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◄ ATTUALITA´: Ruggero Pascoli
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Respuesta  Mensaje 1 de 2 en el tema 
De: lucy46  (Mensaje original) Enviado: 10/08/2013 08:40

10 agosto 1867 - Viene ucciso a fucilate, di ritorno dalla fiera di Gatteo, Ruggero Pascoli padre del poeta Giovanni Pascoli. L'evento verrà rievocato nel 1896 dalla celebre poesia X agosto, inclusa nella raccolta Myricae.

Ruggero Pascoli
(Ravenna, 24 marzo 1815 – Savignano sul Rubicone, 10 agosto 1867) è stato il padre del poeta Giovanni Pascoli, amministratore della tenuta della "La Torre" dei principi Torlonia, assassinato, ufficialmente da ignoti, nel 1867. L'omicidio fu opera probabilmente di criminali ed estremisti politici, assoldati da un rivale di lavoro, malavitoso del luogo. La tragica vicenda di Ruggero e della sua famiglia influì pesantemente sulla psicologia del futuro poeta. Ruggero Pascoli era figlio di Giacomo Pascoli e di sua moglie Margherita, di Ravenna; rimasto orfano a nove anni, fu cresciuto dagli zii Luigi e Giovanni. Quest'ultimo, vedovo che aveva perso anche il figlio Ferdinando, in pratica lo adottò. Lo zio Giovanni era amministratore della Torre. Ruggero sposò nel 1849 Caterina Vincenzi Alloccatelli, appartenente ad una famiglia della piccola nobiltà rurale di San Mauro di Romagna, oggi San Mauro Pascoli. I coniugi fissarono la loro dimora nella casa di lei, in paese. Nell'arco di undici anni di unione nacquero ben dieci figli, a cui diede i nomi dei nonni e degli zii: Margherita, Giacomo, Luigi, Giovanni, Raffaele, Alessandro Giuseppe, Carolina, Ida, e Maria.  Carolina e Ida, morirono ancora piccole. Nonostante i numerosi impegni familiari e di lavoro (fu Comandante civico, fino a quando succedette allo zio come amministratore dei Torlonia), Ruggero garantì il proprio impegno come assessore comunale nel 1861, come consigliere nel 1862, di nuovo come assessore l'anno successivo e nuovamente come consigliere l'anno dopo, fino al giorno della sua scomparsa, avvenuta il 10 agosto 1867. Esponente dei gruppi repubblicani, passò poi ai liberali, probabilmente come condizione per avere il lavoro di amministratore.La sera in cui venne assassinato, Ruggero stava tornando a casa da Cesena quando, all'altezza di San Giovanni in Compito, presso Savignano, venne ucciso con una fucilata sparata da due sicari ignoti, appostati lungo la strada; morì sul colpo e il carretto, con la spaventata cavalla, proseguì ancora da solo per un tratto, trasportando il corpo di Ruggero; la Romagna era allora una terra difficile e in alcune zone imperversava il brigantaggio.La maggioranza dei concittadini pensava, però, che l'uomo, in qualità di agente e amministratore della tenuta dei principi Torlonia, avesse ostacolato, nel suo lavoro, qualche potente malavitoso della zona, forse un contrabbandiere.Unica testimone del delitto fu appunta la sua amata "cavallina storna", la celebre giumenta dal mantello scuro disseminato di macchie bianche come la livrea di uno storno, che dà il titolo alla poesia. Il delitto, che Pascoli rievocò in molte liriche. La famiglia di Ruggero fu così costretta ad abbandonare la Torre per la casa materna di San Mauro, che venderanno qualche anno dopo, per difficoltà economiche e morali. I Torlonia revocarono anche la sovvenzione alla famiglia del loro agente caduto sul lavoro. Dal 1867 al 1871 si consumò definitivamente la tragedia dei Pascoli. Caterina sopravvisse solo per pochi mesi dopo la morte del marito, morendo nel 1868, in pratica lasciandosi andare, colpita da un attacco cardiaco; poco più tardi morirono di malattia i figli Margherita (di tifo nel 1868) e Luigi (di meningite nel 1871). Giacomo morirà nel 1876, a Bologna, e i superstiti vivranno faticosamente. La giovane moglie di Giacomo pretendette inoltre parte della scarna eredità e mandò in rovina completamente la famiglia. Raffaele e Giuseppe Alessandro (sposò una vedova di un parente del presunto sicario Pagliarani, suscitando l'ira di Mariù) si allontanarono progressivamente dal nucleo famigliare, di cui rimasero parte solo Ida (fino al suo matrimonio), Giovanni e Maria. Giovanni si fece carico, dopo una gioventù tumultuosa in cui finì anche in carcere per tumulti politici, della famiglia con il proprio stipendio di insegnante e i guadagni delle sue opere letterarie.


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De: Marylauretana Enviado: 10/08/2013 15:00
  • La cavalla storna

  •  


  • Nella Torre il silenzio era già alto. 
    Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
    I cavalli normanni alle lor poste 
    frangean la biada con rumor di croste.
    Là in fondo la cavalla era, selvaggia, 
    nata tra i pini su la salsa spiaggia;
    che nelle froge avea del mar gli spruzzi
    ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
    Con su la greppia un gomito, da essa
    era mia madre; e le dicea sommessa:
    « O cavallina, cavallina storna, 
    che portavi colui che non ritorna;
    tu capivi il suo cenno ed il suo detto! 
    Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
    il primo d'otto tra miei figli e figlie; 
    e la sua mano non tocco' mai briglie.
    Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
    tu dai retta alla sua piccola mano.
    Tu c'hai nel cuore la marina brulla,
    tu dai retta alla sua voce fanciulla». 
    La cavalla volgea la scarna testa 
    verso mia madre, che dicea più mesta:
    « O cavallina, cavallina storna, 
    che portavi colui che non ritorna;
    lo so, lo so, che tu l'amavi forte! 
    Con lui c'eri tu sola e la sua morte
    O nata in selve tra l'ondate e il vento,
    tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
    sentendo lasso nella bocca il morso,
    nel cuor veloce tu premesti il corso: 
    adagio seguitasti la tua via, 
    perché facesse in pace l'agonia . . . »
    La scarna lunga testa era daccanto 
    al dolce viso di mia madre in pianto.
    «O cavallina, cavallina storna, 
    che portavi colui che non ritorna;
    oh! due parole egli dove' pur dire!
    E tu capisci, ma non sai ridire.
    Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
    con dentro gli occhi il fuoco delle vampe, 
    con negli orecchi l'eco degli scoppi, 
    seguitasti la via tra gli alti pioppi:
    lo riportavi tra il morir del sole, 
    perché udissimo noi le sue parole».
    Stava attenta la lunga testa fiera. 
    Mia madre l'abbraccio' su la criniera.
    « O cavallina, cavallina storna,
    portavi a casa sua chi non ritorna!
    a me, chi non ritornerà più mai!
    Tu fosti buona . . . Ma parlar non sai!
    Tu non sai, poverina; altri non osa. 
    Oh! ma tu devi dirmi una una cosa! 
    Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise: 
    esso t'è qui nelle pupille fise. 
    Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
    E tu fa cenno. Dio t'insegni, come».
    Ora, i cavalli non frangean la biada:
    dormian sognando il bianco della strada.
    La paglia non battean con l'unghie vuote:
    dormian sognando il rullo delle ruote.
    Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: 
    disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.

  • Giovanni Pascoli



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