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De: Piero889 (Mensaje original) |
Enviado: 04/01/2014 05:07 |
Senza-Orecchie
C'era una volta un Re che avea una bimba. La Regina era morta di parto, e il Re avea preso una balia che gli allattasse la piccina. Un giorno la balia scese, insieme colla bimba, nel giardino reale. La bimba avea tre anni, e si divertiva a fare chiasso sull'erba, all'ombra dei grandi alberi. Sull'ora di mezzogiorno la balia s'addormentava; ma quando si svegliò, non trovò più la Reginotta. Cerca, chiama per tutto il giardino; nulla! La bimba era scomparsa. Come presentarsi al Re, che andava matto per quella figliuola? La povera balia si picchiava il petto, si strappava i capelli: - Dio! Dio! Sua Maestà l'avrebbe fatta impiccare! Agli urli della balia erano accorse le guardie. Fruga e rifruga, tutto fu inutile. Venne l'ora del pranzo. - E la Reginotta? - domandò il Re. I ministri si guardarono in faccia, più bianchi di un panno lavato. - La Reginotta dov'è? - Maestà, - disse un ministro - è accaduta una disgrazia! Il Re pareva fuori di sé dal gran dolore. Fece subito un bando: - Chi riporta la Reginotta, gli si concede qualunque grazia. Ma eran già passati sei mesi, e al palazzo reale non s'era visto nessuno. I banditori andavano di regno in regno: - Sia cristiano, sia infedele, chi riporta la Reginotta, gli vien concessa qualunque grazia. Ma passò un anno, e al palazzo reale non si presentò nessuno. Il Re era inconsolabile: piangeva giorno e notte. Nel giardino reale c'era un pozzo. La Reginotta, mentre la balia dormiva, s'era accostata all'orlo e vi si era affacciata. Vedendo, laggiù, nello specchio dell'acqua, un'altra bimba sua pari, l'avea chiamata: - Ehi! Ehi! -, accennando colle manine. Allora era sorto dal fondo del pozzo un braccio lungo lungo, peloso peloso, che l'afferrò e la tirò giù. E così, da parecchi anni, lei viveva in fondo a quel pozzo, col Lupo Mannaro che l'aveva tirata giù. In fondo al pozzo c'era una grotta grande dieci volte più del palazzo reale. Stanze tutte oro e diamanti, una più bella e più ricca dell'altra.è vero che non ci penetrava mai sole, ma ci si vedeva lo stesso. La bimba veniva servita da quella Reginotta che era. Una cameriera per spogliarla, una per vestirla, una per lavarla, una per pettinarla, una per recarle la colazione, una per servirla a pranzo, una per metterla a letto. S'era già abituata e non ci viveva di cattivo umore. Il Lupo Mannaro russava tutto il santo giorno e la notte andava via. Siccome la bimba, quando lo vedeva, strillava dalla paura, si facea veder di rado: non volea spaventarla. Intanto la Reginotta s'era fatta una bella ragazza. Una sera, entrata in letto, non poteva dormire. Sentito che il Lupo Mannaro si preparava ad andar via, tese meglio l'orecchio. Il Lupo Mannaro con quella sua vociaccia ròca, urlava: - Chiamatemi il cuoco. Il cuoco venne. - Credo che siamo in punto, - gli disse - mi pare una quaglia. - Bisogna vedere - rispose il cuoco. La Reginotta sentì che giravano adagino il pomo della serratura: - Ahimè! Dunque si trattava di lei? Il Lupo Mannaro voleva mangiarsela. Le si accapponò la pelle, sfido io! Si fece piccina piccina, e finse di dormire. Il Lupo Mannaro s'accostava al letto, svoltava le coperte con cautela, e il cuoco cominciava a tastarla tutta, come gallina da tirargli il collo. - Ancora una settimana, - disse il cuoco - e sarà un boccone reale. Come intese queste parole, la Reginotta si senti rinascere: - Otto giorni! Oh, quella quaglia il Lupo Mannaro non l'avrebbe mangiata; no, no! Pensa e ripensa, le venne un'idea. La mattina, saltata giù dal letto, appostossi alla bocca della grotta, dentro il collo del pozzo, ed aspettò che venisse gente ad attinger acqua. La carrucola stride, la secchia fa un tonfo, ed ecco la Reginotta che s'afferra alla corda, puntando i piedini sull'orlo della secchia. La tiravano su lentamente; era un po' pesa. A un tratto la corda si rompe, e secchia e Reginotta, patatunfete, giù! Accorsero le cameriere e la ritirarono dall'acqua. - Ebbi un capogiro e cascai. Non ne fate motto, per