Che cos'è la Pasqua?
La Pasqua, come tutti sappiamo, è una festa ebraica, la cui
origine si perde nella notte dei tempi; dapprima è stata semplicemente una festa
di pastori per l'inizio della nuova stagione, e si celebrava quando si scorgeva
la luna piena per la prima volta dopo il solstizio di primavera. In quella
occasione si soleva sacrificare qualche animale del gregge e in questo senso la
festa ci ricorda le origini nomadiche del popolo ebraico.
Ciò che la rende
però la festa caratteristica degli Ebrei è la celebrazione della liberazione del
popolo dall'Egitto, della liberazione dalla schiavitù del faraone, avvenuta
verso il 1800-1700 a.c. Proprio nel plenilunio che segue il solstizio
primaverile, si faceva memoria dell'evento sacrificando un agnello. Così la
Pasqua diviene il grande momento che ricorda la nascita del nuovo popolo per
l'azione potente di Dio che lo libera. Come tale, questa festa fino a oggi
rimane il grande riferimento religioso e nazionale degli ebrei; non la si
celebra più con i riti antichi, dal momento che il tempio è stato
definitivamente distrutto nel I e poi nel II secolo d.C.; la si celebra con un
pasto, con una cena.
Assume la sua natura di principale festa cristiana
perché nella giornata precedente il plenilunio che segue il solstizio di
primavera, Gesù Cristo, a Gerusalemme, viene ucciso sulla croce e, dopo tre
giorni, nel primo giorno della settimana dopo il sabato, risorge. Quella stessa
data che era e rimane la data della liberazione degli Ebrei dal popolo egiziano,
diviene, per il popolo cristiano, la storia della liberazione dalla morte,
quindi della redenzione. E il mistero cristiano per eccellenza, il nucleo della
fede cristiana. 1600-1700 anni dopo l'esodo, la Pasqua è vissuta dai cristiani
prima nella tragedia della croce e poi nella proclamazione del Risorto: il
Cristo è veramente risorto ed è apparso a Pietro, ai Dodici, è apparso alle
donne. La Pasqua cristiana è la festa delle feste, e cristiano è colui che
afferma: il Signore è veramente risorto.
Il cristianesimo non è,
come talora si pensa, una dottrina morale, per esempio sul primato
dell'amore; non è nemmeno una dottrina su Dio. Esso nasce e si sviluppa da
questa fondamentale proclamazione: Gesù Cristo crocifisso è davvero
risorto.
Se studiamo i testi del Nuovo Testamento, i testi più antichi
scritti nel I secolo della nostra era, ritroviamo tale certezza: il Cristo
crocifisso è risorto, noi l'abbiamo visto, noi l'abbiamo incontrato. Ma se Gesù
è risorto, è perché Dio Padre l'ha risuscitato; se è risorto, è lui che dona lo
Spirito santo all'uomo; dunque Dio è Padre Figlio e Spirito santo. Se Cristo è
risorto, l'uomo è liberato dai propri peccati, e il cristianesimo è redenzione,
liberazione dal peccato. Se Cristo è risorto, lo è per tutti gli
uomini.
Dalla risurrezione di Cristo deriva perciò tutto il resto del
messaggio cristiano; senza la risurrezione, il messaggio sarebbe semplicemente
una dottrina religiosa, non sarebbe ciò che è, un evento, un fatto che comporta
una concezione di Dio e dell'uomo, di Dio Trinità e dell'uomo amato e redento e
chiamato alla vita per sempre.
Il Natale, che nel mondo occidentale è
celebrato tradizionalmente con grande solennità per motivi storici e
folkloristici, segna l'inizio della vita di Gesù sulla terra, vita che ha il suo
culmine nella croce e nella risurrezione. La festa della Pentecoste fa memoria
del dono dello Spirito santo che viene effuso dal Crocifisso risorto. E anche le
feste della Madonna e dei santi non sono che riflessi di questo grande mistero
centrale.
Giustamente la Pasqua è il contenuto stesso della fede cristiana,
èil cuore della vita della Chiesa, perché ci dice chi è Dio, chi è Gesù Cristo,
chi siamo noi.
è la gloriosa manifestazione di un Dio amante della vita,
che vuole la vita e non la morte, di un Dio che anche dalla morte fa
scaturire la vita.
