Il diritto alla felicità
Lettera Pastorale di Mons. Giuseppe MANI, Arcivescovo Ordinario
Militare d'Italia
Quella sera il padre Gribomont accettò di andare a cena a casa di un amico.
Durante la cena il figlio più piccolo, vedendolo vestito in quel modo, non gli
toglieva gli occhi di dosso e gli chiese: "Chi sei?". "Un monaco", rispose il
padre. E lui di rimando: "Cosa fai?". "Mi alzo alle quattro ogni mattina...".
"Alle quattro? E cosa fai alle quattro?". "Comincio ad essere felice", replicò
prontamente il monaco.
Ogni uomo deve rispondere così, perché tutti abbiamo
diritto alla felicità. Siamo stati creati per essere felici. Ma cos'è la
felicità?
è la pienezza di quella gioia di cui il cuore ha bisogno.
Una persona senza gioia è come una barca a vela senza vento, come una
macchina con la benzina di pessima qualità: non carbura bene.
Dalla
felicità del cuore dipende la qualità della vita e l'operosità di ciascuno. Chi
non è felice non vive, spesso si lascia vivere, non produce, o produce male, per
cui può diventare pericoloso.
Il comandante della pattuglia delle
Frecce Tricolori mi disse: "I miei uomini, anche se addestrati e pronti, quando
salgono sull'aereo devono essere soprattutto sereni e felici. Personalmente
tengo i contatti con le loro famiglie, perché se tutto non è ok non li lascio
partire". Uno stupendo spettacolo di tecnica potrebbe trasformarsi in tragedia.
Senza la felicità nel cuore non si vola alto.
Dio vuole la
nostra felicità come ogni padre la desidera per i propri figli. "Vi ho detto
queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena", ci ha
detto Gesù e attraverso S. Paolo ci ha fatto sapere: "Siate sempre lieti...
questa è la volontà di Dio verso voi" [l Tess. 5,16]; "Rallegratevi nel Signore
sempre, ve lo ripeto, rallegratevi" [Fil.4,4].
A quanto pare, allora,
la felicità è un ordine, un dovere... proprio così. Perché se non si trovano le
ragioni per la propria felicità, non c'è ragione per vivere.
Eppure
quest'ordine di Dio non vale solo quando tutte le cose vanno bene, tutto corre
liscio, ma anche quando ci sono le prove e le sofferenze: bisogna essere lieti
nonostante le croci e i dolori.
"Siate lieti" questa è la volontà di
Dio [Fil. 3,1] .
La felicità è un dovere
Credo sia importante chiarire un equivoco: non dobbiamo confondere il piacere
con la felicità, perché si può avere la felicità senza il piacere e anche il
piacere senza raggiungere la felicità! Gesù ci ha chiarito l'equivoco parlandoci
della donna che partorisce: prova dolore, ma è nella gioia perché nasce un
essere umano. In questo caso il dolore coesiste con la gioia; anzi, è la ragione
di una gioia più grande.
L'uomo ricerca gioia e felicità, per questo
sa sottoporsi ad ogni genere di privazioni e di rinunce. Gesù ha una bellissima
immagine: quando un uomo si è messo in testa di comprare un terreno dove sa che
c'è un tesoro o di comprare un gioiello, è capace di tutto, vende tutto pur di
avere quel che desidera. Ciascuno ha un proprio regno dei cieli per il quale
vende tutto; il problema è che il vero Regno dei cieli c'è, ed e quello in cui
si trova la vera felicità: Dio. E finché l'uomo non avrà trovato la strada per
raggiungerlo, non troverà la sua felicità.
Ogni ricerca dell'uomo
-intendiamoci -può essere onesta e sincera perché le aspirazioni profonde
dell'animo umano -essere felici, conoscere, amare, ammirare -sono oneste. La
ricerca dei beni umani può portare a Dio, ma è indispensabile trovare la via
giusta, altrimenti quelle che devono essere viste e ammirate come icone
dell'amore e della bellezza di Dio, diventano idoli che noi adoriamo e che
chiamiamo con nomi diversi: piacere, potere, sesso, salute... Una volta
raggiunti però la nostra vita non si riempie di felicità.
Perché?