carità; il Lupo Mannaro mi picchierebbe. E passò un giorno. Il secondo giorno, aspetta aspetta, la secchia non venne giù. Bisognava trovare un altro mezzo: ma non era come dirlo. Quale? La grotta non aveva che quell'unica uscita. E passò un altro giorno. La Reginotta non si perdette d'animo. Appena aggiornava, era al suo posto; ma la secchia non calava. E passarono altri due giorni. Una mattina, mentre lei piangeva dirottamente, guardando fisso nell'acqua vide lì un pesciolino rosso, che parea d'oro, colla coda bianca come l'argento, e con tre macchie nere sulla schiena. - Ah! Pesciolino, tu sei felice! Tu sei libero in mezzo all'acqua, ed io qui sola, senza parenti né amici! Il pesciolino montava a fior d'acqua, dimenando la coda, aprendo e chiudendo la bocca; pareva l'avesse sentita: - Ah! Pesciolino, tu sei felice! Tu sei libero in mezzo all'acqua, ed io qui sola, senza parenti né amici. Fra quattro giorni sarò mangiata! Il pesciolino rosso, dalla coda bianca e dalle tre macchie nere sulla schiena, s'era accostato alla sponda: - Se tu fossi di sangue reale e volessi sposarmi, saremmo liberi tutti e due. Per vincere il mio incanto non ci vuol altro. - Son sangue reale, pesciolino d'oro, e son tua sposa fino da questo momento. - Cavalcami sulla schiena e tienti forte. La Reginotta si mise a cavalcioni del pesciolino e gli si afferrò alle branchie; e il pesciolino, nuota, nuota, la portò in fondo al pozzo. Di lì passava un fiume, sotto terra. Il pesciolino infilò diritto la corrente e la Reginotta gli si tenne sempre ben afferrata alle branchie. Ma ecco, in un punto, un pesce grossissimo, con tanto di bocca spalancata, che voleva ingoiarli: - Pagate il pedaggio, o di qui non si passa. La Reginotta si strappò un'orecchia e gliela buttò. Nuota, nuota, ecco un altro pesce più grosso del primo, con tanto di bocca spalancata e una foresta di denti: Pagate il pedaggio, o di qui non si passa. La Reginotta si strappava l'altra orecchia e gliela buttava. Quando la corrente sboccò all'aria aperta, il pesciolino depose la Reginotta sulla sponda e diè un salto fuor dell'acqua. Era diventato un bel giovane, con tre piccoli nèi sulla faccia. Lei disse: - Andiamo a presentarci al Re mio padre. Son tredici anni che non mi vede. Al portone del palazzo reale non volevano lasciarla passare. - Sono la Reginotta! Son la figliuola del Re! Non ci credeva nessuno, nemmeno il Re. Pure ordinò di fargliela venire dinanzi: - Chi sa? Poteva anche darsi! Il Re la guardò da capo a piedi: gli pareva e non gli pareva. Lei gli raccontò la sua storia; ma non disse nulla delle orecchie, per vergogna. Infatti nascondeva il suo difetto, tenendo basse le trecce. Ma un ministro se n'accorse: - E le orecchie, figliuola mia? Dove le perdeste le orecchie? Il Re, indignato, la condannava a rigovernare i piatti e le stoviglie della cucina reale. Il principe Pesciolino (lo chiamarono subito così) fu dannato a spazzar le stalle: - Imparassero in tal modo a farsi beffa del Re! Un giorno Sua Maestà volea mangiare del pesce. Ma in tutto il mercato c'era due pesci soltanto, e nessuno sapeva che razza di pesci fossero, neppure i pesciaioli. Ed erano lì dal giorno avanti, e cominciavano a passare. Ma il Re volea del pesce ad ogni costo, e il cuoco li comprò: - Maestà, non c'è che questi; nessuno sa che pesci siano, neppure i pesciaioli. Trovansi in mercato da due giorni e cominciano a passare. - Sta bene, - disse il Re - portali in cucina. In cucina il cuoco fa per sventrarli, e che gli trova nelle budella? Due orecchie di creatura umana, ancor stillanti sangue! Chiamarono subito Senza-orecchie, come le aven messo il nomignolo: - Senza-orecchie, Senza-orecchie, ecco roba per te! La Reginotta accorse: eran davvero le sue orecchie. Tremante dalla contentezza se le adattò al capo e le si appiccicarono; il sangue avea servito da colla. Colle orecchie, il Re suo padre raffigurolla ad un tratto: - è lei! è la mia figliuola! E bandì feste reali per otto giorni. Poi, siccome era vecchio, volle lasciare il regno. E il re Pesciolino e la regina Senza-orecchie regnarono a lungo dopo di lui.