La Pasqua rivela chi è Gesù di Nazaret, il Cristo
Figlio unico del Padre; proclama che in lui, morto e risorto, converge la storia
di Israele e la storia dell'umanità.
La Pasqua fa scoprire chi è l'uomo,
chi siamo noi, chiamati a risorgere con Gesù, a superare con lui il dramma
della morte, per essere con lui nella vita per sempre.
La Pasqua è il nodo
risolutivo, il perno attorno a cui gira tutto il piano di Dio riguardante l'uomo
e il cosmo; è il centro a cui tutto guarda e da cui tutto riparte.
La liturgia della Chiesa vive la Pasqua nell' arco di un'intera
settimana: essa inizia con la Domenica cosiddetta delle Palme, quando si acclama
Cristo quale vincitore e re e ha il suo momento forte nel Triduo del giovedì,
venerdì, sabato e domenica di risurrezione. Nel giovedì santo contempliamo Gesù
nell'ultima cena, dove presenta il pane e il vino come segno della sua decisione
di dare la vita per l'uomo; il venerdì santo è il giorno della morte di Gesù;
nel sabato santo si fa memoria del sepolcro in cui Gesù si lascia rinchiudere
per sigillare il suo amore per il mondo. Finalmente, nel giorno di Pasqua
risuona il grido dell'alleluia, della vittoria definitiva del bene sul male, un
grido già nascosto e implicito nei riti delle giornate precedenti.
La Domenica delle Palme
Nella Domenica delle Palme viene letta una pagina
tratta dal vangelo secondo Giovanni:
«La grande folla che era venuta
per la festa» - la festa della Pasqua ebraica - «udito che Gesù veniva a
Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele! Gesù, trovato
un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: "Non temere, figlia di Sion! /
Ecco, il tuo re viene, / seduto sopra un puledro d' asina". Sul momento i suoi
discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si
ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto» (12,
12-16).
Può sembrare strano cominciare con un'acclamazione a Cristo
come vincitore e come re, ma la liturgia non conosce la malinconia. L'evento
della passione è di fatto una vittoria, perché ormai Gesù ha vinto la morte e ne
ha superato la paura. Ciò spiega perché lo contempliamo mentre entra
deliberatamente e coraggiosamente nella città che trama contro di lui.
L'episodio riportato dal vangelo di Giovanni indica chiaramente
la circostanza: la folla è venuta a Gerusalemme per la festa ebraica di
Pasqua che si celebrerà tra pochi giorni.
I soggetti del racconto sono tre: la folla, appunto, Gesù, i
discepoli.
- La folla, assai grande, è composta di gente buona,
semplice, devota; gente che si è recata nella città santa in anticipo proprio
per "purificarsi", cioè per vivere la Pasqua con purità cultuale, rituale e
morale.
Questa gente soffre per i mali di sempre, per i mali di tutti i
tempi: le malattie, la povertà, la disoccupazione, i drammi delle famiglie.
Soffre inoltre a causa dell' oppressione politica del proprio paese, dell'
oppressione fiscale eccessiva, delle tante corruzioni e ruberie che contaminano
la terra. E la sofferenza la porta ad aspettare qualcosa di più e di meglio, a
guardare a ogni evento nuovo con speranza; perciò è pronta a
entusiasmarsi.
La notizia - riferita nel vangelo di Giovanni al capitolo Il -
che Gesù ha risuscitato l'amico Lazzaro non può non riaccendere i sogni
messianici e la voglia di rivedere Gesù che da qualche tempo si era ritirato e
non si mostrava in pubblico.
E, a un tratto, la folla viene a sapere che Gesù
salirà a Gerusalemme per la festa. Altre volte era stato nella città santa, ma
questa sua venuta, che sarà l'ultima, costituisce un gesto ardito, audace,
carico di pericoli. Pochi giorni prima l'apostolo Tommaso, sentendo che Gesù
intendeva recarsi a Betania che si trova sulla strada verso Gerusalemme, aveva
esclamato: «Andiamo anche noi a morire con lui» (Giovanni 11, 16), perché
comprendeva che la vicina città era gravida di minacce per il Maestro. Eppure
Gesù arriva, sfidando l'ordine dato dai sommi sacerdoti e dai farisei di
denunciare la sua presenza così che potessero prenderlo.
