
Lui, che una dimora non l’aveva, poiché la terra natale
l’aveva perduta molto tempo prima e non aveva
mai imparato ad appartenere a
un altro posto, che cosa avrebbe fatto della sua vita in quella
città aperta, brulicante di stranieri come lui?
Eppure quegli stranieri gli si rivolgevano nella sua stessa lingua e
forse, avevano in mente i suoi stessi pensieri.
Cosa, d’altra parte, avrebbe potuto aspettarsi
dalla città in cui si trovava? Vecchia signora imperiale, austera
e senza più un trono, gli aveva concesso di varcare i suoi
confini senza chiedergli niente in cambio, ma non gli aveva
fatto alcun dono particolare, a parte un’inaspettata amicizia.
E cosa vedeva in lui la donna che considerava amica e che fino
a poco tempo prima era solo un’estranea?
Che cosa rappresentava per lei?
Forse una curiosità, una fonte inesauribile di storie, un esotico trofeo
o un mezzo per dissipare il suo senso di colpa occidentale?
No, diceva a se stesso, era un’amica, una persona che gli aveva
teso la mano, estranea in quella città di estranei e –
per quanto potesse sembrar strano – sola come lo era lui, mossa
non da un sentimento di compassione, o al limite di curiosità,
ma in cerca di un compagno con cui parlare, durante le
lunghe, umide giornate di primavera.
Aamer Hussein * Un altro albero di gulmohar
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