Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire se stesso, assolversi o condannarsi. Ma significa, insieme, definire il dissidio fondamentale che ci travaglia, l'oscillazione fra claustrofobia e claustrofilia, fra odio e amor di clausura, secondo che ci tenti l'espatrio o ci lusinghi l'intimità di una tana, la seduzione di vivere la vita con un vizio solitario. L'insularità, voglio dire, non è una segregazione solo geografica, ma se ne porta dietro altre: della provincia, della famiglia, della stanza, del proprio cuore. Da qui il nostro orgoglio, la diffidenza, il pudore; e il senso di essere diversi.
Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena, e i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia, et garrir Progne et pianger Filomena, e primavera candida e vermiglia.
Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena; Giove s'allegra di mirar sua figlia; l'aria e l'acqua e la terra è d'amor piena; ogni animal d'amar si riconsiglia.
Ma per me, lasso, tornano i più gravi sospiri, che del cor profondo tragge quella ch'al ciel se ne portò le chiavi;
e cantar augelletti, e fiorir piagge, e 'n belle donne oneste atti soavi sono un deserto, e fere aspre e selvagge.