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General: FEMMINICIDIO - LO ARGINEREMO ?
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Respuesta  Mensaje 1 de 3 en el tema 
De: mammaluisella  (Mensaje original) Enviado: 14/10/2013 11:07

Bologna, 12 ottobre 2013 - "Ti ammazzo, farai la fine delle altre donne, non chiamare la polizia". Con l'accusa di minacce gravi di morte alla moglie,la questura di Bologna, con l'autorizzazione della Procura, ha applicato per la prima volta il decreto legge sul femminicidio, la misura dell'allontanamento immediato da casa nei confronti di un uomo di 50 anni, residente con la famiglia nel centro storico di Bologna.


letta-alfano-approvano-decreto-legge-femminicidioApprovato ieri in via definitiva in Senato il decreto del 14 agosto scorso sul femminicidio, per tutelare l'incolumita' della parte offesa, in questo caso la moglie 40enne gia' in passato oggetto di maltrattamenti e stalking: denunce che pero' nel tempo aveva ritirato.


IL FATTO - Dopo l'ennesima lite per futili motivi: la donna avrebbe negato all'uomo i soldi per andare a comprare le sigarette. Il fatto ha scatenato da parte dell'uomo una rabbia incontenibile: la donna, mentre sentiva le minacce, lo ha visto che si dirigeva in cucina e prendere qualcosa; allora si e' chiusa in camera da letto e ha chiamato la polizia, che e' arrivata sul posto con le volanti.



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De: Lietta Enviado: 14/10/2013 17:58
Il governo Letta ha varato il decreto legge contro il femminicidio, contenuto purtroppo in una serie di norme sulla sicurezza. E’ stato presentato con toni entusiastici come strumento di tutela delle donne che il decreto pensa come “soggetti deboli” e bisognosi di tutela.

Certo alcune norme contenute nel decreto sono interessanti come la previsione dell’aggravante nei casi di violenze commesse alla presenza dei minori che ci auguriamo porti a tutelare maggiormente i bambini nei casi di violenza assistita. L’obbligo di arresto e l’allontanamento dell’autore di maltrattamenti in casi di flagranza di reato potrebbe essere un altro buon strumento, anche se resta da capire cosa accadrà, una volta che l’autore di violenze sarà scarcerato. Se oltre a bloccare l’autore di violenze non si aiutano le donne con percorsi mirati a sganciarsi dalla relazione allontanandole dal pericolo, tutelando i figli, rafforzando le loro scelte offrendo sostegno e percorsi di autonomia, anche economica, che efficacia avranno gli arresti e gli ammonimenti? Si pensa di risolvere tutto con il carcere?

In Italia le strutture di accoglienza che mettono le donne, al centro delle relazioni di aiuto, sono poche. Complessivamente ci sono 500 posti letto invece dei 5700 previsti dalle direttive europee e i centri antiviolenza continuano ad essere scarsamente finanziati e molti sono sempre a rischio di chiusura. Non solo. Spesso sono presi di mira da atti intimidatori, come nel caso del centro antiviolenza di Firenze “Artemisia” dato alle fiamme il 20 maggio scorso. 

Sono critiche invece le norme che prevedono procedure d’ufficio e l’irrevocabilità della querela: un insieme di interventi che passano sopra la testa delle donne. Il legislatore pare non aver recepito la differenza tra situazioni dove la vittima ha già interrotto la relazione e sta subendo stalking e situazioni dove invece continua a convivere con il maltrattante. L’ammonimento del questore anche su segnalazione di terze parti desta persino preoccupazione. Il momento dello svelamento della violenza è delicato e pericoloso e se l’autore del maltrattamento torna a casa con la vittima esiste un alto rischio di ritorsioni o intimidazioni e minacce. Un rischio che potrebbe essere nutrito dal dubbio che la compagna abbia parlato confidandosi con qualcuno.

Quanto alla irrevocabilità della querela è fondamentale il rafforzamento della determinazione della donna per interrompere situazioni di violenza familiare. Come si può prescindere dalla volontà della donna? E nel caso che decida di non aderire agli interventi del legislatore che sono mirati solo a ottenere la condanna penale dell’autore del maltrattamento, e non la cessazione dei comportamenti violenti, sarà giudicata collusiva, non collaborativa con la giustizia, reticente?

I nostri governi continuano a considerare la violenza contro le donne una questione di ordine pubblico o causa di “allarme sociale” invece che un problema culturale. E in Italia non abbiamo ancora un sistema di interventi organici contro la violenza di genere. Le richieste le aveva stilate Di.Re lo scorso otto marzo, e l’unica accolta è stata la ratifica della Convenzione di Istanbul. Altre richieste erano state avanzate da Di.RE insieme alla Convenzione No More e riguardavano interventi organici tra soggetti istituzionali e centri antiviolenza, lavoro di rete, sostegno alle vittime, interventi di sensibilizzazione nelle scuole e università. Ma sono state del tutto ignorate come del resto la richiesta da parte dell’associazionismo e del movimento delle donne, di nominare un’altra ministro per le Pari opportunità, dopo le dimissioni di Josefa Idem e l’assunzione delle sole deleghe da parte di Maria Cecilia Guerra, già titolare del dicastero del Lavoro.

Un altro dei problemi che il decreto non risolverà è la inadeguata formazione e la mancanza di personale dedicato per i casi di violenza familiare (forze dell’ordine e tribunali) che non permette la capacità di distinguere tra situazioni di conflitto di coppia e di violenza. Manuela Ulivi, avvocata della Casa delle Donne di Milano, ha denunciato recentemente una altissima percentuale di archiviazioni per le denunce di violenze nei tribunali della Lombardia: 1000 su 1500 in un anno e l’invio di situazioni di violenza alla mediazione familiare con conseguente vittimizzazione secondaria della donna che aveva subito o denunciato violenze.

