti abbiamo subito dei torti, delle mancanze, delle privazioni. Non siamo stati amati abbastanza, siamo stati traditi, abbandonati, feriti.
Il ricordo di questi eventi è acuto, quando l’evento è temporalmente vicino; sfumato – ma non per questo meno condizionante – quando invece l’evento si perde nelle pieghe della memoria
. Tuttavia, se rimaniamo aggrappati – consciamente o inconsciamente – alle ferite del passato, alle inevitabili mancanze degli altri, agli errori e ai torti subiti, non possiamo far altro che distruggere la nostra vita.
Il vittimismo è una forma molto celata e subdola di distruttività.
Non è sempre così evidente ed esplicito: anzi spesso è socialmente tollerato e pericolosamente sottovalutato.
Lo confondiamo con il nostro legittimo diritto a lamentarci per il torto realmente subito.
Con il tempo però, esso si insinua sottilmente nei progetti della nostra vita e sibila pensieri del tipo “tanto non sono capace … è troppo difficile … è troppo impegnativo … non sono all’altezza, … non ce la faccio, ecc.”. Se vi è capitato di avere questo tipo di pensieri, allora potreste essere inconsciamente ‘portatori’ di vittimismo.
Attenzione: non voglio affermare che nella vita tutto è possibile o che dovremmo essere in grado di realizzare qualsiasi progetto, ma sono convinta che la sfortuna non esiste.
Il destino non è capriccioso come talvolta viene dipinto.
Penso invece che la sorte ci ponga innanzi a delle sfide: quelle giuste per noi in quel determinato momento della nostra vita.
Quello che noi chiamiamo ‘fato’ non è altro che la manifestazione esistenziale della spinta evolutiva insita in ogni essere umano (che alcuni chiamano Sé).
Crescere ed evolversi spiritualmente non sono ‘optional’ riservati a pochi sofistici perditempo, ma sono invece necessità di ogni essere vivente.
Ogni volta che una persona interrompe la propria evoluzione interiore, il Sé comincia ad inviargli messaggi.
Talvolta possono essere messaggi corporei come un disagio o una malattia, altre volte questi messaggi possono giungere dalle persone vicine o anche da eventi esterni.
In ogni caso, la sorte ci pone di fronte a dei crocevia, ci costringe a prendere delle decisioni, ci obbliga a valutare una possibilità piuttosto che un’altra.
Queste decisioni non sempre sono facili, anzi, spesso non lo sono affatto.
La vita non va sempre come noi vorremmo. Scegliere un partner, orientarsi lungo percorso universitario, generare un figlio, cambiare o perdere il lavoro, affrontare un’infermità, assistere impotenti alla scomparsa di una persona cara: sono solo alcuni dei momenti in cui dobbiamo prendere delle decisioni.
Dobbiamo scegliere: affrontare la sfida e riorganizzare - pur dolorosamente - il nostro mondo interiore, oppure piangerci addosso e accusare il destino crudele.
Ognuno di questi eventi rappresenta un’opportunità, anche se si presenta sotto le sembianze di una bomba (soltanto) distruttiva. Ognuno di questi eventi – se accolto, pur nella sua dolorosa devastazione – ci cambia, ci modifica, ci fa crescere.
Nessun uomo rimane uguale a ciò che era prima dopo aver fatto un figlio o dopo aver vissuto un lutto.
Ognuno di questi eventi porta via un pezzo di noi e ci dona una parte di una nuova identità.
Il punto è che a tutti piace l’idea - almeno in teoria - di evolvere spiritualmente, ma poi a nessuno piace il modo con cui il Sé ci propone le sfide della nostra esistenza.
Siamo veloci nel compiacerci se facciamo venti minuti di meditazione trascendentale, ma poi siamo altrettanto rapidi a scagliarci contro un destino crudele ed ingiusto quando ci pone dinanzi ad una nuova prova (soprattutto se riteniamo di non averla deliberatamente scelta).
Ecco allora che il rischio del vittimismo si fa avanti e diventa realistico. La possibilità di crescere interiormente viene confusa con un torto con cui la sorte ci punisce e ci perseguita. Certo, non è facile, quando navighiamo nel dolore o nell’angoscia, scorgere che si tratta di un’opportunità evolutiva.
E non c’è nulla di male se – in un primo momento – il dolore ci piega e ci soffoca.
Ma il vittimismo è una malattia sottile, che si insinua subdolamente con un aspetto tanto innocente da sottovalutarla, da ritenerla erroneamente inoffensiva.
Ed è allora, quando la nostra vigilanza si fa meno attenta, che rischiamo di venire contagiati da questa forma di distruttività, tutt’altro che innocua.