Perché Dio, creandoci per essere felici, ha messo nel cuore di ciascun uomo un
suo seme, un seme che fa parte della pienezza della nostra umanità e che va
nutrito, coltivato e forse risuscitato se si fosse seccato o se, addirittura,
fosse morto.
Dio è la felicità dell'uomo. Tanti cercano la felicità
in Dio, ma il vero problema è come trovare Dio. Dov'è Dio? Si può avvicinare,
incontrare, contattare, comunicare con Lui?
Mi ha impressionato la
testimonianza di una suora missionaria. Visitando nel Tibet un monastero
buddista ha trovato venti giovani italiani che per un mese si sottoponevano alla
dura esperienza monastica [ ed è davvero dura], per sperimentare un'esperienza
spirituale. Le statistiche di persone, soprattutto giovani, che cercano in
Oriente queste esperienze, indicano numeri molto elevati.
Le sette in
cui tanti si riversano non sono che un segno di questa fame di felicità, di
ricerca di una risposta alle proprie domande interiori.
Ma è
possibile trovare Dio? Bisogna trovare la via che ci porta a Lui.
La
via della felicità Dio stesso ce l'ha offerta mandando tra noi suo Figlio
per insegnarci la strada che porta a Lui. Gesù ci ha detto: "lo sono la Via". Al
di fuori di Lui però non esiste altra strada.
Tutto si gioca sulla
fiducia in quest'uomo e dopo duemila anni dalla sua nascita devo
responsabilmente interrogarmi come mi pongo nei confronti di Lui. Anzi, è Gesù
stesso che mi interroga: "Per te, chi sono io?" E non cominciare con le
digressioni storiche o le definizioni teologiche o appoggiandoti su ciò che
dicono gli altri. La domanda è stretta- mente personale: "Dimmi chi sono io per
te". 11 cristiano, con dolcezza e rispetto ma con retta coscienza, deve essere
sempre pronto a rispondere a chiunque chieda ragione della speranza che è in lui
[Cfr. 1Pietro 3,14-16].
Naturalmente è tutto un problema di fiducia,
di fede: credere cioè, che Dio è la nostra felicità, credere che Gesù è suo
Figlio ed è venuto per condurci a Lui, credere che Lui è la via sicura. Tutto
questo non è cosa da poco, però Dio non condiziona nessuno e non mette in gioco
la sua onnipotenza per ottenere la fiducia, no. Prima chiede la tua fiducia, poi
farà per te anche miracoli! Ma per prima cosa bisogna credere in Lui,
scommettere su di Lui, poi stai certo che Lui non ti deluderà mai: anzi, sarà
sorprendente con la sua azione e con i suoi interventi.
"Bene! Do
fiducia a Gesù Cristo. Credo che è Figlio di Dio, credo che mi condurrà a Lui,
però mi sento tremare le gambe al pensiero di intraprendere questo nuovo
cammino". Questo è un buon segno: ricordati che dovrai seguire uno che non vedi,
ma che senti, per cui è naturale avere timore di sbagliare.
Nella
fede l'unico senso che funziona è l'udito. Per questo Dio nella Bibbia dice
continuamente: "Ascolta... Ascolta. ..Ascolta...". Lentamente poi entrano in
gioco anche gli altri sensi, ma solo nella misura in cui credi sempre più
profondamente, come se tu vedessi senza aver veduto.
Gesù è
misteriosamente vicino a te. Non ti abbandona mai, e per camminare verso Dio non
ti mette in mano solo una piantina che ti indichi la strada, ma ti prende per
mano e ti dice: "Seguimi" e vedrai che arriverai. Ti offre anche delle
indicazioni di percorso che non hanno altro scopo se non di unirti sempre più a
Lui che ti conduce. Eccole: "Rinnega te stesso, prendi la tua croce ogni giorno
e seguimi"[Cfr. Mt. 16-24].
Con queste indicazioni è come se Gesù ti
dicesse: "Per raggiungere Dio e la felicità sii fedele alla vita, non sfuggire
dalla vita, ama la vita così com'è e troverai Dio nella vita".
Attenzione!
un grande cercatore di Dio che ci ha preceduto e che l'ha davvero trovato, San
Giovanni della Croce, ci dice: "Dio è in fondo al reale", non in cima
all'ideale.
Inserirsi nella dinamica stessa della vita, abbracciarla e
amarla fino in fondo è difficile. Il nostro problema più grave infatti, è
l'alienazione, la fuga dal reale.
