La seconda guerra mondiale è finita. In un caffè viennese un signore ebreo chiede al cameriere il
Volkischer Beobachter, il giornale del partito nazionalsocialista. Il cameriere gli dice che quel
giornale non c’è più. Ma anche nei giorni seguenti quel signore entra in quel caffè e fa la medesima
richiesta. E riceve la medesima risposta: quel giornale non c’è più. Infine, dopo qualche giorno, il
cameriere domanda al signore: ”Perché tutti i giorni mi chiede di nuovo questo giornale, se tutti i
giorni le ripeto che non esiste più?” Il signore ebreo risponde: “Appunto per questo: per sentirmi
dire che non esiste più” …
Anche noi cristiani ogni anno, ogni domenica, a ogni Eucarestia, celebriamo e facciamo memoria
della Pasqua proprio per questo: per sentirci ripetere, fino a che ci entri nel cuore e nella vita, che un
Uomo di nome Gesù è riuscito a sconfiggere la morte risorgendo e che è vivo oggi in mezzo a noi.
Per sentirci dire che la morte non l’avrà vinta sulla vita, sull’amore, sulla speranza.
Per sentirci dire che vivere non significa essere condannati a morire, che il vivere non è un viaggio
verso le tenebre del nulla.
Per sentirci dire che non ha ragione Bertold Brecht quando scriveva:
Non vi fate sedurre: non esiste ritorno. Altro mattino non verrà.
Morite con tutte le bestie e non c’è niente, dopo.
Far memoria della Pasqua è ricordare, cioè scrivere e scolpire sul cuore, quella settimana di tanti
secoli fa nella quale sono accaduti avvenimenti che riguardano tutti gli uomini di tutti i tempi.
Come ci narrano i Vangeli, in quella settimana un uomo, amato da alcuni, odiato da altri, fu messo a
morte. Lo seppellirono ma il terzo giorno resuscitò. Per mai più morire.
La nostra fede sta tutta qui: si concentra, si aggrappa, nasce in quella settimana. E’ una fede che
vive dello stesso timore e della stessa gioia grande delle donne di fronte al sepolcro vuoto di Gesù.
Mi raccontarono, quando ero bambino, che un uomo buono era risorto da morte, frantumando il
sepolcro. Forse è vero e forse no, quante volte ci ho ripensato. Aveva lavorato con le sue mani,
giocato con i bambini, sorriso alle donne disprezzate, pranzato con i peccatori rifacendoli nuovi.
Aveva chiesto libertà e giustizia per i poveri, e amore; e ancora amore, per tutti.
Appeso a un palo, tutti i dolori del mondo gli avevano fatto provare ed era morto gridando.
Ma poi dal regno dei morti era risorto. Forse è vero e forse no, quante volte ci ho ripensato.
Di primavera ci penso spesso: forse è vero, forse no. (Ettore Masina)
Forse siamo proprio dei folli a credere nell’uomo dei Vangeli. Forse …
Forse siamo proprio dei folli a credere che si possa risorgere, che la morte possa essere sconfitta,
che un giorno ci rivedremo tutti, che il nostro corpo risorgerà, che il nostro destino non è il nulla, la
polvere …
Io ho abbracciato questa “follia”, sono innamorato di questa follia, di quello splendido e
indimenticabile mattino di Pasqua che ha rovesciato la storia.
Noi, da soli, saremmo rimasti al gelido silenzio del sabato santo.
Noi, da soli, saremmo in balia del crudele potere del dolore e della morte, davanti ai quali ci si
arresta come davanti a un enigma irrisolvibile e inquietante, come davanti a una ingiustizia
bruciante e inaccettabile. Davanti ai quali anche la fede più alta barcolla, trema.
Far memoria della Pasqua è mettersi di fronte alla croce di Gesù, alle nostre croci, alla nostra
morte, alla morte di chi amiamo …
La Pasqua è il “luogo” dove la nostra fede viene passata al setaccio, messa alla prova.
E’ il luogo dove le nostre timide speranze possono diventare audaci, inarrestabili.
E’ il luogo di una speranza che non muore. Quella speranza che cerca di intravvedere in un seme
sepolto una spiga o un fiore che stanno per nascere. Quella speranza che sa essere più forte del
male, più forte della morte. Perché là, in quell’alba primaverile di qualche secolo fa, è risuonata
una voce. Risuona ancora oggi. Risuonerà per sempre: E’ risorto … non è qui …
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