Ricordo il
Natale, da piccola. Candele sulla tavola apparecchiata.
Luci
intermittenti. Buio.
Buio e luci
intermittenti.
Mi pungo con
rami di abete, mentre aiuto la mamma.
E la campagna,
finalmente. Più fredda, disabitata, rispetto al calore dell’appartamento, al
transito della città.
Salgo le
scale, ed ecco il presepe sull’angolo del pianerottolo della nonna.
Il camino
acceso.
I cugini
crescono ogni anno e noto volti cambiati. Voci differenti. Sanno parlare,
ora.
Ascoltano
racconti.
Gli adulti
confrontano il Natale di oggi con quello di ieri.
Ieri, loro
esultavano per un mandarino o una castagna che il papà (il nonno!) faceva
spuntare dal camino, come se il fuoco li partorisse d’un tratto, dal nulla.
Oggi i miei
cugini ed io aspettiamo regali ricchi. Siamo più esigenti.
C’è sempre
qualche parente atteso che non arriva mai.
E qualcuno
inatteso che arriva, invece. Ottima occasione per attingere al forziere di
caramelle e cioccolatini nascosto nella credenza!
Eppure sento
che manca qualcosa, ancora.
C’è allegria
in giro, ma nel mio cuore affiora un pizzico di
nostalgia.
Sto passando
tutta la vita ad attendere qualcosa che manca, ancora.
Oggi, agli
esercizi di Natale, i giovani sono pochi.
C’è sempre
qualche giovane atteso che non arriva mai.
E qualcuno
inatteso che forse arriverà.
Ne immagino la
voce.
Il volto.
Spio lo
schermo del cellulare sperando in una risposta affermativa.
Il suo "no" mi
scende giù, nello stomaco. E si ferma lì, come avessi inghiottito un sasso.
Perché,
Signore?
Sì, i giovani
che tu aspettavi, ci sono già. Ma potrò mai dormire tranquilla se mancano gli
altri?
Mi dici che i
tuoi amici erano pochi. E che al dunque ti hanno abbandonato tutti.
Che anche tu
hai atteso tutta la vita qualcosa che mancava, per una gioia piena,
perfetta.
Finché tutto
si è compiuto e non c’è stato da attendere altro.
Proprio ieri
ricordavo i bambini ai quali ho insegnato in prima e seconda elementare.
Oggi sono
grandi.
Pensavo che
potrebbero esser qui. Questa è stata l’ultima parola che ho detto loro, prima di
salutarli in maniera definitiva.
Li avrei
aspettati al Santuario dell’Amore Misericordioso.
E non solo
io.
Gli uni per
gli altri siamo "segno" non compiuto. Imperfetto.
Siamo l’amico
che ci telefona e quello che non ci telefona mai.
Siamo il
vicino che ci viene a trovare e quello che non si fa sentire.
Siamo il
fratello che ci coccola e quello che ci ignora.
Padre e madre
assenti, o troppo presenti.
Siamo il
giovane che va a Messa tutte le domeniche e il giovane che ci va solo a Natale.
Perfino quello che non ci va più.
Che non c’è mai andato.
Quando
diventeremo "segno bello" della tua venuta, Gesù?
Quando
riusciremo a far dipendere la nostra felicità dagli altri, come hai fatto
tu?
Rischiando di
soffrire per amare, come hai fatto tu?
E voi Tre,
Amante, Amato e Amore, non volevate essere felici da "soli", e avete creato noi,
poveri uomini.
E tu Gesù, dal
grembo del Padre sei sceso nel grembo di una donna e ti sei fatto povero uomo di
carne.
«Nel bambino
Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in
condizione di chiedere il loro – il nostro – amore» (Benedetto XVI).
Eccola, la
chiave, mio Dio!
Ecco il
segreto di un’attesa mai compiuta.
Tu hai bisogno
di noi. Quanto ancora ti faremo aspettare?
Siamo il
parente che non arriva mai. Siamo tuo fratello!
Ma so già che
tu non dirai ai nostri ragazzi che abbiamo bisogno di loro perché sia Natale
anche domani.
Lo lasci dire
a me. A noi.
Mi chiedi di essere segno
imperfetto del tuo bisognoso amore.
Maria, Giovane
eterna,
Vergine e
Madre,
tu che
riconosci la voce del Figlio
anche quando è
solo un piccolo "feto",
umile colomba
che il Padre ha preso
fra le mani,
oh Amica
bellissima,
mostrami il
suo viso incantevole,
affidalo alle
mie braccia
e aiutami a
comprendere che Lui,
proprio
Lui
ha bisogno di
me per imparare a camminare.
Ha bisogno che continui
ad attenderlo.
Più sembra
lontano, perduto
tanto più si
senta amato!
Da me, da noi.
Sua povera famiglia.
Segno
imperfetto della Misericordia sua.
sr. Erika di
Gesù