La mamma arriva a pensare che per trovare
Dio dovrebbe andare in un convento, e la monaca arriva a pensare che potrebbe
fare di più andando in missione. Durante l'anno pensiamo alle ferie, e durante
le ferie vorremmo fare tante cose.
L'alienazione, il sentirsi divisi, il
pensare che sia sempre altrove il luogo della nostra realizzazione: è il nostro
pericolo. La fede cristiana ha alla base l'incarnazione, non l'alienazione. è
qui ed ora che devo camminare verso Dio; è qui ed ora che posso trovare in Dio
la mia felicità: questo è quanto ci dice Gesù.
Rinnega te stesso è la
prima regola della vita. è come se Gesù ci dicesse: "Per essere felici, per
raggiungere Dio, siate veri uomini, accettate la vita, state alle regole del
gioco".
La vita è sempre in salita o in discesa. Per salire bisogna
faticare: in discesa tutti i santi ci aiutano, in salita ci aiutano solo quelli
veri.
Nessuna ragazza sale in passerella se non a costo di estenuanti
digiuni, nessuno sale sul set o scende in campo se non a prezzo di dure prove e
allenamenti. Non esiste neppure il colpo di genio senza un'accurata ricerca e
una diligente preparazione; nessuna famiglia sta in piedi senza un impegnativa
ascesi di comunione fatta di rinunce e di perdono; e nessun figlio nasce e
cresce senza il dolore della madre e i sacrifici dei genitori. Direbbe Gesù:
"Stretta è la via che conduce alla salvezza, larga quella che conduce alla
perdizione".
Tutto questo è evidente e Paolo ce ne dà anche la spiegazione:
"C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo" [Rom 7,18] e:
"L'egoismo infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito desideri
contrari a quelli dell'egoismo... Del resto tutti vediamo benissimo quali sono i
risultati dell'egoismo umano: immoralità, corruzione, vizio, idolatria, magia,
odio, litigi, gelosie, ire, intrighi, divisioni, invidie, ubriachezze, orge ed
altre cose di questo genere. Lo Spirito invece produce: amore, gioia, pace,
comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, mansuetudine, dominio di se" [ Cfr.
Gal. 5, 16-17] .
Ecco la spiegazione della lotta interiore di ogni uomo. Chi
accetta la vita come lotta vive e vince; chi non l'affronta è finito in
partenza. "Non sapete -è ancora San Paolo -che nelle corse allo stadio tutti
corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da
conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto: essi lo fanno per ottenere
una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. lo dunque corro ma non
come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria. Anzi,
tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che
io stesso venga squalificato" [lCor 9,24-27].
Il rinnegamento che Gesù pone
come prima condizione per seguirlo verso il Padre è l'atteggiamento
indispensabile per divenire uomini autentici, per vincere nella lotta della vita
e soprattutto per non essere squalificati.
Il dramma di tanta gioventù è la
diserzione dalla lotta della vita, l'autosqualifica nel gioco dell'esistenza.
Una vita non può essere corsa senza addestramento, come una partita non può
essere vinta senza allenamento.
Noi educatori abbiamo una grande
responsabilità. Il Duemila che il Signore ci concede è un'occasione per
riassumere la nostra vita in tutta la sua verità: ricomincia la partita e noi,
ricordalo, siamo nati per vincere.
Prendi la tua croce ogni giorno
Ecco un altro tocco di realismo: se accettiamo la vita come
impegno e responsabilità ed entriamo nel gioco del rinnegamento di noi stessi,
siamo sicuri di imbatterci ogni giorno nella croce.
La vita è tutta seminata
di croci e Gesù non ci dice di andare a cercarne. Bastano quelle che troviamo;
anzi, sono loro che cercano te.
Tutto ciò che è cristiano è segnato dalla
croce.
Quando ero vescovo ausiliare di Roma avevo la finestra del mio
ufficio su piazza San Giovanni. A pochi metri svettava l'obelisco, che alla
nascita di Gesù era già vecchio di duemilacinquecento anni. Quando Sisto V volle
ristrutturare il piano urbanistico della città pensò di mettere nei punti
strategici gli splendidi obelischi che i romani avevano portato dall'Egitto e
che ormai erano caduti o addirittura sepolti, come il nostro. Forse al Papa
sembrò eccessivo elevare un monumento pagano nei punti cardinali della città e
pensò allora di farlo diventare cristiano mettendovi sopra una bella croce.