Stretta la foglia, e larga la via, Dite la vostra, ché ho detto la mia.
~ Luigi Capuana ~
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De: Ver@ |
Enviado: 04/01/2014 06:34 |
L'Amico devoto
Una mattina il vecchio topo di fogna sporse la testa fuor della tana: aveva gli occhietti acuti scintillanti, due ispidi baffi e una lunga coda nera che sembrava di gomma. Nello stagno gli anatroccoli, gialli come canarini, nuotavano qua e là, e mamma anatra, che aveva le piume d’un candore abbagliante e le zampe d’un bel rosso vivo, insegnava loro a tenersi con la testa alta nell’acqua. “Non potete entrare mai nella buona società, se non sapete tenere alta la testa” continuava a dire, e ogni tanto mostrava con l’esempio come dovevano fare. Ma gli anatroccoli non le davano retta, perché erano così giovani da non capire quale vantaggio fosse l’essere ammessi nella buona società. “Che figlioli disubbidienti!” gridò il vecchio topo, “non meritano proprio di essere annegati”. “Niente affatto” rispose l’anatra, “da principio, tutti dobbiamo imparare, e i genitori non sono mai abbastanza pazienti”. “Oh! Io non m’intendo affatto delle cose che riguardano i genitori” disse il vecchio topo “perché non sono sposato, e nemmeno ho voglia di sposarmi. L’amore della famiglia è certamente una bellissima cosa, ma l’amicizia è un sentimento molto più elevato. Ti assicuro che io non conosco nulla al mondo di più nobile e più raro di un amico devoto”. “Mi piacerebbe sapere come t’immagini che debba essere un amico devoto” intervenne un fanello verde che aveva ascoltato la conversazione standosene posato in cima a un salice. “Già, è proprio quello che vorrei sapere anch’io” aggiunse l’anatra, e si allontanò a nuoto fino in fondo allo stagno, tenendo ben dritta la testa per dare il buon esempio ai suoi figliolini. “Che sciocca domanda!” esclamò il topo. “Penso che un amico devoto dovrebbe essermi devoto davvero, ecco tutto”.
“E che cosa daresti tu in cambio?” domandò l’uccellino volando sopra un ramoscello argenteo e scuotendo le alucce. “Non ti capisco”, rispose il topo. “Allora ti racconterò una storia su questo argomento” disse il fanello.
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De: Ver@ |
Enviado: 04/01/2014 06:37 |
“E’ una storia che mi riguarda?” domandò il topo. “Se è così, ti starò ad ascoltare, perché mi piacciono molto i racconti”. “Va proprio bene per te” rispose il fanello. Poi scese a volo sulla riva dello stagno e cominciò il racconto dell’amico devoto. “C’era una volta” disse “un onesto giovane chiamato Hans”. “Era una persona distinta?”, domandò il topo. No, non lo era affatto, se non per il suo cuore generoso e per la buffa faccia rotonda sempre di buon umore. Viveva solo solo in una casetta di legno e lavorava tutto il giorno nel giardino. In tuta la regione non ve n’era un altro bello come il suo. Vi crescevano garofani screziati e violacciocche, verbaschi e convoli, rose damaschine e gialle, crochi lilla e oro, viole purpuree e bianche. Le campanule, la reseda, la maggiorana e il basilico silvestre, il giglio, il narciso e il ciclamino fiorivano e sbocciavano secondo l’ordine naturale. A mano a mano che i mesi passavano, un fiore prendeva il posto dell’altro, cosicché vi era sempre qualcosa di bello da ammirare, mentre gradevoli odori profumavano l’aria. Il giovane Hans aveva molti amici, ma il più devoto fra tutti era Hugh il mugnaio. In verità il ricco mugnaio era così devoto al piccolo Hans che, passando accanto al giardino, non poteva fare ameno di sporgersi al disopra del muretto di cinta e di cogliere un gran mazzo di fiori oppure manciate di erbe profumate. Quando era la stagione dei frutti, si riempiva le tasche di susine e di ciliegie. “I veri amici devono avere tutto in comune” soleva dire il mugnaio, ed il piccolo Hans assentiva sorridendo ed era molto orgoglioso che il suo amico avesse idee così nobili. Qualche