Egli dunque accetta
il pericolo, e la folla al vederlo si commuove, gli corre incontro con
entusiasmo e con rami di palma. La palma, fin dall'antichità, è segno di
vittoria, e veniva agitata in qualche festa ebraica per acclamare Dio, il Dio
del cielo e della terra, il Dio che salvava il suo popolo.
Ora questa festa è
improvvisata dalla gente lungo le strade, in onore di Gesù che ha fama di essere
il rappresentante di Dio: «Osanna!», che significa: «Dona, Signore, la tua
salvezza, la tua vittoria»; e poi: «Benedetto colui che viene nel nome del
Signore!».
L'accoglienza fatta a Gesù, l'acclamarlo come re e Messia, non è
una semplice esaltazione religiosa; è un preciso riferimento alle attese
culturali e sociali della gente che non ha paura di osannarlo pubblicamente,
nella capitale, sotto gli occhi delle autorità perché è ormai stanca di una
politica fatta sulla sua pelle da uomini lontani; vuole qualcuno a cui poter
dare piena fiducia.
- Che cosa fa Gesù? Non si sottrae a questa
manifestazione, come invece si era sottratto in Galilea, dopo la moltiplicazione
dei pani, quando erano venuti per proclamarlo re. .
Egli esprime un gesto di
umiltà, senza parlare, senza dire nulla: invece di entrare in città a piedi,
sceglie di montare sopra un asino, l'animale più umile che ci sia, un animale di
servizio, per far capire che la sua non è una regalità di guerra o di dominio,
bensì di servizio.
- I discepoli però «non compresero». Da un lato Gesù non
spegne l'entusiasmo della folla, come loro potevano pensare avendolo già visto
altre volte fuggire; dall'altro lato Gesù non si concede a tale entusiasmo.
Forse qualche discepolo sperava che cogliesse l'occasione per mettersi a capo di
un movimento popolare e restaurare il regno di Israele contro i nemici.
Gli
apostoli intuiscono, in modo generico, che nella vita di Gesù ci sono due parti:
nella prima agisce, compie gesti di liberazione dell'uomo, guarisce, opera
miracoli, vince le potenze avverse. E la parte che piace anche a noi, che ci
avvince e che ci sembra di capire. In una seconda parte - che inizia con la
Domenica delle Palme - Gesù non fa nulla per l'uomo, non compie miracoli, non
pronuncia discorsi, non si difende.
Infatti, egli accetta il senso religioso
dell' entusiasmo della folla che lo acclama, non il senso politico, e opera un
attento discernimento che gli apostoli non comprendono. Soltanto più tardi
capiranno che entrando a Gerusalemme quel giorno Gesù si era mostrato Re
messianico, Signore della storia, però Signore umile e servitore
dell'umanità.
è molto importante osservare che Gesù entra in Gerusalemme come
un uomo libero, disteso, sciolto, sereno. Libero perché non ha
condizionamenti umani, non teme nessuno, nemmeno la morte; la sua è quella
sovrana libertà che tutti vorremmo avere. Essere liberi di essere davvero ciò
che siamo, nella verità di noi stessi: non avere paura per ciò che altri possono
dire o fare di noi. Soltanto un' esistenza libera è capace di amare, di
dedicarsi e di donarsi.
Il mistero di Gesù che si va svelando, mistero di
umiltà, di sofferenza e poi di gloria, è anche il mistero della nostra vita, se
lo accogliamo e quindi lo sperimentiamo a poco a poco.
è il mistero - come
dice san Paolo - «nascosto a tutti i potenti di questo mondo; altrimenti non
avrebbero crocifisso il re della gloria».
è il mistero - come dice
l'evangelista Matteo - «rivelato ai piccoli e ai semplici»,
a coloro che si trovano in situazione di sofferenza e di oppressione e che
percepiscono qual è il vero volto di Dio.
Ma il discorso della passione e
della croce, realtà inevitabile nella vita di ciascuno, non costituisce né il
primo né l'ultimo passo: sta in mezzo a due momenti positivi di inizio e di
conclusione, di creazione e di definitiva salvezza. La croce non è l'ultima
parola e per questo è possibile essere nella sofferenza e contemporaneamente
nella gioia.