Quell'obelisco l'avevo davanti, bellissimo, a ricordarmi ogni giorno, con la sua
croce, che ciò che non è segnato dalla croce non è cristiano.
Portare la
croce è difficile. Parlarne è facile.
Ma quando la croce arriva, quella
vera...
La croce si può portare in più modi: sportivamente, ma è molto
difficile; stoicamente, sopportando con fortezza l'inevitabile; oppure
cristianamente, ed è quello che vorrei insegnarti a fare.
Prima di tutto
occorre saper scoprire la croce. E non è facile. Per prima cosa c'è il problema
del nome. Sì, perché solitamente la si chiama disgrazia, dolore, malattia,
prova, guaio, grana o altro: termini con cui chiamiamo tutto ciò da cui derivano
i problemi della nostra giornata. Tutte queste cose hanno un solo nome: croce.
Chiamala così e avrai fatto il primo passo. Poi, non pensare di scaricarla sugli
altri o di eliminarla in qualche modo.
No, accettala serenamente, sapendo
che dopo ne arriverà un'altra, magari dopo aver appena ripreso fiato [ma non è
detto che sia sempre così] .
Accettando la croce quotidiana come parte
integrante della tua vita, lentamente ti accorgerai che la porti con amore,
volentieri, ci hai fatto la spalla. Anzi ti accorgerai che qualcuno ti sta
aiutando a portarla.
Quando la madre di Costantino, l'imperatrice Elena,
andò a Gerusalemme per dare degna sistemazione ai luoghi santi, desiderava
soprattutto ritrovare la croce su cui era morto Gesù. Andò al Calvario e in una
fossa vicina trovò un gran numero di croci. Erano quelle di tutti i condannati
giustiziati sul Calvario. Come riconoscere quella di Gesù ? Si racconta che fece
distendere tutte quelle croci e vi fece adagiare sopra dei paralitici: quanti
venivano a contatto con una di esse, guarivano all'istante. La scoperta era
fatta, il ritrovamento era avvenuto: quella era la croce di Gesù.
Così è per
noi. Abbracciando la croce e portandola con amore ci si sente diversi, cambiati,
trasformati, in una parola, salvati, perché abbracciando la croce si abbraccia
Cristo. Dal momento in cui Cristo fu crocifìsso sul Calvario, egli è appeso a
tutte le croci.
Quante volte hai sentito dire che a seguito di una grande
disgrazia qualcuno ha ritrovato la fede o è rinvigorita in chi languiva? Perché,
senza accorgersene, si sono incontrati con Cristo, lo hanno abbracciato sulla
croce.
Non c'è croce senza Cristo. Chi allontana o disprezza la croce,
allontana e disprezza Cristo.
Par questo la croce fa bene. Fa
crescere, matura, addolcisce, affratella, rende disponibili. Distinguerei gli
uomini in due categorie: quelli che hanno portato e sanno portare la croce e
quelli che non l'hanno ancora portata o la disprezzano. I primi sono persone
mature, i secondi no, perché manca loro l'esperienza fondamentale della vita.
Fa' anche questo secondo passo: scopri la tua croce quotidiana e abbracciala
con amore; abbraccerai Cristo. All'inizio sembrerà dura, poi la porterai
volentieri e farà parte del tuo equipaggiamento per il viaggio della vita. Gesù
ce l'ha detto chiaro: "Prendete il mio giogo su di voi... il mio peso è dolce e
il mio carico è leggero" [Mt. 12,30]. Questa è la vita. Cristo non soltanto non
illude nessuno, ma ci offre la sua amicizia come sostegno: "... venite a me voi
tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò" [ M t. 12,28] .
...e seguimi
Dopo aver accettato la vita come impegno e quindi come rinnegamento di noi
stessi, dopo aver accettato di portare la propria croce ogni giorno con amore,
siamo già sulla strada giusta per raggiungere la felicità, Dio. Gesù ti si è già
fatto sentire vicino.
