Da questo momento vivrò senza amore. Libera dal telefono e dal caso. Non soffrirò. Non avrò dolore né desiderio. Sarò vento imbrigliato, ruscello di ghiaccio.
Non pallida per la notte insonne - ma non più ardente il mio volto. Non immersa in abissi di dolore - ma non più verso il cielo in volo. Non più cattiverie - ma nemmeno gesti di apertura infinita. Non più tenebre negli occhi, ma lontano per me non s’aprirà l’ orizzonte intero.
Non aspetterò più, sfinita, la sera - ma l’alba non sorgerà per me. Non mi inchioderà, gelida, una parola - ma il fuoco lento non mi arderà. Non piangerò sulla crudele spalla - ma non riderò più a cuore aperto. Non morrò solo per uno sguardo - ma non vivrò realmente mai più.
Esistono molte solitudini intersecate - dice - sopra e sotto ed altre in mezzo;
diverse o simili, ineluttabili, imposte o come scelte, come libere - intersecate sempre.
Ma nel profondo, in centro, esiste l'unica solitudine - dice;
una città sorda, quasi sferica, senza alcuna insegna luminosa colorata, senza negozi, motociclette, con una luce bianca, vuota, caliginosa, interrotta da bagliori di segnali sconosciuti.
In questa città da anni dimorano i poeti.
Camminano senza far rumore, con le mani conserte, ricordano vagamente fatti dimenticati, parole, paesaggi, questi consolatori del mondo, i sempre sconsolati, braccati dai cani, dagli uomini, dalle tarme, dai topi, dalle stelle, inseguiti dalle loro stesse parole, dette o non dette.