volta, veramente, i vicini pensavano che era un po’ strano che il ricco mugnaio non desse mai niente in cambio al piccolo Hans, sebbene avesse un centinaio di sacchi di farina ammassati nel mulino e sei mucche da latte, e anche un grosso gregge di pecore lanose; ma Hans non aveva mai l’animo turbato da simili pensieri, e niente gli dava maggior piacere dell’ascoltare le meravigliose cose che il mugnaio diceva sul disinteresse della vera amicizia. Il giovane Hans dunque seguitava a lavorare il suo giardino. Durante la primavera, l’estate e l’autunno era felice, ma quando veniva l’inverno, ed egli non aveva né frutti né fiori da portare al mercato, soffriva molto la fame e il freddo, e spesso doveva andarsene a letto dopo aver mangiato per cene soltanto un pugnerello di pere secche e qualche noce. D’inverno inoltre era molto solo, perché il mugnaio in quella stagione non andava mai a trovarlo. “Non è bene che io vada dal piccolo Hans finchè nevica” diceva il mugnaio alla moglie, “perché quando uno è nei guai bisogna lasciarlo solo, senza disturbarlo con visite inopportune. Io almeno la penso così, e sono sicuro d’aver ragione. Aspetterò che venga la primavera per andarlo a trovare, allora egli potrà regalarmi un paniere di primule, e ne sarà felice”. “Tu sei sempre molto premuroso per gli altri”, rispondeva la moglie seduta in una comoda poltrona accanto a un bel fuoco, “molto premuroso davvero. Fa proprio piacere sentirti parlare dell’amicizia. Sono sicura che nemmeno il nostro prete sa dire cose tanto belle, sebbene viva in una casa a tre piani e porti al dito mignolo un anello d’oro”. “Perché non facciamo venire qui il giovane Hans?” domandò il figlio minore. “Se è povero, potrò dargli metà della mia minestra e fargli vedere i miei conigli bianchi per divertirlo”. “Che figlio sciocco abbiamo!” gridò il mugnaio. “Non so proprio quale profitto tu ricavi dalla scuola; mi sembra che non impari niente. Se il piccolo Hans venisse da noi e vedesse il nostro bel fuoco, la nostra buona cena e il nostro barile di vino rosso, potrebbe diventare invidioso, e l’invidia è un sentimento molto cattivo che guasta anche il migliore degli uomini. Io certamente non voglio guastare il carattere di Hans. Sono il suo più caro amico e veglio su di lui affinché non cada in tentazione. Inoltre, se Hans venisse qui, potrebbe chiedermi d’imprestargli un po’ di farina, e questo non posso farlo. Una cosa è la farina, ed altro l’amicizia. Non bisogna confonderle. Sono parole scritte in modo differente ed il loro significato è completamente diverso. Chiunque lo capisce”. “Come parli bene!” disse la moglie del mugnaio versandosi un gran bicchiere di birra calda; “mi sento quasi addormentata, proprio come mi accade in chiesa”. “Molte persone agiscono bene” rispose il mugnaio “ma poche parlano bene, la qual cosa dimostra che il parlar bene è più difficile e più bello che l’agir bene”. E guardò severamente al di là della tavola il suo bambino, che, pieno di vergogna, arrossì abbassando la testa mentre le lacrime cominciavano a cadergli nella tazza, sebbene fode tanto giovane da meritare di essere perdonato. “E’ questa la fine del racconto?” domandò il topo. “No certo, è soltanto il principio” rispose il fanello. “Allora non segui la moda” disse il topo. “Oggi i bravi narratori cominciano dalla fine, vanno verso il principio e concludono col mezzo del racconto. E’ questo il nuovo sistema, L’ho sentito dire l’altro giorno da un critico che passeggiava con un giovane intorno allo stagno. Parlò a lungo di questo argomento, e son certo che avesse ragione, perché portava gli occhiali blù ed era calvo. Ogni volta che il giovane faceva un’osservazione, egli rispondeva “puf!”