Ma dove andare? Qual è l'orientamento della
vita? Ce lo dice Gesù stesso: "Seguimi". Ci vuole una grande fiducia per
mettersi a seguire una persona che esige da noi fede totale e incondizionata;
che ci chiede di guardare a Lui e seguirlo, sicuri che ci condurrà al Padre e
alla felicità.
Nel cammino Gesù va tenuto sempre d'occhio, senza
perderlo di vista nemmeno un istante, perché "i suoi pensieri non sono i nostri
pensieri, le sue vie, non sono le nostre vie" [ Cfr.Fil 55,8] , per cui si
rischia di perdere la strada e diventare pecorella smarrita.
Tenere
sempre d'occhio Gesù vuol dire avere sempre in mano il Vangelo, così come si fa
quando si viaggia in una città che non si conosce: non si può abbandonare mai la
guida, come a Parigi che può essere percorsa tutta con la metropolitana sotto
terra. Bisogna avere fiducia assoluta nelle indicazioni, sicuri che quando
saliremo alla superficie troveremo ciò che desideriamo. Prendere il Vangelo in
mano significa dire a Gesù: "Voglio andare dove vai tu, voglio edificare la mia
casa proprio come la tua". Proprio così.
Giorgio la Pira diceva che
il Vangelo non è un libro di devozione, ma un trattato di architettura per
costruire la nostra casa. è infatti un testo da attuare, come uno spartito
musicale, come dei disegni da realizzare. Anzi, il Vangelo va visto "vissuto",
perché "scritto" risulta difficile da comprendere e, talvolta, anche assurdo.
Come capire "beati i poveri" quando siamo travolti dalla corsa verso
la ricchezza. Come accettare "beati i perseguitati, beati coloro che
piangono...", quando viviamo tra il più completo edonismo. Eppure, nessuno sa
resistere al fascino di Francesco d'Assisi e di madre Teresa di Calcutta perché
il Vangelo realizzato è tutta un'altra cosa. Il Vangelo va "visto" più che
letto.
Fidiamoci: è un bel progetto!
Dobbiamo
caratterizzare il nuovo millennio col PROGETTO VANGELO per edificare la nostra
vita sulla roccia, con un piano preciso, sicuri che resterà anche quando
infurieranno terremoti e alluvioni, che non mancheranno neppure nel nuovo
Millennio.
Non è facile costruire una casa.
Rimasi molto colpito dal rispetto, e direi dal timore, con cui
alcuni ingegneri e architetti guardavano un uomo piuttosto rude, un po'
scostante e soprattutto molto meno elegante di loro. "Quello -mi disse uno degli
ingegneri -è uno che sa tirar fuori una casa da un disegno, e a Roma ce ne sono
pochi".
è possibile tirar fuori la nostra casa dal Vangelo. Noi
abbiamo tutto: abbiamo sia il Vangelo sia Colui che ci suggerisce tutto ciò che
dobbiamo fare: per la scelta dei materiali, per i tempi di realizzazione e per
le varie collaborazioni da scegliere: è lo Spirito Santo.
Con il piano
chiaro e il Suggeritore di cui ciascuno può disporre, se interpellato, ciascuno
è il capomastro per costruire la propria casa.
Il Progetto-Vangelo potrà
essere la vera novità del Duemila nella tua vita. C'è una condizione:
Non si può essere felici da soli
La felicità è Dio e quando Lui ci interpella, pur usando il
singolare "Se tu vuoi. ..", esige sempre una risposta al plurale "Padre nostro.
..". Nella famiglia dei figli di Dio la condivisione assoluta è la regola
fondamentale. Non c'è spazio per l'egoismo di nessun genere: tutto quello che ci
è stato donato e di cui siamo titolari è per gli altri. Nessuno è padre per se o
madre per se, nessuno è insegnante per se o medico per se: Gesù l'ha detto
chiaramente: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la
propria vita per me, la troverà" [Luca, 9,24] .La vita non si valorizza
conservandola, ma "perdendola", cioè donandola.
Nella Chiesa e nell'umanità
tutto è comune: per questo anche il cammino verso la felicità deve essere fatto
insieme.
