Vita di Santa Cristina tra storia e
leggenda
Le fonti per la ricostruzione della biografia della
Santa sono la tradizione più antica, peraltro ancora viva nell’anima popolare,
gli Atti risalenti al VI secolo d.C. e il più antico martirologio di S. Girolamo
del IV sec.
Cristina, figlia dodicenne di Urbano, prefetto del municipio
romano di Volsinii, allora città opulenta e popolosa, di una nobildonna di
casato romano appartenente alla Gens Anicia. famiglia questa che aveva sulle
rive del lago di Bolsena seria grandi possedimenti e ottime officine e cave di
pigi (Vitruvio), ancora bambina fu iniziata alla fede cristiana, all'insaputa
dei propri genitori, da una amica e fedele ancella di palazzo, conquistata alla
nuova religione dalla predicazione dei discepoli degli apostoli, giunti sulle
rive lago di passaggio verso la Gallia.
Urbano, accortosi della conversione della figlia, cercò in
tutti i modi di allontanare fanciulla dalla sua fede, ma nulla riuscì a
scalfirne minimamente la volontà. La fece chiudere in un’ala del palazzo
gentilizio insieme a dodici ancelle, e la circondò di agi e di lusso.
Tra lo stupore e la paura delle ancelle, Cristina invece
ponendo l'incenso sulla finestra che guardava ad Oriente lo offriva al vero Dio,
mentre affacciata contemplava il cielo e mirando le stelle si commuoveva nel suo
cuore fino alle lacrime. Alle sue preghiere un angelo venne dal cielo e la segnò
con il segno della croce e, dopo averlo benedetto, le offrì da mangiare un pane
candido come il latte e più dolce di un favo di miele. Una sera, Cristina
afferrò le statue di Giove, Apollo e Venere,e legata alla finestra la fascia che
le cingeva i fianchi si calò dalla torre e, frantumati gli idoli d'oro, li
distribuì ai poveri. Saputa la cosa il padre Urbano, dopo aver tentato
inutilmente di riportare al culto degli dei la figlia ordinò che fosse
schiaffeggiata e percossa con verghe da dodici uomini, i quali man mano vennero
meno e caddero esausti. Il padre ordinò che la fanciulla venisse condotta in
carcere dove venne visitata dalla madre e da alcune altre matrone, ma nemmeno le
lacrime materne riuscirono a smuovere Cristina.
Parte di queste notizie sono giunte a noi dal più antico
testo: un frammento di papiro egiziano, proveniente da Oxjrhynchos, pubblicato
per la prima volta nel 1911 da Lorenzo Cammelli e assegnabile al V secolo. Da
una parte contiene un brano della vita di san Pafnuzio, dall'altra un brano
della Passio di Cristina. Il frammento è tradotto fedelmente negli Atti della
santa, in particolare nel codice Farfense 29; il testo riguardante la martire
potrebbe risalire al IX-X secolo. Eccone la traduzione:
...Avvicìnati agli dei per adorarli. Ormai non ti
chiamo più figlia e se persisterai ti colpirò con durissimi tormenti, dai quali
non potrà liberarti colui che è stato crocifisso dai Giudei e che tu adori.
Santa Cristina, allora, guardando verso il cielo con l sorriso sulle labbra,
dise a Urbano: O pieno di ogni malizia e amico dei malfattori, non sai che il
figlio di Dio vivo, luce di verità e salvatore del mondo, discese dal cielo per
redimere ogni malvagità e per salvarci, ed ora nel nome di quel Cristo che salva
ti affronto, per vincere la tua ira e darti la morte.
Allora il padre Urbano,
non sopportando le ingiurie della figlia, comandò che fosse portata alla
ruota, ve la fece legare e ordinò di accendere sotto di essa un fuoco alimentato
con olio, perchè bruciasse la fanciulla più celermente.
Cristina fu legata
alla ruota, la quale, nel girare, spezzò il corpo della fanciulla. Ma la beata
Cristina, rivolta al cielo, disse: Ti benedico, o Dio mio che sei nei cieli, e
ti ringrazio, Signore Gesù Cristo; non mi abbandonare in questa lotta, ma stendi
la tua mano su questo fuoco ed estinguilo, poichè mi brucia, perchè non prevalga
su di me il tiranno Urbano. Mentre santa Cristina diceva queste cose,
istantaneamente il fuoco si allontanò da lei e uccise millecinquecento dei
persecutori idolatri, mentre santa Cristina stava adagiata sulla ruota come su
di un letto e gli angeli la servivano.
Urbano, allora, comandò che fosse
tolta dalla ruota e fosse portata davanti al tribunale dove il padre suo la
interrogò dicendo:...
Urbano, allora, ordinò che la fanciulla venisse condotta in
carcere dove venne visitata dalla madre e da alcune altre matrone, ma nemmeno le
lacrime materne riuscirono a smuovere Cristina. Il padre disperato nella notte
buia mandò cinque schiavi con l'ordine di legare una grossa pietra al collo
della fanciulla e di gettarla nel lago con un sasso al collo. Appena fu condotta
in mezzo alle acque fu scaraventata nelle onde.
Miracolosamente Cristina
galleggiò sulle acque come un fiore di ninfea usando per barca lo stesso
strumento di martirio, la pietra, dove rimasero le impronte dei Suoi piedi.