Il decreto legge contro il femminicido interviene solo sul piano repressivo un piano di intervento talvolta necessario per bloccare gli autori di violenze ma insufficiente per affrontare il fenomeno in tutta la sua complessità. Infine, come segnala Mario De Maglie, dispiace non trovare alcun riferimento riguardo alla presa in carico degli uomini autori di comportamenti violenti, i cosiddetti “maltrattanti”.
 


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De: Rubacuori Enviado: 15/10/2013 05:01
E' possibile pensare che se il quadro normativo fosse stato diverso, almeno qualcuna delle oltre 80 donne uccise da inizio anno nel nostro Paese avrebbe potuto essere salvata?

è una domanda che ci facciamo oggi, dopo la scoperta dell'ennesimo femminicidio, come se l'è fatta Kelly Dunne in Massachusetts nel 2002, a seguito dell'omicidio di una donna che solo pochi giorni prima si era rivolta al Centro Antiviolenza dove la Dunne lavorava. La sua risposta è stata sì e da allora la Dunne si è fatta promotrice di un sistema di prevenzione dei femminicidi esito di violenza domestica che è stato nazionalmente riconosciuto per la sua efficacia: le comunità in cui si applica hanno infatti ridotto a zero il numero di crimini di questo tipo.

Il modello disegnato dalla Dunne si basa sul concetto di "prevedibilità" e quindi "prevenibilità" di questi omicidi, raramente il frutto di un "raptus" isolato e inaspettato e quasi sempre, invece, preceduti da numerosi episodi di violenza fisica e psicologica nei confronti della vittima. Secondo Mary Lauby, infatti, Direttrice della Coalizione contro la Violenza domestica e sessuale del Massachusetts "Se esiste un tipo di omicidio che si può prevenire, è proprio quello frutta della violenza domestica, perché è l'unico in cui si conoscono in anticipo sia il carnefice che la vittima". A partire da questa consapevolezza, il modello della Dunne promuove un approccio in tre fasi:

1) Analisi della situazione per stabilire l'intensità del rischio, a partire da vari fattori, quali: esistenza e intensità di precedenti episodi di violenza, uso di sostanze stupefacenti e alcolismo da parte del carnefice, presenza di abusi verbali e minacce, porto d'armi.

2) Creazione di una task force composta da rappresentanti delle forze di polizia, delle vittime e dei programmi di recupero dei violenti (la cui frequentazione è obbligatoria per chi è stato riconosciuto dalla legge colpevole di questo tipo di crimini), con il compito di monitorare in tempo reale i casi di violenza domestica considerati ad alto rischio. Il monitoraggio si intensifica, poi, qualora esistano dei cambiamenti importanti nella vita della vittima o del carnefice, per esempio una nuova gravidanza, la perdita del lavoro, la rottura della relazione. E', infatti, spesso, a partire da questi cambiamenti che si scatenano nuovi livelli di violenza.

3) Allontanamento dell'uomo violento dalla casa con divieto di avvicinarsi alla vittima e, in presenza di alto rischio, detenzione immediata in attesa del processo o obbligo di indossare il braccialetto Gps.

è evidente che l'applicazione di un modello di questo tipo richiede tre condizioni: la disponibilità di risorse finanziare, la volontà degli attori istituzionali e il convincimento che gli omicidi nati dalla violenza domestica possono e devono essere fermati.

Non tutte queste condizioni esistono ancora in Italia, ma anche da noi si sta facendo avanti la consapevolezza che la violenza domestica e gli omicidi da essa scaturiti sono un grave problema, se non altro, di sicurezza pubblica.

Il pacchetto di sicurezza recentemente approvato dal Consiglio dei ministri, pur con tutti i suoi limiti, ampiamente (e giustamente) descritti da tante, ha un profondo valore simbolico e rappresenta un segno importante in questa direzione.

Parliamoci chiaro: è vero che, come scrivono in molte, la repressione non basta. Poiché la violenza di genere nasce come problema culturale, sono necessari interventi a livello educativo nelle scuole, nelle caserme, nei media e nella società nel suo congiunto. è altresì necessario studiare l'efficacia dei programmi di recupero dei violenti, riformare la giustizia (per garantire agilità dei processi e sicurezza della pena) e migliorare l'occupazione femminile. E via discorrendo.

è anche vero, però, che, oggi, migliaia di donne italiane sono maltrattate dai loro compagni e rischiano di essere da loro uccise domani. Queste donne non possono aspettare che le campagne educative nelle scuole diano frutto e i dati di un osservatorio sul femminicidio vengano interpretati. Seppure la violenza domestica, come l'omofobia, siano infatti problemi complessi che hanno la loro origine nel culturale, le loro conseguenze si vedono, purtroppo, anche nella sicurezza pubblica, pertanto anche in questo campo vanno contrastate.

Le vite delle donne vanno salvate e protette, da subito, anche con l'applicazione di norme repressive che allontanino i carnefici e mettano al sicuro le vittime (incluse le immigrate clandestine), come previsto dal pacchetto di sicurezza.

Come dice Valeria Fedeli, tra le fondatrici di Se Non Ora Quando e Vice Presidente Pd del Senato: non possiamo aspettare o dubitare neanche un secondo. Cronache di morti annunciate ne abbiamo viste fin troppe.


 
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