Penso soprattutto che la più bella avventura è la costruzione della
famiglia secondo il Vangelo, dal momento che non si può essere cristiani da
soli, proprio come non ci si può sposare da soli. Edificare il rapporto di
coppia sullo stile della relazione evangelica, educare i figli ai grandi valori
evangelici e non alle proposte fasulle della moda e della propaganda, decidere
insieme, genitori e figli, perché le scelte familiari siano veramente di
famiglia e secondo il pensiero di Cristo, così da poter dire: "Possiamo andare
sicuri perché Dio è con noi". Questo aiuta a non invecchiare e a superare quei
periodi di stanchezza e, più ancora,di tristezza che le famiglie incontrano
quando sembra che non abbiano più niente da realizzare, niente da costruire,
perché i figli si sono ormai sposati, la pensione si avvicina o è già arrivata,
e i primi malanni si fanno sentire. Camminare insieme verso Dio seguendo Cristo
è l'ideale della felicità, la forza della stabilità e la perenne giovinezza di
una famiglia.
I politici, i responsabili della comunità, devono poter
condividere con coloro che essi rappresentano, le scelte impegnative per il buon
andamento della comunità stessa, altrimenti si ridurranno ad essere come i
camerieri di un albergo il cui unico scopo è di far contenti tutti, ma nessuno
felice.
I giovani devono impegnarsi in scelte serie, soprattutto per
costruire una famiglia autenticamente felice nella totale e assoluta
condivisione di tutto, perché chiamati a divenire "una sola carne".
Anche i sacerdoti potranno essere felici solo immergendosi in questa
ricerca con la loro comunità. Un religioso, l'abbe Pierre, ci parla così della
sua esperienza: "Quando tu soffri, chiunque tu sia, io sto male, e tutte le mie
energie si mettono in moto unite alle tue, per guarirci insieme dal tuo male
ormai diventato il mio, e per la mia gioia e per la tua gioia nella mia".
Essendo la ricerca della felicità quanto di più grande si possa
immaginare, apre il cuore e lo dilata oltre misura. "Nessun problema di
qualunque popolo ti sia indifferente. Una volta per tutte, adotta la famiglia
umana! Vibra con le gioie e le speranze di ogni gruppo umano", scriveva don
Helder Càmara. Con il cuore dilatato guardati intorno e sentiti impegnato ad
essere profeta di felicità per tutti. Verso tutti sei debitore del Vangelo che
hai ricevuto, ad ogni fratello devi un raggio di quella luce che illumina e
riscalda.
Il Vangelo è fatto per l'uomo e l'uomo per il Vangelo e la
Città di Dio è fatta di tante case costruite sul fondamento e sul disegno
evangelico.
La vita di ciascuno vale per il proprio rapporto con
Cristo. Per chi non l'ha conosciuto vale il suo rapporto con la verità, la
giustizia, la fedeltà. Chi invece lo ha conosciuto sa bene che Lui è tutto
questo.
Fidarsi di Cristo è fare la scelta del Vangelo come progetto
di vita, è indovinare la strada giusta che conduce alla felicità.
Entrare nel piano generale dei restauri
Roma è tutta un cantiere in vista del 2000.
La città
deve essere accogliente e bella, quindi funzionale al massimo e vestita a festa
per accogliere il 2000 e anche i numerosi ospiti e pellegrini che verranno a
visitare i luoghi del martirio degli Apostoli e a "vedere" Pietro.
Tutto ci parla di rinnovamento, perché il tempo porta sia i valori
che le malattie.
Ti restauro della facciata di San Pietro ha
riservato scoperte sorprendenti. Il tempo non solo l'aveva sporcata, ma
addirittura mortificata, coprendone pure i colori di cui non si conosceva
neppure l'esistenza.
Stupenda è l'immagine che Dio ha impresso in
ciascuno di noi creandoci: Dio fa soltanto capolavori, tutti unici nel suo
genere e irripetibili. Un buon lavoro di restauro farà apparire l'opera delle
sue mani e soprattutto farà apparire i frutti di quella felicità del cuore che
si riflettono sempre sul volto.
Col 2000 può cominciare l'era della
tua felicità. Col 2000 comincia ad essere felice. Il 2000 sarà l'anno del Grande
Ritorno a Dio.
Ormai conosciamo la strada per raggiungerlo: è la
nostra vita di ogni giorno, con tutte le sue rinunce e le sue croci. La guida
sicura è Gesù col suo Vangelo. Non ci manca proprio niente per camminare sicuri
verso la meta.