Era l'alba. Urbano uscì dal suo palazzo e si recò sulla spiaggia, e riandò
triste al luogo da dove aveva assistito alla partenza della barca con la figlia…
Vide fluttuare in lontananza sull'acqua un non so che, come un'immagine di
fanciulla. Spinta dai flutti quella figura si avvicinò ancora, e quanto più la
guardava, tanto più la sua mente si smarriva. E ormai la vedeva accostarsi
sempre più alla riva, sempre più ormai la poteva riconoscere: era la figlia che,
salda alla macina, galleggiava come un fiore di ninfea.
A quella vista Urbano
urlò e si straziò insieme viso, chioma e vesti, e tendendo le mani tremanti
verso il cielo imprecò gli dèi per la sconfitta. Il suo cuore non resse a tanto
dolore e, tormentato dai dèmoni, Urbano morì. Cristina ritornata a riva, si
presentò spontaneamente al tribunale e fu ricondotta in prigione, dove gli
angeli la fortificarono con il pane dell'immortalità.
Successe ad Urbano un altro persecutore di nome Dione, uomo
lussurioso e superstizioso anch'egli adoratore degli idoli e persecutore dei
cristiani. Fece nuovamente interrogare la fanciulla e cercò di ricondurre la
fanciulla all'antica religione con le lusinghe di un matrimonio e con crudeli
minacce. Dopo aver ricevuto conferma dalle risposte di lei della sua adesione
alla fede cristiana ordinò che fosse immersa in una caldaia di pece e di olio
bollente dove Cristina entrò, orante come in un bagno di fresca rugiada. Il
giudice, adirato, fece radere il capo della santa dai biondi capelli e ordinò
che fosse condotta nuda fino al tempio di Apollo. Le donne, vedendo la fanciulla
trascinata per le vie della città senza alcun riparo alla sua nudità, commosse
tolsero dalle loro spalle i mantelli e crearono una cortina attorno al corpo di
Cristina. Giunti al tempio, la santa fu nuovamente invitata a bruciare incenso
sull'altare degli idoli. Ferma nella fede, ella pregò Dio di manifestare la sua
grandezza. In quel momento, la statua di Apollo scese dal suo piedistallo
frantumandosi al suolo; una scheggia colpì Dione uccidendolo. A tale vista si
convertirono alla fede di Cristina parecchie migliaia di pagani.
Dopo un po' di tempo venne un altro giudice di nome Giuliano
anche lui avversario dei cristiani. Gli furono presentati gli atti processuali
di Cristina e dopo averli ascoltati comandò che la fanciulla fosse condotta
davanti al suo tribunale. Non riuscendo a rimuoverla dai suoi propositi, la fece
murare per cinque giorni in una fornace. Quando ormai si pensava di trovare solo
cenere, con stupore e meraviglia il prefetto vide la fanciulla in devota
conversazione con un gruppo di angeli, che per tutto il tempo con il loro
sbattere di ali avevano tenuto lontano il fuoco dal suo corpo verginale. La
tradizione indica ancora oggi in alcuni ruderi sulla Via Cassia, a circa due km
dall'abitato i resti della fornace dove la santa subì questo martirio.
Quando Giuliano seppe ciò, attribuì il prodigio alle arti
magiche possedute dalla fanciulla e ordinò
che fosse condotto un serparo e che le fossero
applicati due aspidi e due serpenti. I serpenti si arrotolarono ai piedi di
Cristina e li lambivano, mentre gli aspidi le si attaccarono alle mammelle come
lattanti. Allora le furono aizzate contro due vipere, che si attorcigliarono
leccando il sudore del suo tormento. Giuliano si irritò contro il serparo e
disse: «Anche tu sei stato conquistato da Cristina?Istiga gli animali affinché
la mordano». Il serparo istigò i serpenti, i quali però si rivoltarono contro di
lui e lo uccisero.
Disperato per l'ennesima sconfitta, Giuliano ordinò che, legata
ad un palo, fosse fatta bersaglio degli arcieri imperiali.
L'alba del 24
luglio sorse radiosa, indorando le morbide colline e le acque del lago; una lama
di luce illuminò il tetro carcere dove Cristina, nella preghiera, attendeva il
momento supremo. Quando il sole fu più alto e cocente, un gruppo di arcieri
prelevò la fanciulla e la condusse nell'anfiteatro. Giuliano ordinò allora
che le fossero strappate le mammelle e la lingua; dai suoi seni recisi uscì
latte anziché sangue e la sua bocca continuò a cantare le lodi del Signore.
Cristina raccolse un pezzo della sua lingua e la gettò in faccia a Giuliano che
fu percosso in un occhio e subito perse la vista. Gli arcieri presero la santa e
la legarono a un palo trafiggendola con le loro frecce nel petto e nei fianchi.
Colpita da due frecce, al cuore e al fianco, Cristina passò dalla terra al cielo
a contemplare il volto di quel Cristo che aveva tanto amato.
Così solamente
cessò di battere quel cuore che tanto aveva amato il Signore, per unirsi
eternamente, nella pienezza della grazia, allo sposo tanto atteso.
Venne poi
un tale della sua famiglia, che grazie a lei aveva creduto in Cristo, prelevò il
corpo esangue di Cristina, lo cosparse di aromi e lo depose in un luogo apposito
nei pressi del tempio di Apollo.
Basilica di Santa Cristina - Bolsena
Grotta di Santa
Cristina