. Ma continua il tuo racconto. Il mugnaio mi piace moltissimo, giacchè anch’io ho buoni sentimenti e tra me e lui c’è una grande corrente di simpatia”. “Bene” disse il fanello saltellando ora su una zampa ora sull’altra. Appena finito l’inverno, quando le primule cominciarono ad aprire le loro pallide stelline, il mugnaio disse alla moglie che doveva andare a trovare il piccolo Hans. “Che buon cuore hai!” esclamò la moglie. “Tu pensi sempre agli altri. Non ti scordare di portare con te il paniere per mettervi i fiori”. Il mugnaio allora, legate le ali del mulino a vento con una robusta catena di ferro, scese giù per la collina con al braccio il paniere. “Buon giorno, piccolo Hans” disse il mugnaio. “Buon giorno” rispose Hans curvo sulla vanga e con la bocca che nel sorriso cordiale gli arrivava fino agli orecchi. “Hai passato bene l’inverno?” domandò il mugnaio. “Oh, siete molto buono a domandarmelo, molto buono davvero. Purtroppo ho passato momenti un po’ difficili, ma ora è venuta la primavera, e sono felice perché i miei fiori crescono bene”. “Noi abbiamo parlato spesso di te durante l’inverno, e mi domandavo come te la saresti passata” “Quanto siete gentile!” rispose Hans. “Io invece temevo che mi aveste quasi dimenticato”. “Hans, mi meraviglio di questo tuo pensiero. Gli amici non si dimenticano mai, e questa è una cosa bellissima; ma io credo che tu non possa intendere la poesia della vita. A proposito, come sono belle le tue primule!”. “Sono belle davvero” approvò Hans “e per fortuna ne ho molte. Tra poco le porterò al mercato per venderle alla figlia del sindaco, e così potrò ricomprarmi la carriola”. “Ricomprarti la carriola! L’hai dunque venduta? Che sciocchezza hai fatto!” “Si, è vero, sono stato costretto a venderla” disse Hans. “Sapete che l’inverno è per me una cattiva stagione; e siccome non avevo abbastanza denaro per comprarmi il pane, ho dovuto vendere prima i bottoni d’argento del mio vestito buono, poi la catena d’argento, poi la pipa, e infine anche la carriola. Ma ora potrò ricomprare tutto”. “Hans,” disse il mugnaio “ti regalerò la mia carriola. Non è troppo in buono stato, perché è rotta da una parte e alcuni raggi della ruota sono spezzati. Si, te la darò. Sono davvero troppo generoso, e molti penseranno che faccio una sciocchezza a privarmene, ma io non sono come gli altri. Credo che la generosità sia la sostanza dell’amicizia; e, d’altronde, io potrò ricomprarmi una carriola nuova. Sta’ dunque tranquillo, che ti darò la mia”. “Siete davvero molto generoso” esclamò il piccolo Hans, e la sua buffa faccia rotonda risplendette tutta di piacere. “Potrò accomodarla facilmente perché ho in casa un’asse di legno”. “Un’asse di legno!” disse il mugnaio “è proprio quello che mi occorre per il tetto del granaio. Vi è un grande buco, e se non lo chiudo, il grano mi prenderà l’umido. Che fortuna che tu l’abbia detto! E’ proprio vero che una buona azione ne genera sempre un’altra. Io t’ho dato la mia carriola, e ora tu stai per darmi un’asse. Naturalmente la carriola vale molto di più , ma la vera amicizia non dà importanza a certe cose. Portami subito l’asse, così potrò cominciare oggi stesso ad accomodare il granaio”. “Certo” esclamò il piccolo Hans, e corse nella baracca a prenderla. “Non è molto grande” disse il mugnaio alla prima occhiata “e credo che dopo avere accomodato il tetto del granaio, non ne rimarrà abbastanza per la carriola, ma io non ci ho colpa. Ed ora che ti ho regalato la carriola, sono certo che mi darai in cambio un po’ di fiori. Eccoti il paniere, e, mi raccomando, riempilo bene”. “Riempirlo!” esclamò il piccolo Hans sorpreso perché il paniere era davvero molto grande, e se lo avesse riempito di fiori, non ne avrebbe avuti più da portare al mercato, mentre desiderava tanto di poter ricomprare i suoi bottoni d’argento. “Come!” replicò il mugnaio “dal momento che ti ho regalato la carriola, non è troppo davvero chiederti un po’ di fiori. Sbaglierò, ma ho sempre pensato che l’amicizia, la vera amicizia, fosse completamente libera da ogni forma di egoismo”. “Mio caro e buon amico” esclamò il piccolo Hans “potete prendere tutti i fiori del mio giardino; preferisco la vostra stima ai miei bottoni d’argento”. E corse a cogliere le sue graziose primule per riempire il paniere. “Arrivederci, piccolo Hans” disse il mugnaio risalendo la collina con l’asse sulle spalle e il grande paniere sottobraccio. “Arrivederci” rispose il piccolo Hans riprendendo a vangare la terra, tutto contento al pensiero d’aver di nuovo una carriola. Il giorno dopo, mentre piantava chiodi nel muro per sostenere il caprifoglio, sentì la voce del mugnaio che lo chiamava dalla strada. Scese in fretta dalla scala, attraversò di corsa il giardino e guardò al di là del muretto. Il mugnaio, che aveva sulle spalle un gran sacco di farina, gli disse: “Caro Hans, potresti portarmi questo sacco di farina al mercato?” “Oh, mi dispiace” rispose Hans “ma ho molto da fare, oggi. Devo sistemare le piante rampicanti, annaffiare i fiori e tagliare l’erba del prato”. “Davvero!” disse il mugnaio “mi sembra che il tuo rifiuto sia piuttosto scortese, se pensi che sto per darti la mia carriola”. “Non dite così” esclamò il piccolo Hans “non vorrei essere scortese con voi per tutto l’oro del mondo”. Corse a prendere il berretto, e, messo il grosso sacco sulle spalle, cominciò a camminare faticosamente. La giornata era caldissima, la strada polverosa, ed egli non aveva ancora percorso sei miglia, che fu costretto a fermarsi per riposare; poi riprese coraggiosamente il cammino e alla fine arrivò al mercato. Trascorso un certo tempo, riuscì a vendere la farina a ottimo prezzo e ritornò in fretta a casa perché temeva d’incontrare i ladri lungo la strada. “E’ stata una giornata dura” pensò il piccolo Hans andando a letto “ma sono contento d’aver fatto un favore al mugnaio che è il mio migliore amico; tanto più che egli è sul punto di regalarmi la sua carriola”. La mattina seguente, di buon’ora, il mugnaio andò a prendere il denaro ricavato dalla vendita del suo sacco di farina, e trovò Hans a letto perché era ancora stanco. “Perbacco!” disse il mugnaio “sei un gran poltrone. Dovresti lavorare di più, se rifletti che sto per darti la carriola. La pigrizia è un gran peccato, e non mi piace che i miei amici siano indolenti. Non devi offenderti della mia franchezza; non parlerei così, se tu non fossi mio amico. Che valore avrebbe l’amicizia, se non si potesse esprimere sinceramente il proprio pensiero? E’ facile dire cose piacevoli per conquistare la simpatia degli altri adulandoli; il vero amico invece deve sapere dire anche cose spiacevoli senza preoccuparsi di far soffrire. Preferisce fare così, perché sa di fare bene”. “Mi dispiace” disse il piccolo Hans stropicciandosi gli occhi e levandosi il berretto da notte “ma ero tanto stanco che sono rimasto a letto un po’ di più per ascoltare il canto degli uccelli. Non sapete che io lavoro meglio dopo aver sentito gli uccelli cantare?” “Ne sono contento” gli rispose il mugnaio battendogli la mano sulla spalla. “Appena ti sarai vestito, voglio che tu venga al mulino per riparare il tetto del granaio”. Il povero Hans era ansioso di rimettersi a lavorare nel giardino, perché non aveva innaffiato i fiori da due giorni, ma non osava dare un rifiuto al mugnaio che gli era tanto amico; tuttavia domandò timidamente: “Sarei scortese se vi dicessi che ho molto da fare?” “Davvero!? Non credo di chiederti troppo, se rifletti che sto per darti la mia carriola; ma, naturalmente, se tu rifiuti, farò dame”. “Oh, non badate a quel che ho detto!” esclamò il piccolo Hans; e saltato giù dal letto, si vestì in fretta per recarsi al granaio. Lavorò tutto il giorno fino al tramonto, e al tramonto il mugnaio andò a vedere a che punto era. “Non hai ancora finito, piccolo Hans?” domandò allegramente. “Ho finito proprio ora” rispose Hans scendendo giù dalla scala. “Ah,” disse il mugnaio “non c’è lavoro più piacevole di quello che si fa per gli altri”. “Certo è un gran privilegio ascoltarvi” rispose il piccolo Hans sedendo ed asciugandosi la fronte “un gran privilegio davvero. Temo che io non avrò mai delle belle idee come ne avete voi”. “Oh, ti verranno!” rispose il mugnaio “ma devi pensarci un po’. Per ora tu sai soltanto la pratica dell’amicizia; un giorno ne conoscerai anche la teoria.” “Lo crede possibile?” “Non c’è dubbio; ma ore che hai accomodato il tetto, sarà meglio che tu vada a casa per riposarti, perché domani porterai le mie pecore a pascolare sul monte”. Il povero Hans non ebbe il coraggio di dir niente. La mattina dopo all’alba il mugnaio arrivò alla capanna con le pecore, e Hans le condusse al monte. Per tutto il giorno vagò di qua e di là e quando tornò a casa si sedette così stanco che cadde addormentato sulla sedia, e si svegliò soltanto allorché il sole era già alto. “Che bel tempo per il mio giardino!” esclamò mettendosi subito al lavoro. Ma ormai non gli era più possibile curare i suoi fiori, perché il suo amico mugnaio gli era sempre dintorno per mandarlo a fare lunghe commissioni o chiamarlo al mulino perché lo aiutasse. Il piccolo Hans era desolato al pensiero che i suoi fiori credessero di essere stati dimenticati da lui e cercava di consolarsi riflettendo che il mugnaio era il suo migliore amico. Diceva fra sé: “Egli sta per darmi la sua carriola, e questo è un atto molto generoso”. Così il piccolo Hans lavorava per il mugnaio, ed il mugnaio gli ripeteva tante belle cose sull’amicizia. Hans le scriveva sul suo taccuino e la sera le rileggeva proprio come uno scolaro diligente. Una sera, mentre era seduto accanto al fuoco, sentì un forte colpo alla porta. Il vento soffiava impetuoso intorno alla casa, ed egli dapprima credette che il rumore fosse causato dalla tempesta; ma un altro colpo si fece sentire, e un altro ancora sempre più forte. “E’ un povero viandante” pensò il piccolo Hans correndo alla porta. Era invece il mugnaio, che teneva con una mano la lanterna e con l’altra un pesante bastone. “Caro Hans” gli disse “sono in grande ansia. Il mio bambino è caduto giù da una scala e si è fatto male. Sono uscito per andare a chiamare il dottore, ma abita molto lontano ed è una notte orribile. Ho pensato perciò di mandarti in vece mia. Sarebbe gentile che tu facessi qualcosa per me in cambio della carriola che sto per darti”. “Certo” esclamò il piccolo Hans “è un piacere che mi fate con la vostra richiesta e andrò subito, ma dovreste prestarmi la lanterna, perché la notte è così buia che ho paura di cadere nel fosso”. “Mi dispiace molto” rispose il mugnaio “ma è la mia lanterna nuova, e sarebbe una gran perdita per me se si sciupasse”. “Non importa, ne farò a meno” disse Hans, e indossata la pelliccia, si mise in testa un pesante berretto rosso, si ravvolse il collo con una sciarpa e corse via. Che spaventosa tempesta! Nell’oscurità profonda della notte il piccolo Hans non riusciva a vedere quasi nulla e il vento era così impetuoso che a fatica egli poteva reggersi in piedi; ma non si perdette d’animo e dopo circa tre ore di cammino giunse alla casa del dottore e bussò alla porta. “Chi è là?” domandò il dottore affacciandosi alla finestra di camera. “Il piccolo Hans, dottore”. “Che cosa vuoi?” “Il figlio del mugnaio è caduto giù da una scala e si è fatto male; il mugnaio vi raccomanda di andare subito da lui”. “Va bene” rispose il dottore, e fatti preparare il cavallo e la lanterna, infilò gli stivali pesanti, scese le scale e montato in sella si diresse verso la casa del mugnaio, mentre Hans lo seguiva faticosamente. Intanto la violenza della tempesta cresceva di momento in momento; la pioggia cadeva a torrenti ed il piccolo Hans non poteva scorgere il cammino e non riusciva a mantenersi a pari del cavallo. Alla fine, perduta la strada, si trovò nella brughiera, luogo molto pericoloso, pieno di pozze profonde, in una delle quali il piccolo Hans annegò. Alcuni caprai la mattina dopo trovarono il suo corpo galleggiante nella pozza e lo trasportarono alla sua capanna. Tutti andarono al funerale del piccolo Hans, perché egli era conosciuto e godeva molta simpatia. Il mugnaio ebbe il primo posto nel corteo funebre. “Io ero il suo miglior amico” disse “ed è giusto che abbia il posto migliore”. Così camminò alla testa del corteo ravvolto in un lungo mantello nero e asciugandosi di tanto in tanto gli occhi con un gran fazzoletto. “La morte del piccolo Hans è una gran perdita per tutti noi” disse il fabbro quando il funerale fu terminato, e, comodamente seduti in un’osteria, tutti bevevano ottimo vino e mangiavano dolci squisiti. “E’ una gran perdita per me senza dubbio” aggiunse il mugnaio. “Ero stato tanto buono con lui da regalargli la mia carriola, ed ora non so che cosa farne. In casa mi dà noia, ed è in tale stato che non posso venderla. Certo che non darò via più niente, perché ci si scapita sempre ad essere generosi”. “E poi?” domandò il topo dopo una lunga pausa. “Il racconto finisce così” rispose il fanello. “Che cosa accadde al mugnaio?” “Oh, proprio non lo so, e non me ne curo”. “E’ evidente che tu per natura non sei capace di provare simpatia per nessuno” aggiunse il topo. “Io temo invece che tu non abbia capito la morale del mio racconto” “Che cosa?” strillò il topo. “La morale”. “Vuoi dunque dire che il racconto ha una morale?” “Certamente” confermò il fanello. “Allora avresti dovuto dirmelo prima” replicò il topo con mal garbo “non sarei stato ad ascoltarti, ed avrei fatto “puf!” come il critico; comunque posso farlo ora". E gridò “puf!” con quanto fiato aveva in gola, sbattè la coda quasi fosse una frusta e si rintanò nel suo buco. “Vi piace il topo?” chiese l’anatra al fanello tornando a nuoto qualche minuto dopo. “Ha molte buone qualità; ma io sono madre e non posso vedere un vecchio celibe senza sentirmi venire le lacrime agli occhi”. “Credo di averlo fatto arrabbiare, perché gli ho raccontato una storia che ha una morale” rispose il fanello. “Oh, è sempre pericoloso far della morale” confermò l’anatra. Ed io sono perfettamente d’accordo con lei.
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De: Ver@ |
Enviado: 04/01/2014 06:50 |
LA FAVOLA DI BELLA
Ebbene si, questo romanzo è davvero una favola! Se volete leggere una storia d’amore che ricordi le belle favole che ci raccontavano da bambine, dove c’era sempre un bel principe azzurro che salvava la nostra eroina dalla strega o matrigna cattiva non potete assolutamente perdervi questo romanzo ! La nostra protagonista, Bella, è una fanciulla orfana, amata profondamente dalle sue zie che l’hanno cresciuta dopo averla trovata per strada ed è adorata da tutti gli uomini che posano lo sguardo su di lei. Piena di vita, allegra, non si lascia scoraggiare facilmente dagli “imprevisti” che le capitano e lotta a testa alta contro i pregiudizi della gente sulla sua nascita. Coccolata e molto viziata si ritrova improvvisamente , a causa di un perfido intrigo, in un austero castello dove vive il nostro bellissimo barone Diego, forte, tenebroso ma anche severo e moralista fino all’eccesso… immaginate cosa può succedere quando si ritrova davanti questa folata di aria fresca e gioviale che è all’opposto di quello che lui ha sempre desiderato nelle donne ! Ma si sa, gli opposti si attraggono, e per quanto lui faccia di tutto per tenerla lontana da sé anche grazie ad una avvenente e intrigante dama che intende sposare , capisce che semplicemente non può fa finta che non esista!
“Con te sto facendo la cosa giusta, la cosa sbagliata, quella sensata, una follia...che importa? Credo di non aver avuto scampo nell’attimo stesso in cui ti sei presentata nel mio studio.”
Insomma questo romanzo mi ha fatto sognare, la Ciuffi ha dato vita a una bella storia d’amore dal ritmo incalzante, divertente e appassionante, impossibile da perdere!!
Vera
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